L’APPELLO PER LA TERRA VISTO DALLA DIFFERENZA FEMMINILE

Il nodo donna-natura L’APPELLO PER LA TERRA VISTO DALLA DIFFERENZA FEMMINILE “Costituente Terra” tiene conto di ciò che la “politica delle donne” ha espresso in tutto il mondo in termini […]

Il nodo donna-natura

L’APPELLO PER LA TERRA VISTO DALLA DIFFERENZA FEMMINILE

Costituente Terra” tiene conto di ciò che la “politica delle donne” ha espresso in tutto il mondo in termini di elaborazione e pratiche di Cura della vita, delle relazioni e della Terra? Elaborazione giuridica e esperienze concrete

Rita Podda

Quanto segue è tratto dall’intervento di Rita Podda all’incontro tenutosi a Cagliari il 23 gennaio 2020 per discutere la proposta di una Costituzione della Terra e l’Appello “Perché la storia continui”.

Sulla Proposta per una Costituzione della Terra, mi sono detta che sarebbe stato importante per interloquire con le altre e gli altri partire da me, dalle ragioni per cui questo Appello mi ha interpellata fin da subito, fino a sottoscriverlo, a farlo circolare riponendo su di esso la mia fiducia che possa rappresentare lo strumento per l’avvio di un percorso comune e articolato di elaborazione di pensiero e di azioni concrete fra tante e tanti, come li definisce il documento, di “buona volontà e di non perdute speranze” che si pongano come fine che “la storia continui” e pertanto lavorino ad una possibile inversione delle cose.

Penso che i ragionamenti che partono dalle ragioni del sé siano importanti nell’avvio del confronto. Ora, la realtà che abbiamo davanti è che oggi c’è una maggior convinzione dell’urgenza di una transizione ecologica e che questa riguarda non solo lo smettere di bruciare combustibili fossili. Alle spalle di tutto questo ci sono anche 30 anni, con un maggiore accento critico negli ultimi 12-13 anni, di disastro prodotto nelle vite di tante persone da un capitalismo predatorio senza freni, di cui le massicce migrazioni sono solo la punta dell’iceberg.

La crisi può trasformarsi in opportunità, il movimento trasformativo genera speranza, possiamo pensare a una “giustizia climatica” in cui le politiche per l’ambiente e la giustizia sociale vadano di pari passo.
Prendere coscienza e “fare la propria parte” non è semplice perché la questione è molto complessa, perché soprattutto sulle questioni climatiche è evidente che poco dipende da noi, dipendiamo da quello che fanno e che faranno Paesi molto lontani dal nostro, da come la Terra si trasforma, dalle informazioni che ci vengono date dalla scienza sulle sue trasformazioni e sofferenze. È questione complessa perché gli esiti di ciò che avviene oggi sono visibili a distanza di molti anni e più che in altri casi la politica che si fa è legata a un atto di fiducia, a verifiche che avverranno in un mondo in cui so che io non ci sarò più. È questa una vocina cinica e realistica che, come direbbe qualcuno, andrebbe tacitata da un dovuto sacro spirito solidale intergenerazionale.Per quanto ciò sia giusto io ho provato anche a ragionare in un altro modo, partendo da me, dalla mia esperienza di sessantaseienne, da quello che ho vissuto e praticato nel corso della mia vita adulta, da come ho imparato ad avere una mia lettura, una mia immagine del mondo e a nominare le cose del mondo. Per quanto abbia fatto nel tempo diverse esperienze politiche, ho imparato quello che so fondamentalmente dal Femminismo della differenza, che non è quello della differenza dell’ordine delle cose, del determinismo biologico, o della lotta fra i sessi, ma di una differenza sessuale come differenza umana originaria, una differenza che si accetta come il fatto stesso di essere un corpo e che vissuta liberamente è una sorgente inesauribile di significati nuovi per cui essere donna ha avuto nel passato e ha nel presente un potenziale proprio; certo, un potenziale, più che realizzazioni, a causa delle subordinazioni vissute dalle donne nelle società patriarcali. È il senso della vita che ho vissuto, la realtà che mi circonda e una prospettiva futura che si allontana sempre più dal mondo che volevo e che ancora vorrei, che mi hanno quindi fatto interloquire con quest’Appello con cui ho provato a dialogare interrogandomi sui suoi vari passaggi e la sua prospettiva.

