IL FALSO ARGOMENTO DEL “DIRITTO ALLA SICUREZZA” NEL CONFLITTO IN UCRAINA

La rivendicazione della assoluta sovranità dell’Ucraina per legittimare l’ingresso della NATO nel Paese dell’Est europeo rovescia una secolare civiltà per una società fondata sulla convivenza. E allora perché no il  nucleare iraniano?

La rivendicazione della assoluta sovranità dell’Ucraina per legittimare l’ingresso della NATO nel Paese dell’Est europeo rovescia una secolare civiltà per una società fondata sulla convivenza. E allora perché no il  nucleare iraniano?

Di Gustavo Buster (*)

Il concetto di sicurezza collettiva potrebbe essere una delle prime vittime del conflitto in Ucraina. Di fronte all’affermazione della Federazione Russa, espressa per iscritto, secondo cui la NATO non dovrebbe essere estesa all’Ucraina e alla Georgia, o a qualsiasi altra ex Repubblica sovietica, la risposta degli Stati Uniti e della NATO è che gli Stati sovrani hanno il diritto di allearsi con chi vogliono ai fini della propria sicurezza.

Si sostiene inoltre che la seconda affermazione della Federazione Russa, secondo cui la NATO non dovrebbe comprendere tra i suoi membri gli Stati  che a suo tempo facevano parte del Patto di Varsavia, non solo non sarebbe realistica, ma implicherebbe nuovamente la divisione dell’Europa in zone di influenza.

Il dibattito su questo punto, che ha già fatto scorrere fiumi di inchiostro e ha provocato una quantità di dichiarazioni indignate e ogni genere di accuse basate sul diritto internazionale, va ovviamente ben oltre la questione specifica del conflitto ucraino. È un dibattito che si trascina a livello internazionale dal 2014-2015, cioè da quando ci fu la  rivoluzione ucraina “Euromaidan”, la successiva annessione della Crimea alla Russia e la guerra civile nel Donbass, con la costituzione delle cosiddette Repubbliche Popolari di Donetsk (DPR) e Luhansk (RPL) e i negoziati che si conclusero con il primo cessate il fuoco fallito (il primo “protocollo di Minsk” e il successivo accordo di cessate il fuoco di Minsk II , mediati da Francia e Germania, a cui la Federazione Russa continua ad appellarsi,  cosa che invece non fa l’Ucraina.

La ragione dichiarata dell’attuale crisi geopolitica – “insolita” secondo il segretario generale della NATO, l’ex primo ministro norvegese Jens Stoltenberg, ma “non insolita” secondo il presidente dell’Ucraina, Volodimir Zelensky – è lo spiegamento sul territorio russo e bielorusso intorno al confine con l’Ucraina di circa 100.000 soldati russi, che potrebbero diventare una forza d’invasione, come si sostiene nonostante le ripetute dichiarazioni e garanzie escludenti questa ipotesi formulate da Putin e dal suo ministro Lavrov, che hanno convinto prerò il segretario generale dell’Onu Guterres, secondo il suo portavoce. Viene ricordato in proposito che sul fronte del Donbass, al momento del cessate il fuoco, c’erano circa 40.000 combattenti su ciascun lato in una guerra di trincea a bassa mobilità.

Questo dispiegamento militare russo è alla base dell’accusa di violazione dell’art. 2.4 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta agli Stati membri di ricorrere “alla minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Tuttavia questo giudizio sulle intenzioni russe e la pretesa di limitare la politica di difesa della Russia sul proprio territorio sono a dir poco incoerenti con l’affermazione della sovranità assoluta di qualsiasi Stato nel decidere la propria politica di sicurezza, come richiesto per l’Ucraina. Tanto incoerenti da aver costretto il governo britannico di Boris Johnson a sostenere che vi fossero dei  “commandos” russi incaricati di compiere azioni di sabotaggio in territorio ucraino allo scopo di provocare un falso incidente che giustificherebbe l’intervento di Mosca; e ciò senza presentare alcuna prova.

