1. Due concetti di eguaglianza – Il principio di uguaglianza designa, in realtà, due principi normativi diversi, tra loro complementari ed entrambi essenziali quali fondamenti della democrazia: in primo luogo l’uguale rispetto e valore che deve essere associato a tutte le differenze di identità che fanno di ciascuna persona un individuo differente da tutti gli altri e di ciascun individuo una persona uguale a tutte le altre; in secondo luogo il disvalore che, al contrario, deve essere associato alle disuguaglianze di carattere economico e materiale, le quali non attengono all’identità delle persone ma alle loro condizioni disuguali di vita e vanno perciò rimosse o quanto meno ridotte.
E’ facile riconoscere, in questi due significati, i due principi espressi dai due commi dell’articolo 3 della Costituzione italiana: in primo luogo il principio di uguaglianza formale, in forza del quale tutti hanno “pari dignità sociale”, quali che siano le loro differenze “di sesso, di razza di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; in secondo luogo il principio di uguaglianza sostanziale, in forza del quale vanno rimossi, o quanto meno ridotti, “gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
In entrambi questi significati l’uguaglianza è un’uguaglianza nei diritti: un’égalité en droits, come dice l’articolo 1 della Déclaration del 1789, essendo i diritti i parametri dell’uguaglianza. Ma quali diritti? Non certo tutti i diritti. E’ chiaro che non siamo uguali nei diritti patrimoniali, come la proprietà privata e i diritti di credito, che al contrario formano la base della disuguaglianza giuridica in quanto diritti singolari, dei quali ciascuno è titolare in misura diversa e con esclusione degli altri. Siamo uguali nei diritti fondamentali: da un lato nei diritti di libertà, nei diritti civili e nei diritti politici, che sono tutti diritti al rispetto delle proprie differenze, siano esse naturali o culturali; dall’altro nei diritti sociali – alla salute, all’istruzione e alla sussistenza – che sono tutti diritti la cui garanzia vale a ridurre le disuguaglianze. Precisamente, l’uguaglianza formale è un’uguaglianza nei diritti di libertà, che in quanto diritti al rispetto di tutte le differenze di identità impongono, quali loro garanzie, un passo indietro della sfera pubblica, cioè divieti di lesioni. L’uguaglianza sostanziale è invece l’uguaglianza nei diritti sociali, che in quanto diritti alla riduzione delle disuguaglianze economiche e materiali impongono, quali loro garanzie, un passo avanti della sfera pubblica, cioè obblighi di prestazioni. Per questo possiamo meglio chiamare la prima uguaglianza uguaglianza liberale e la seconda uguaglianza sociale[1].
Di queste due uguaglianze, costitutive entrambe dell’identità democratica del nostro ordinamento, l’uguaglianza formale o liberale è un principio statico; l’uguaglianza sostanziale o sociale è invece un principio dinamico, che impone il progresso del nostro sistema politico in direzione della sua massima attuazione. Adottando una distinzione in uso nell’odierna filosofia del diritto, diremo che mentre il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana sull’uguaglianza formale è una regola, consistente nel divieto delle discriminazioni di tutte le differenze da esso enunciate e valorizzate, il secondo comma, stabilendo il compito di rimuovere le disuguaglianze sostanziali, è un principio direttivo, mai pienamente realizzato e solo imperfettamente realizzabile, che equivale perciò a una norma che impone un progetto politico di trasformazione della società in direzione della massima attuazione dei diritti sociali.
Si capisce, sulla base della ridefinizione qui proposta, come l’uguaglianza sia il valore che include, direttamente o indirettamente, tutti gli altri valori democratici: la dignità della persona, connessa al primo dei due significati ad essa associato; la giustizia sociale, connesso al secondo di tali significati; i diritti fondamentali, sia di libertà che sociali, il cui universalismo equivale al principio di uguaglianza; la fraternità, che suppone il riconoscimento degli altri come uguali; perfino la pace, che solo dalla convivenza tra uguali può essere realmente garantita. Possiamo inoltre, su questa base, ribaltare due vecchi luoghi comuni: l’idea di una contrapposizione tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale e, per altro verso, tra uguaglianza e sviluppo economico, che invece, come mostrerò nel prossimo paragrafo sono connessi da reciproca implicazione.