L’Appello apre proponendo di “suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra” ed io mi sono chiesta: ci sono io qui, ci sono le donne dentro questo indistinto popolo a cui in tanti nella storia si sono richiamati anche nella stesura delle Carte, e se ci sono, come ci sono?
Quando si dice: “L’inversione del corso delle cose è possibile. Essa ha un nome: Costituzione della Terra”, “Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola al potere, ha garantito i diritti, affermato l’eguaglianza” mi si è aperta subito la finestra sulla storia dell’esclusione prima e del divario poi fra diritti, eguaglianza formale e sostanziale, per come in particolare sono stati e sono ancora presenti nelle vite delle donne, per il fatto d’essere donne, in tutto il mondo.

Non può esserci una politica “neutra”

Nell’Appello si afferma, sempre al punto de “Il cambiamento è possibile”, che la Costituzione del mondo è la “bussola di ogni governo per il buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla politica”; io mi sono chiesta se questa “produzione” tenga o meno in considerazione ciò che, partendo dall’esame della propria differenziata esperienza dello stare al mondo, la “politica delle donne” ha espresso, in tutto il mondo – dalle grandi realtà urbane occidentali, medio-orientali al piccolo villaggio agricolo indiano – in termini di elaborazione e pratiche di Cura della vita, delle relazioni e della Terra, perché per me non ci può più essere una politica “neutra”, quella che storicamente e culturalmente si è manifestata attraverso la riduzione della diversa umanità delle donne all’Uno universale maschile.

Se poi, come si dice “la sfida della realtà causa il pensiero”, e si propone una Scuola che produca un nuovo pensiero della Terra, con lo “scopo di indurre a una mentalità nuova e a un nuovo senso comune”, allora, ho pensato, sarà necessario che quando si parla di “aree tematiche da perlustrare”, nella “rete di scuole con aule reali e virtuali”, e si inserisce al punto 6) di queste tematiche “il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra”, ecco mi sono detta qui occorre fare particolare chiarezza.
Malena Erman, che con la figlia Greta ha scritto il libro “La nostra casa è in fiamme”, tira in ballo il Femminismo affermando che la battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo (e il suo intendimento non è certo quello di escludere gli uomini ma di sfidare quelle strutture e quei valori che hanno portato alla crisi in cui ci troviamo). Ella giustamente fa presente che la stessa efficacia delle azioni concrete per una rapida transizione ecologica (come richiesto dal movimento “Fridays For Future”, a partire dallo smettere immediatamente di bruciare combustibili fossili), dipenda dal fatto che si intreccino con lo smantellamento della strutturazione capitalistica del mondo e del sistema di pensiero che hanno radici maschili e ci hanno portato sull’orlo dell’abisso. Sono d’accordo con lei, il Femminismo c’entra, perché so bene che il Femminismo della differenza, quello meno rivendicazionista di parità e spartizione cogli uomini, meno visibile di quello americano e nord europeo ma più radicato in Italia, Francia, Spagna, da oltre 50 anni sfida quelle strutture e quei valori, non solo perché ne va della vita delle donne ma perché ne va di un comune “cambio di civiltà”. Occorre voltar pagina rispetto ad una struttura di pensiero maschile occidentale che Vandana Shiva ha bollato come “monocultura della mente”, non diversamente dal Femminismo che ha svelato come l’Uno Universale, a cui si sono sempre richiamati nella storia dell’idea di progresso, nella teoria e nelle prassi, compresa quella dell’elaborazione delle Carte Costituzionali, i movimenti illuminista, progressista, comunista, liberale, è un Uno Universale di sesso maschile come misura di tutto, risultato della cancellazione delle differenze presenti nella comunità umana, a cominciare da quella della donna.