Ma quel diritto assoluto di sovranità che è rivendicato per la politica di sicurezza ucraina non viene applicato, ovviamente, al caso della politica nucleare difensiva della Corea del Nord o dell’Iran, per fare due esempi estremi di “Stati canaglia” che non  per questo cessano di essere sovrani e membri dell’ONU. In nome della “sicurezza collettiva” vengono loro imposte sanzioni e blocchi. Presa sul serio, una tale pretesa di assoluta sovranità della politica di sicurezza degli Stati raggiungerebbe l’assurdità dell’insicurezza collettiva permanente mentre è in aperta contraddizione con l’intero sviluppo del diritto internazionale dalla Pace di Westfalia del 1648 alla Carta delle Nazioni Unite del 1945.

Il concetto di “sicurezza collettiva”

La filosofia politica dell’Illuminismo, sia nella sua versione “realistica” (Hobbes) che “romantica” (Abbé de Saint-Pierre, Rousseau), giustifica la sovranità dello Stato in nome della sicurezza collettiva di chi rinuncia in parte alla propria libertà e volontà assolute per stipulare un  contratto sociale che eviti la violenza permanente e la lotta di tutti contro tutti. Pace, giustizia e sicurezza sono le funzioni centrali della sovranità collettiva delegata allo Stato.

Gli effetti catastrofici della Guerra dei Trent’anni nell’Europa del XVII secolo, che contrapponeva gli Stati assoluti e i loro blocchi di alleanze difensive gli uni contro gli altri, trasferirono nelle relazioni interstatali, attraverso la Pace di Westfalia, la stessa esigenza di porre limiti alla sovranità assoluta delle politiche di sicurezza delle Repubbliche, dei principi e dei monarchi del tempo, stabilendo limiti riguardo al governo delle loro popolazioni, ai cambiamenti dinastici, ai confini e alle alleanze per evitare la rottura del regime di sicurezza collettiva concordato e conservare un equilibrio dei poteri.

Tutto il diritto internazionale da allora ha ruotato attorno a questo concetto di sicurezza collettiva, estendendosi ai territori conquistati delle colonie, agli oceani e a qualsiasi spazio reale o virtuale di proiezione della sovranità degli Stati. L’idea stessa che uno Stato possa esistere al di fuori del riconoscimento reciproco della “comunità di Stati” lo consegnerebbe alla barbarie e significherebbe privarlo di ogni sicurezza contro la violenza degli altri Stati. La pretesa dell’esistenza di uno stato di “anarchia” di sovranità statali assolute è un mito che ha un fondamento storico reale tanto improbabile quanto la sopravvivenza degli individui al di fuori di un qualche tipo di società.

La necessità di una “comunità di Stati” basata sulla sicurezza collettiva è stata affermata più volte nonostante le differenze di regimi politici ed economici che possono esistere tra gli Stati. La critica illuminata dell'”egemonismo” – che ha cercato di ridurre la “comunità di Stati” ad un’alleanza o blocco di Stati uguali e di sottoporre gli altri a sanzioni e violenze collettive fino a quando non fossero stati assimilati al “diritto internazionale” dell’alleanza dominante – , è stato il tema principale del «cosmopolitismo» che, dopo il dibattito tra Anarcharsis Cloots  e Immanuel Kant, ha optato fino ad oggi per la legittimità della pluralità degli Stati, della loro associazione volontaria e della sicurezza collettiva come valori del diritto internazionale.