2. Il nesso tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale e tra uguaglianza e sviluppo economico – Il nesso tra le due uguaglianze – e conseguentemente tra diritti di libertà e diritti sociali, tra liberalismo e socialismo – si rivela anzitutto sul terreno della loro effettività. Per un verso, la riduzione delle disuguaglianze materiali è una condizione necessaria, oltre che del “pieno sviluppo della persona umana” di cui parla il secondo comma del citato articolo 3 della Costituzione italiana, della “pari dignità sociale” di tutte le differenti identità affermata dal primo comma del medesimo articolo. Per altro verso, il grado di uguaglianza sostanziale dipende dal grado di uguaglianza formale e di non discriminazione nelle opportunità, che a sua volta equivale al grado di effettiva uguaglianza nella libertà di realizzare i propri differenti progetti di vita.
Tra le due uguaglianze e tra le due classi di diritti sulle quali esse si fondano, esiste pertanto un rapporto di sinergia, in forza del quale il grado di uguaglianza sostanziale determina il grado di effettiva non discriminazione delle differenze, e viceversa. In tanto, infatti, i diritti di libertà e i diritti civili e politici nei quali consiste l’uguaglianza formale o liberale sono effettivi, in quanto la garanzia dei diritti sociali – alla salute, all’istruzione e alla sussistenza – nei quali consiste l’uguaglianza sostanziale ne assicuri l’esercizio realmente libero e consapevole. Inversamente, le disuguaglianze sostanziali sono sempre un veicolo di discriminazione delle differenze, quali sono quelle tra uomini e donne, tra cittadini e migranti, tra garantiti e non garantiti, tra maggioranze e minoranze.
Esiste insomma un’interazione tra disuguaglianze e discriminazioni che fa delle prime un fattore e un moltiplicatore delle seconde. Come le indagini empiriche hanno ampiamente mostrato, le disuguaglianze si ereditano, dipendendo dalle differenze di condizioni personali e sociali, dalle opportunità offerte dalle relazioni familiari, in breve dalla nascita ben più che dal merito, ed operano a loro volta come ulteriori fattori di discriminazione e, di nuovo, di disuguaglianze. Il fenomeno si è aggravato in questi ultimi anni, nei quali si è sostanzialmente interrotta la mobilità sociale, non solo in Italia ma in tutti i paesi occidentali. Gli Stati Uniti, tradizionalmente considerati il paese della massima mobilità intergenerazionale sono oggi divenuti, a causa della crescita esponenziale delle disuguaglianze economiche e sociali, il paese della massima immobilità.
C’è poi un secondo nesso che merita di essere rilevato: quello tra livelli avanzati di uguaglianza sostanziale, assicurati dalle politiche di welfare, e sviluppo dell’economia. Contrariamente al luogo comune liberista, le spese sociali richieste dalla garanzia dei diritti sociali – alla salute, all’istruzione, alla sussistenza – non sono un lusso e, benché costose, lo sono assai meno della loro mancata attuazione. Sono infatti gli investimenti più produttivi, non essendoci produttività individuale né collettiva in assenza di garanzie dei minimi vitali: di livelli minimi di salute e sussistenza, di istruzione di base e di condizioni civili di esistenza. Di qui il valore dell’uguaglianza sostanziale e delle politiche dirette a ridurre le disuguaglianze, non solo come fini in sé, ma anche come mezzi della crescita economica.