Non si riesce a pensare la fine del capitalismo

Per me quindi pensare la “differenza”, in ogni percorso politico trasformativo e creatore di verità e giustizia, come penso sia questo, è la sfida che riguarda tutti per voltar pagina nei confronti di un pensiero maschile che nella società occidentale è ancorato nella Filosofia e nella Teologia pre–conciliare e che si basa sulla appropriazione, l’assoggettamento o la riduzione a sé dell’altra e dell’altro, o di una sua trasformazione in un oggetto di conoscenza e di utilità. È necessario in primis per me disintegrare quelle che sono resistenti strutture di pensiero che hanno portato a sacralizzare la “religione capitalistica”, fino a non poter immaginare un futuro senza di essa neanche da parte della sinistra, fino a sacrificare ad essa la Terra e i suoi abitanti, rendendo particolarmente complicato anche un immaginario di transizione; si è addirittura in grado di pensare alla fine della vita sul pianeta ma non a una possibile fine del capitalismo. La riflessione sviluppata dal Femminismo della differenza ha significato e significa per me avere uno strumento per restare meno intrappolata nell’abbecedario di questa ragnatela di pensiero che ha sostenuto e sostiene il capitalismo, riuscire ad imprimere un segno positivo in più all’immaginario della transizione. E questa Costituente per una Costituzione della Terra, vista in questo senso, può diventarlo, perché pone in discussione, come la “Laudato si’” di Papa Francesco, la questione dell’Ecologia Integrale, l’esperienza storica del rapporto dell’umanità con la Natura, la presunzione che la Natura esistesse per l’esclusivo vantaggio predatorio dell’uomo. Le donne furono identificate con la Natura e fatte anch’esse oggetto di predazione; non si volle riconoscere la “differenza” come altro modo di essere umani; si costruì un sistema di pensiero e pratiche di confinamento e sfruttamento a sostegno di ciò, che il capitalismo ha ereditato; esso non ne è all’origine, lo ha rielaborato e piegato a suo vantaggio. Dietro c’era senz’altro anche la questione dell’inconscio, di riduzione, declassamento dell’altro da sé a “natura priva di anima”, base naturale che comporta inferiorità, stato di passività e addomesticamento/assoggettamento. Da qui la creazione dei dualismi, delle opposizioni natura/cultura, uomo/donna, mente/corpo; per Hegel il dualismo di un eterno principio femminile che sta a presiedere i legami naturali, la famiglia, un destino per la donna segnato dalla sua capacità di generare e da qui la necessità del suo assoggettamento a beneficio della comunità; in opposizione, invece, un principio virile maschile che, in quanto presidio dello spirito comunitario, non può che essere nemico dell’ambito ristretto della famiglia naturale e di chi la presiede.

Occorre quindi stare attenti e attente a non cadere in questa identificazione donna/natura per come l’ha introdotta la cultura patriarcale. A sciogliere questo nodo e a metterlo a frutto nell’attuale dibattito sulla crisi del Pianeta mi hanno aiutata nel corso degli anni, a partire dalla metà degli anni ‘70, alcuni testi di grandi pensatrici, Carolyn Merchant, Evelyn Fox Keller, Vandana Shiva, Carla Lonzi e Luisa Muraro e, ancor prima, Laura Conti col suo “Cos’è l’ecologia”; ma mi sento debitrice anche verso il pensiero di Alex Langer che penso sia ancora in grado di illuminare anche questo nostro cammino e la modalità delle nostre azioni ricordandoci come “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”, un invito a porsi all’ascolto, in relazione anche con quelli che non ci stanno alle prediche morali sull’ambiente, reagiscono male ai precetti (e non sto certo parlando di Trump o del famoso 1%) e che magari avrebbero bisogno di aiuto per capire prima di tutto quello che sta capitando a loro stessi, perché, come ha detto qualcuna “per essere buoni ci vuole una civiltà” e noi viviamo invece in un mondo che si sta sempre più imbarbarendo.

Mi hanno illuminato le analisi e le visioni di Laura Conti sulla “Interdipendenza”, la “Degradazione dell’energia”, il fatto che lei diceva non ci potessero essere soluzioni generali e semplici perché il Sistema Terra in cui siamo è estremamente interdipendente; la sua posizione non era etica, dava importanza alla politica ambientalista e diceva “io amo, ovvero sono attenta al sistema vivente e la scienza mi aiuta a capire che cosa è in gioco”. La sua proposta era politica ed economica: diminuire il fabbisogno energetico e creare un altro modo di vivere. Per necessità. No quindi al predominio della scienza, non pensava risolutive le applicazioni della tecnica per ovviare alla distruzione dell’ambiente, al cattivo uso della Terra; non si affidava neanche all’Etica dell’ambiente, al solo senso di responsabilità slegata dalla conoscenza critica del rapporto Capitale/ Lavoro/ Energia, mentre oggi i due poli, quello dell’uso della Tecnologia per risolvere i problemi e quello dell’Etica occupano tutto lo spazio pubblico. Prendo quindi da Laura Conti la consapevolezza del fatto che noi siamo all’interno di un sistema vivente che non possiamo controllare, possiamo sì agire in suo favore ma solo in modo parziale soppesando conseguenze impreviste. Resta il fatto che c’è un lato inconscio del Sistema, non oggettivabile; c’è una fragilità del sistema che abitiamo e occorre fare un passo indietro per poter davvero aver cura di questa fragilità.