Così è nato il “concerto europeo” dopo la sconfitta dell’egemonismo napoleonico e del diritto internazionale umanitario, con le sue regole sulla guerra e la risoluzione pacifica delle controversie, introdotto dalle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907. Ma lo scontro dei blocchi imperialisti nel mondo, la prima guerra mondiale  – dopo la quale furono pubblicati i documenti della diplomazia segreta e della corsa agli armamenti che avevano caratterizzato la competizione imperialista -, l’esclusione e le condizioni imposte agli Stati che erano appartenuti agli Imperi sconfitti pesarono in modo tale da non potersi evitare il fallimento del sistema di sicurezza collettiva parziale che la Società delle Nazioni aveva cercato di attuare di fronte alla nuova competizione imperialista e all’ascesa dei regimi nazifascisti.

Per «sicurezza collettiva» si può intendere, quindi, un regime di sicurezza universale in cui tutti gli Stati cooperano per assicurare la pace e la sicurezza internazionale contro quegli Stati che la mettono in discussione con la forza.

Quando le Nazioni Unite furono create nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale, la sua Carta stabiliva nei Capitoli VII e VIII un sistema universale di sicurezza collettiva gestito esclusivamente dal Consiglio di Sicurezza, che può stabilire sanzioni, imporre blocchi militari e mantenere o ripristinare la pace con la forza tra gli Stati membri. Nel suo art. 52 essa subordina l’esistenza di “accordi o organizzazioni regionali” relativi alla pace e alla sicurezza internazionale alla loro compatibilità con le finalità e i principi della Carta e nel suo art. 53 precisa che non potranno essere usate  “misure coercitive senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza”.

L’attuale crisi del regime di sicurezza collettiva

È ovviamente discutibile fino a che punto l’attuale struttura oligarchica del Consiglio di sicurezza – con cinque potenze nucleari permanenti con potere di veto e dieci Stati senza diritto di veto, eletti dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite – sia in grado di adempiere al mandato della Carta. L’equilibrio a partire dalla sua creazione è a dir poco discutibile, ma al momento non c’è altra alternativa, anche quando l’impotenza  dovuta alla formazione di blocchi regionali attorno ai membri permanenti ha portato alla bilateralizzazione dei conflitti internazionali tra gli Stati Uniti, che sono la potenza egemonica dopo la seconda guerra mondiale e l’URSS fino al 1991 e successivamente la Federazione Russa e la Repubblica popolare cinese.

Il problema principale di questo regime di sicurezza collettiva è stato dal 1991, dopo il crollo dell’URSS e la prima guerra del Golfo, la proclamazione dell’egemonia unilaterale degli Stati Uniti  – inscenata da George W. Bush nel suo discorso sulla corazzata Missouri – e l’impossibilità di mantenere tale assetto in contrasto col regime di sicurezza collettiva esistente, fino al clamoroso fallimento della guerra in Afghanistan nel 2021. Il graduale ritiro dai diversi conflitti regionali in cui gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali avevano agito per imporre i propri interessi ha dato il via a una multipolarità degli equilibri di potere tra le Potenze regionali, che non solo difendono i loro interessi particolari, ma agiscono anche come procuratori di altri. E questo è stato un incentivo fondamentale per l’industria delle armi.

In sostanza, quando l’assoluta sovranità degli Stati per decidere la propria politica di sicurezza viene riproposta  più e più volte come principio da osservare, si fomenta la contraddizione geopolitica del nostro tempo: questa consiste nella incompatibilità tra la dichiarazione di egemonia unilaterale degli Stati Uniti – rispetto a cui la NATO è un meccanismo volto a subordinare agli interessi americani quelli dell’Unione Europea e di altri Stati europei – e l’emergere di sistemi regionali di equilibrio dei poteri. Questa contraddizione è la conseguenza del fatto che si è bloccato il sistema di sicurezza collettiva gestito dal Consiglio di Sicurezza a causa della competizione interimperialista tra gli USA (e i loro alleati) da un lato e la Repubblica Popolare Cinese, come potenza globale, e la Federazione Russa, come potenza regionale, dall’altro.