Ne è prova il fatto che i paesi più ricchi, come sono ancora gran parte dei paesi europei, sono anche i paesi nei quali si è maggiormente sviluppato lo Stato sociale. Emblematica la storia dell’Italia, il cui sviluppo economico nei primi 35 anni della Repubblica è stato accompagnato e, aggiungo, determinato dalla costruzione dello Stato sociale in materia di salute, di istruzione, di previdenza e di diritti e garanzie del lavoro; laddove la stagnazione e poi la recessione degli anni successivi è stata accompagnata e, di nuovo, determinata dai tagli alle spese sociali e dalla demolizione dell’intero diritto del lavoro, che hanno provocato l’aumento della disoccupazione, hanno distrutto professionalità e competenze, hanno umiliato, fiaccato e depresso i lavoratori, riducendone la produttività.
Altrettanto evidenti, del resto, sono il nesso inverso e il circolo vizioso e perverso tra disuguaglianza, riduzione delle garanzie dei diritti sociali e decrescita economica. L’aumento della disuguaglianza equivale alla crescita sia della povertà che della ricchezza, l’una e l’altra fattori di recessione: l’eccessiva povertà perché determina una riduzione dei consumi, della domanda, e perciò degli investimenti e dell’occupazione; l’eccessiva ricchezza perché sempre più investita nella speculazione finanziaria o peggio nella corruzione e nel condizionamento del sistema politico tramite finanziamenti di partiti, acquisto di giornali e televisioni, confusioni e conflitti di interessi e di poteri.
Il progetto dell’uguaglianza sociale o sostanziale richiederebbe oggi, perciò. un mutamento di rotta delle attuali politiche economiche: non più le misure liberiste consistenti di fatto nella duplice abdicazione, in favore dei poteri selvaggi dei mercati, della politica al suo ruolo di governo dell’economia e del diritto al suo ruolo di garanzia dei diritti, bensì una politica economica che rifondi la sfera pubblica come sfera normativa separata dalle (e sopraordinata alle) sfere economiche private. Questo duplice ruolo – di governo della politica e di garanzia del diritto – fa parte del costituzionalismo profondo non solo della democrazia, ma ancor prima dello Stato moderno, nato quale sfera pubblica sopraordinata alle sfere private dell’economia, confuse invece nel vecchio stato patrimoniale e negli antichi regimi di tipo feudale. Esso è stabilito da quasi tutte le costituzioni europee: dagli artt. 41-43 della Costituzione italiana sulla funzione sociale della proprietà, sui limiti all’iniziativa economica a garanzia della sicurezza, della libertà e della dignità umana e sulle possibili nazionalizzazioni di imprese e servizi di utilità generale; dagli artt. 14-15 della Costituzione tedesca; dal capo III della Costituzione spagnola; dalla parte II della Costituzione portoghese; dagli artt. 17-18 della Costituzione greca.
3. Uguaglianza e democrazia – Possiamo a questo punto identificare, nelle due uguaglianze finora distinte – l’uguaglianza formale o liberale nella garanzia dei diritti politici, civili e di libertà e l’uguaglianza sostanziale o sociale nella garanzia dei diritti sociali – le forme giuridiche della dimensione formale e della dimensione sostanziale della democrazia. E possiamo leggere la loro crisi odierna come una crisi della democrazia.
Per due ragioni. La prima consiste nel nesso concettuale tra le uguaglianze nei diversi diritti fondamentali e le diverse dimensioni della democrazia costituzionale: l’uguaglianza formale nei diritti politici corrisponde alla democrazia politica o rappresentativa; quella anch’essa formale nei diritti civili corrisponde alla democrazia civile delle relazioni di mercato; quella sostanziale nei diritti di libertà corrisponde alla democrazia liberale o liberal-democrazia; quella parimenti sostanziale nei diritti sociali corrisponde alla democrazia sociale o social-democrazia.
