Chi ci guadagna con la crisi in Ucraina

L’industria delle armi ha bisogno che i suoi prodotti siano testati sul terreno, altrimenti la pubblicità non funziona. Perciò ogni tanto sono necessarie vere e proprie guerre Jake Lynch

La guerra non sarebbe nell’interesse di nessuno. Quante volte lo abbiamo sentito, nell’attuale crisi ucraina? Ma c’è un’ovvia eccezione. Le “industrie della difesa” sono perennemente vincitrici in tali situazioni  e, qualunque sia l’esito della situazione che ha coinvolto migliaia di truppe russe al confine, i trafficanti d’armi cercheranno opportunità di profitto.
La stabilità non va bene, dal loro punto di vista, se genera un senso di sicurezza troppo grande. “Occorrono vere e proprie guerre di fuoco” di tanto in tanto, come dice Ismael Hossein-Zadeh, “non solo per attingere scorte… ma anche per mostrare le meraviglie di ciò che le industrie producono”. Essere in grado di timbrare l’opuscolo per un nuovo sistema d’arma con le parole “testato in battaglia” è l’ultimo stratagemma di marketing. Tra le ostilità aperte, tuttavia, un periodo di accresciute tensioni andrà bene.
Mentre l’Europa negli anni ’90 godeva dei benefici di un “dividendo di pace” dopo la caduta dell’Unione Sovietica,  i produttori di armi statunitensi si misero al lavoro , spingendo per l’espansione della NATO nell’Europa orientale, rinnegando così le promesse fatte a Mikhail Gorbaciov da una parata di leader occidentali – François Mitterrand, Hans-Dietrich Genscher, persino il Segretario di Stato americano James Baker – che l’alleanza non sarebbe cresciuta in direzione dei confini della Russia. Sotto la forte pressione delle lobby, il Congresso degli Stati Uniti nel 1996 decise  di istituire un fondo di molti miliardi per consentire al Pentagono (alias ai contribuenti) di garantire prestiti per le esportazioni di “difesa” ai nuovi membri della NATO a corto di liquidità (Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca) allo scopo di portare i propri eserciti all’altezza degli standard richiesti.
Quindi la principale origine della posizione assunta da Putin contro l’estensione della NATO all’Ucraina è stata il sabotaggio delle politiche  concepite per garantire relazioni pacifiche nell’Europa dopo la guerra fredda. Sicuramente un esempio di quella che il presidente Eisenhower, nel suo famoso discorso di commiato al popolo americano uscendo  dallo Studio Ovale nel 1961, definì l’“influenza ingiustificata” del “complesso militare-industriale”.
Mentre si preparava ad aprire le sue porte ai Paesi dell’ex Patto di Varsavia, la NATO ha cambiato le sue regole per consentire l’estensione della sua azione militare sui territori di Stati  non membri dell’alleanza, così da impegnarsi nell’”Operazione Allied Force”, ossia il bombardamento del 1999 della Repubblica Federale di Jugoslavia, e i tentativi di reprimere le rivendicazioni di indipendenza della popolazione di lingua albanese del Kosovo. Il cambiamento dei confini internazionali mediante l’uso della forza è stato un altro precedente di cui Mosca ha  tenuto conto per legittimare i propri interventi in Georgia come ora, ovviamente, in Ucraina. Se semini vento…

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