Ucraina e ucraini come vittime

La transizione dal socialismo irreale al capitalismo esistente in Ucraina dopo il crollo dell’URSS ha lasciato il posto a un processo di saccheggio della proprietà statale da parte di una serie di oligarchi regionali, di deindustrializzazione e di caduta nella povertà, a livelli paragonabili solo a quelli dovuti alla seconda guerra mondiale, ciò che ha effettivamente trasformato l’Ucraina in uno “Stato fallito” dopo la Grande Recessione del 2007-8 e la Crisi del Covid-19.   L’unica possibilità per sfuggire alla polarizzazione imposta dall’esterno dalle grandi Potenze nella loro competizione interimperialista, è lo sviluppo di un progetto per un Paese plurale che tenga conto delle diverse comunità culturali e minoranze nazionali con pari cittadinanza; è uno statuto internazionale di neutralità che consenta , con l’applicazione degli Accordi di Minsk II, il graduale disarmo del Paese, la fine della guerra civile e le riforme costituzionali democratiche che garantiscano con il diritto di cittadinanza anche un’indipendenza nazionale inclusiva contro i nazionalismi escludenti. Ciò suppone non il riarmo e la sottomissione  attraverso il debito estero, che si accompagnano a politiche di austerità e disuguaglianza, ma piuttosto il recupero delle condizioni vitali minime che consentano la partecipazione democratica dell’intera popolazione, fino all’indizione di un referendum sulle opzioni di sicurezza e di difesa.

Il principio della sicurezza assoluta e della sovranità in campo militare dell’Ucraina è di fatto diventato un pretesto per mantenere la presenza della NATO e collocarla nel contesto regionale europeo sotto l’egemonia statunitense dopo il fallimento americano in Afghanistan. Tutto questo sulla base del mantenimento della dichiarazione di Bucarest del 2007 secondo cui l’Ucraina e la Georgia dovevano essere “membri della NATO”. In realtà nemmeno il suo segretario generale Stoltenberg – che con le sue dichiarazioni ha contribuito in modo significativo a questa crisi geopolitica – è disposto ad estendere la garanzia di sicurezza dell’art. 5 del Trattato Nord-Atlantico, con la sua dottrina strategica della deterrenza nucleare, a uno Stato fallito come l’Ucraina.

Di fronte all’obiettivo universale del disarmo nucleare, alle violazioni del Trattato per la non Proliferazione nucleare da parte delle Potenze nucleari e all’entrata in vigore del Trattato per l’interdizione delle armi nucleari, la rivendicata funzionalità della NATO e l’insostenibile subordinazione degli interessi europei all’egemonia statunitense, si fondano sull’ombrello del deterrente militare nucleare statunitense. Tutte le affermazioni del movimento per il disarmo, delle lotte contro l’installazione di missili nucleari tattici in Europa che si sono combattute negli anni ’60 e ’70, sono oggi valide di fronte alla nuova corsa agli armamenti, alla modernizzazione degli arsenali  per la “deterrenza” e alla lotta per il controllo degli armamenti esistenti.

Il conflitto regionale ucraino, che deriva dal fallimento della transizione al capitalismo reale da parte delle oligarchie estrazioniste e predatorie eredi della nomenklatura stalinista -come hanno dimostrato le crisi in Bielorussia e Kazakistan –  chiede che siano ripresi sul serio il concetto di «sicurezza collettiva» e l’idea stessa dell’Europa «dall’ Atlantico agli Urali» come area di pace democratica, sociale ed economica condivisa. Perché l’alternativa è il blocco della transizione ecologica e l’instabilità permanente nel continente europeo compresa la deterrenza nucleare ereditata dal passato. Significherebbe lasciare il futuro nelle mani di Trump, Johnson, Biden, Putin, Stoltenberg al potere e dei loro partner. Sarebbe tornare al passato.

Gustavo Buster
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(*)  Gustavo Buster . È co-editore di Sin Permiso. Articolo pubblicato da “Bitácora” di Montevideo.
Da Other News news@other-net

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