La seconda ragione della crisi riguarda i presupposti sociali della democrazia, inevitabilmente minacciati da un’eccessiva disuguaglianza. Il grado di uguaglianza determina infatti il grado di unità e di coesione all’interno di una comunità politica: in tanto le persone si riconoscono come appartenenti a una medesima comunità, cioè a uno stesso popolo, in quanto siano e si percepiscano come uguali perché ugualmente titolari dei medesimi diritti. E’ l’uguaglianza nei diritti – gli iura paria di cui parlò Cicerone duemila anni fa[2] – che fa di una moltitudine un popolo e che ne fonda la coesione, la solidarietà e il senso comune di appartenenza a una stessa istituzione politica. L’uguaglianza si rivela così come il termine di mediazione che lega tra loro le tre classiche parole della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité. Essa forma infatti il presupposto dell’effettività dell’uguaglianza così nei diritti di libertà come nei diritti sociali, e perciò la condizione della fratellanza o solidarietà che consentono di parlare dell’unità di un popolo nell’unico senso in cui tale unità merita di essere perseguita.
Quelle tre parole della rivoluzione francese sono invece costantemente messe l’una contro l’altra dalle odierne ideologie liberiste e para-fasciste. Per queste ideologie, infatti, la fratellanza (o solidarietà) e l’uguaglianza non sono neppure valori, dato che ad esse vengono contrapposti il valore della competizione da parte delle ideologie liberiste e un’antropologia della disuguaglianza da parte delle subculture reazionarie di tipo classista, maschilista e razzista. Quanto alla libertà, le ideologie liberiste – poiché intendono con essa anche la proprietà privata e i diritti del mercato, che sono invece diritti-potere sui quali si basa, ripeto, la disuguaglianza – la concepiscono non solo come non implicata, ma addirittura come contrapposta all’uguaglianza.
Di qui il tendenziale anti-costituzionalismo delle culture liberiste e reazionarie. Il costituzionalismo democratico, fondandosi sul principio di uguaglianza nei due sensi sopra distinti, cioè sull’uguale valorizzazione di tutte le differenze di identità e sulla riduzione delle disuguaglianze economiche e materiali, richiede un passo indietro della sfera pubblica a garanzia delle libertà individuali, e quindi un diritto penale minimo, e un suo passo avanti a garanzia dei diritti sociali, e quindi uno Stato sociale massimo. Le ideologie liberiste e populiste, al contrario, sostengono, nelle loro diverse componenti, esattamente l’opposto: in primo luogo un diritto penale massimo, invocato dalle sue componenti reazionarie che chiedono un passo avanti dello Stato contro la sola delinquenza dei poveri e contro l’immigrazione e, insieme, la sua invadenza in tutte le questioni bioetiche, dall’indissolubilità del matrimonio alla penalizzazione dell’aborto, dai limiti alla procreazione assistita ai trattamenti obbligatori contro il diritto di morire di morte naturale; in secondo luogo uno Stato sociale minimo, promosso dalle sue componenti liberiste che rivendicano invece il passo indietro della politica e del diritto rispetto alle libere dinamiche del mercato, inclusa la criminalità dei potenti a sostegno della quale invocano un garantismo del privilegio, e al libero sviluppo sia della ricchezza che della povertà. Che sono esattamente le posizioni para-fsciste e liberiste oggi dominanti e tendenzialmente alleate: l’una – xenofoba, razzista, maschilista e illiberale – ostile all’uguaglianza formale tramite i diritti di libertà; l’altra – liberista a anti-sociale – ostile all’uguaglianza sostanziale tramite i diritti sociali.
4. Disuguaglianze globali. L’alternativa del costituzionalismo globale – L’uguaglianza non è solo il più importante principio costituzionale delle democrazia nazionali. E’ un valore universale, stipulato come fondamentale dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e da tutte le successive carte internazionali dei diritti umani. A livello globale, tuttavia, essa è vistosamente violata in entrambi i suoi significati: quale uguaglianza liberale, consistente nella tutela delle differenze, e quale uguaglianza sociale consistente nella riduzione delle disuguaglianze.
I dati statistici sono spaventosi. Sono 828 milioni le persone che nel 2021 hanno sofferto la fame e la sete e oltre 2 miliardi quelle che non hanno accesso ai 460 farmaci essenziali o salva-vita che fin dal 1977 l’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilì che debbano essere accessibili a tutti. Un milione di bambini muore ogni anno per la fame, 13 milioni di bambini sono in pericolo di vita per malnutrizione, 45 milioni sono gravemente malnutriti, 8 milioni di persone muoiono per la non disponibilità dei farmaci salva-vita, vittime del mercato oltre che delle malattie, dato che taluni di questi farmaci sono brevettati, o peggio non prodotti per difetto di domanda nei paesi ricchi, dove molte delle malattie infettive da essi curate sono state debellate e sono oggi scomparse.