Un’asimmetria feconda

Da donna rifiuto la storica identificazione con la natura, la critico non perché non abbiamo un rapporto profondo e radicale con il corpo, con la sua materialità, la sua capacità di generare (perché non è che noi abbiamo un corpo ma siamo corpo vivente, che nasce cresce, invecchia e muore), ma perché il mio desiderio (e quello di tante) è quello di “dare una significazione libera” a questi legami; noi possiamo avere questa esperienza del generare che ha prodotto e produce ancora relazione, cura, cultura e sapere. E c’è in tutto questo una asimmetria fra donne e uomini che può essere messa in gioco e a frutto nella questione dell’Ecologia Integrale, nella comprensione della Interdipendenza, nel capire che non c’è una vita naturale autonoma e una vita significata dalla cultura; noi siamo interni e partecipi del fatto che il nostro destino è intimamente legato alla Terra e possiamo significarlo attraverso il linguaggio, il simbolico, interrogarci e prendere decisioni politiche su di esso. Non siamo animali accanto ad altri animali. Possiamo parlare da interni al sistema Terra dicendo parole di verità ma sapendo che non sono totalmente oggettive perché il Sistema Terra non è oggettivabile; possiamo dire verità a partire dall’esperienza del mondo che soggettivamente facciamo.

E qui torno alla Costituente che per me non può nel costruire il percorso elaborativo di una Carta mondiale che interpellare le diverse pratiche ed esperienze del vivere la Terra, i desideri, gli stili di vita, i problemi di donne e uomini nelle diverse parti del mondo, delle loro diverse comunità, piccole o grandi, che se ascoltate possono indicare soluzioni di cui abbiamo bisogno e che non si possono trovare nel sistema sociale, economico ed ecologico corrente; non può non affrontare la questione dell’economia e della politica, della gestione della verità di una Terra certamente spazio vitale generoso ma dalle risorse finite e di una economia concentrata nel soddisfare il bisogno e l’arricchimento di pochi mentre economia e politica dovrebbero essere alleate nella cura del mondo così come l’ecologia ne cura la casa.

Il pensiero della dipendenza

Alla idea di Interdipendenza e Interconnessione del Sistema Terra elaborato dagli ecologisti, il Femminismo della differenza aggiunge quella della Dipendenza: dipendiamo dall’aria, dall’acqua ma anche dalle relazioni umane; nasciamo come creature bisognose, la nostra nascita e la nostra vita sono segnate dal bisogno dell’altra e dell’altro. La reciprocità e la dipendenza consapevole penso siano l’antidoto più sovversivo all’individualismo, per una civiltà della convivenza fra tutti i livelli, umani, animali e vegetali, in un passaggio da natura a cultura senza soluzione di continuità, un cambio di civiltà, di una civiltà millenaria in cui dovrebbe finire il dominio sessista, l’ordine gerarchico, la prevalenza dell’Uno sulla pluralità delle vite e dei viventi.
Ora è vero che la proposta di lavoro che ci vien fatta per una Costituente della Terra, ossia di un movimento che influenzi la politica nei suoi soggetti istituzionali e insieme la società civile, si colloca in una realtà nuova in cui, sotto la spinta dei movimenti e delle evidenze climatiche, una parte del mondo economico e politico, dell’opinione pubblica, sembra reagire mentre fino a un decennio fa questi discorsi cadevano nel vuoto; ora si parla di disinvestimenti sui fossili, si propongono piattaforme per un “Green New Deal” per riparare la Terra ma è anche vero che se parliamo di un nuovo Costituzionalismo mondiale abbiamo consapevolezza del venire già da esperienze che ci hanno portato varie Carte rimaste per lo più inapplicate e che pertanto questa proposta ha bisogno che un’elaborazione giuridica sia accompagnata e interagisca con esperienze concrete che si muovono nel mondo per sfidare la realtà ed innescare un cambiamento tangibile. Servono certamente interlocutori e luoghi reali per indurre nuovo senso comune, a partire dal produrre riflessione e pensiero, prendere parola sulle questioni sollevate dall’Appello che intercettano gravi criticità nelle realtà locali.

Rita Podda

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