Queste tragedie non sono catastrofi naturali. Sono il risultato della mancata introduzione delle garanzie che avrebbero dovuto essere istituite in attuazione delle tante carte internazionali dei diritti umani. Tutti i diritti stabiliti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stipulato a New York il 16 dicembre 1966 – il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, i diritti alla sussistenza – sono rimasti sulla carta. La loro ineffettività equivale alla loro violazione, essendo (l’introduzione del)le loro garanzie implicate ed imposte da quelle aspettative positive di prestazione o negative di non lesione nelle quali tutti i diritti consistono. Siamo dunque in presenza di una gigantesca omissione di soccorso, che si aggiunge alle pratiche criminali che hanno creato, dapprima con le colonizzazioni e poi con l’odierna globalizzazione dei poteri selvaggi dei mercati, le condizioni di indigenza nelle quali vivono e muoiono milioni di esseri umani. E’ una carenza di garanzie e delle relative istituzioni di garanzia tanto colpevole quanto insensata, se si pensa ai suoi terribili effetti – i crescenti flussi migratori, l’odio per l’occidente, il discredito dei suoi valori politici, lo sviluppo della violenza, del crimine organizzato, delle guerre civili, dei razzismi, dei terrorismi e dei fondamentalismi – e, per altro verso, alla facilità con cui essi potrebbero essere evitati con vantaggio di tutti, inclusi i paesi ricchi. La maggior parte dei farmaci salva‑vita, come i vaccini contro la poliomelite, la tubercolosi, il morbillo e la difterite, che provocano ogni anno milioni di morti, non costano quasi nulla, ma manca una rete di distribuzione adeguata. Più in generale, la spesa necessaria a soddisfare i minimi vitali sarebbe bassissima. “La povertà nel mondo”, ha scritto Thomas Pogge qualche anno fa, “è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo… La sua eliminazione non richiederebbe più dell’1% del prodotto globale”[3]: precisamente l’1,13% del Pil mondiale, 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti.
Basterebbe dunque una modesta redistribuzione della ricchezza a livello globale per togliere dalla miseria metà della popolazione mondiale e, insieme, per promuovere lo sviluppo economico dei paesi poveri, con conseguente beneficio – la pace, la stabilità politica, la riduzione e la sdrammatizzazione delle migrazioni e una crescita economica equilibrata –, anche per i paesi ricchi. Il mantenimento delle disuguaglianze dipende purtroppo dai sicuri vantaggi che ne provengono, nei tempi brevi, per i grandi poteri economici globali: lo sfruttamento para-schiavistico dei lavoratori poverissimi; la svalutazione promossa dal mercato globale delle materie prime dei paesi poveri; la possibilità di un diretto sfruttamento intensivo dei loro territori e delle loro risorse naturali.
Contro questa scandalosa emergenza umanitaria, come del resto contro le altre grandi emergenze, dalla guerra al riscaldamento climatico, c’è un solo rimedio: l’espansione del paradigma costituzionale a livello globale, oltre che nazionale, contro i poteri economici privati, oltre che contro i poteri pubblici statali e a garanzia dei beni che possiamo chiamare fondamentali, perché vitali, oltre che dei diritti fondamentali. E’ questo il progetto di una Costituzione della Terra avanzato dall’associazione “Costituente Terra” e che va diffondendosi in tutto il mondo[4].
A differenza delle tante carte dei diritti umani esistenti ed anche delle loro proposte di riforma, questo progetto prevede la creazione di istituzioni globali che ho chiamato di garanzia primaria perché, diversamente dalle istituzioni giudiziarie di garanzia secondaria che intervengono in caso di violazione dei diritti, consistono nell’immediata attuazione e soddisfazione dei diritti medesimi. Andrebbero anzitutto organizzate, di fronte ai giganteschi problemi sociali della fame e della miseria, istituzioni globali deputate alla garanzia dei diritti sociali previsti dai Patti del 1966. Talune di queste istituzioni – come la Fao, l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Unesco – esistono da tempo, e occorrerebbe dotarle dei mezzi e dei poteri necessari alle funzioni di erogazione delle prestazioni alimentari, sanitarie e scolastiche: stabilendo per esempio, come prevede la costituzione brasiliana del 1988, quote annuali del prodotto mondiale da destinarsi al loro finanziamento. Altre istituzioni – in tema di garanzia dell’ambiente, del lavoro, dell’abitazione e di altri diritti vitali – dovrebbero invece essere inventate, progettate e istituite. A garanzia della pace e della sicurezza dovrebbero essere messe al bando tutte le armi, attraverso la previsione e la severa punizione come crimini dell’umanità della produzione, del commercio e della detenzione di tutte le armi, corresponsabili di tutti gli omicidi, di tutti gli atti di terrorismo e soprattutto di tutte le guerre che oggi insanguinano l’umanità. A tutela dell’ambiente naturale, andrebbe istituito un demanio planetario di rango costituzionale, onde sottrarre alla privatizzazione e alla dissipazione beni vitali della natura dalla cui conservazione dipende la sopravvivenza del genere umano. Andrebbe introdotta una fiscalità globale fortemente progressiva per finanziare le istituzioni globali di garanzia, e anche per impedire le attuali ricchezze sterminate, utilizzate spesso per finalità antidemocratiche come la corruzione, l’acquisto dei media, il condizionamento e la deformazione sia della democrazia politica che del mercato. Infine, andrebbero riformate le attuali istituzioni internazionali di governo dell’economia – la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio –, quanto meno prevedendo che i loro dirigenti siano nominati in rappresentanza non più del prodotto interno lordo dei diversi paesi, bensì delle loro popolazioni, e orientandole allo scopo, opposto a quello da esse finora perseguito, dello sviluppo economico dei paesi poveri.
Sembra un progetto utopistico e irrealistico. Invece è la sola risposta razionale e realistica a catastrofi globali che minacciano il futuro dell’umanità. Ma la ragione, sappiamo, non basta. Ad essa, come sempre, dovrebbe aggiungersi una specifica energia politica costituente, quale solo può provenire da una rifondazione della politica e da una rinnovata scoperta dell’impegno e della passione civile a livello di massa. E su questo, purtroppo, è difficile oggi esser
[1] Per un’ampia analisi del significato del principio di uguaglianza, rinvio al mio Manifesto per l’uguaglianza, Laterza, Roma-Bari 2019.
[2] Cicerone, De republica, Istituto Editoriale Italiano, Roma 1928, lib. I, XXV, p. 68: “Populus autem non [est] omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus”. E più oltre, ivi, XXXII, p. 80: “Quo iure societas civium teneri potest, cum par non sit condicio civium? Si enim pecunias aequari non placet, si ingenia omnium paria esse non possunt, iura certe paria debent esse eorum inter se qui sunt cives in eadem re publica. Quid est enim civitas nisi iuris societas civium?” (corsivi miei)
[3] T. Pogge, Povertà mondiale e diritti umani. Responsabilità e riforme cosmopolite (2008), tr. it. di D. Botti, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 304.
[4] Ho sostenuto più volte la necessità di un costituzionalismo globale. Tra gli scritti più recenti richiamo Costituzionalismo oltre lo Stato, Mucchi, Modena 2017; La costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari 2021, cap. IV, pp. 176-224 e cap. VIII, pp. 394-450; Perché una Costituzione della Terra, Giappichelli, Torino 2021; Per una Costituzione della Terra. L’umanità a un bivio, Feltrinelli, Milano 2022, che reca in appendice un progetto in 100 articoli di una Costituzione della Terra.
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