IL RITORNO DEL PROTEZIONISMO

La globalizzazione non va più bene, prevalgono gli interessi di Stato. Biden: “compreremo americano, tutto, dal ponte di una portaerei all’acciaio dei guardrail, deve essere prodotto negli Stati Uniti”

Roberto Pizarro Hofer

La globalizzazione non va più bene, prevalgono gli interessi di Stato. Biden: “compreremo americano, tutto, dal ponte di una portaerei all’acciaio dei guardrail, deve essere prodotto negli Stati Uniti”

Roberto Pizarro Hofer

A prescindere dai colori politici, l’apertura incondizionata e l’integrazione del commercio mondiale, che hanno dominato gli ultimi tre decenni, stanno cedendo il passo a una visione diversa dell’economia, in cui le esigenze di sviluppo locale e la difesa delle industrie strategiche tornano a essere importanti. Il protezionismo è rinato.

Nel suo discorso all’Unione del 4 febbraio 2023, il Presidente Joe Biden ha dimenticato i neoliberisti e i globalizzatori e ha optato per il nazionalismo protezionista. L’ex presidente Obama deve essere arrabbiato, così come Bush e Clinton, che hanno imposto il libero scambio a tutto il mondo.

Poiché nella politica internazionale non esistono principi, ma solo interessi, oggi Biden dice al mondo che gli interessi dell’America sono cambiati: “Compreremo americano per assicurarci che tutto, dal ponte di una portaerei all’acciaio dei guardrail autostradali, sia prodotto negli Stati Uniti”.

Aggiunge che l’orgoglio americano rinascerà con l’etichetta “made in America”, anziché “affidarsi a catene di approvvigionamento straniere”. Infine, tra lo sconcerto degli imprenditori cileni che speravano di poter sfruttare il capitolo sugli appalti pubblici dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, il Presidente Biden afferma: “Stasera annuncerò anche nuove regole per richiedere che tutti i materiali da costruzione utilizzati nei progetti infrastrutturali federali siano prodotti negli Stati Uniti: legname, vetro, cartongesso e cavi in fibra ottica” (Biden Address to the Union, 4 febbraio 2023).

Un anno prima, il 1° marzo 2022, sempre nel suo Rapporto alla Nazione, il Presidente Biden ha chiesto il rafforzamento dell’economia nazionale, con un forte coinvolgimento dello Stato. Ha detto che l’acciaio sarebbe stato prodotto negli Stati Uniti e che sarebbero stati investiti milioni di dollari per creare nuove fabbriche di microchip, con sussidi sia per le aziende che producono tecnologia verde sul suolo americano sia per i consumatori che acquistano veicoli elettrici prodotti negli Stati Uniti.

La politica di Biden di reindustrializzazione dell’economia, sulla base del dirigismo statale, per passare a un’economia autosufficiente e riconquistare la leadership tecnologica rispetto alla Cina è una modifica radicale delle regole del gioco imposte dagli Stati Uniti 30 anni fa. Ora: basta con la globalizzazione, basta con il libero commercio. Lo slogan è simile a quello del Presidente Trump: “Made America Great”.

La sostituzione del liberismo con la pianificazione statale mira a evitare la delocalizzazione delle aziende, a garantire l’autosufficienza per un elenco di attività che coprono quasi l’intero spettro produttivo e a mantenere il vantaggio tecnologico.

Di fronte alle critiche europee sul nuovo protezionismo americano, Biden ha risposto in modo altezzoso, durante l’incontro con i sindacati di Springfield: “Ci criticano a livello internazionale perché ci concentriamo troppo sull’America. Al diavolo. La catena di approvvigionamento inizierà in America, ma non finirà in America” (27 febbraio 2023).

Le tendenze protezionistiche sono evidenti anche nell’Unione Europea. L’allora presidente della Commissione Europea (2014-2019), Jean Claude Juncker, adottò lo slogan “Un’Europa che protegge”, segnalando la sua intenzione di proteggere le aziende europee dall’avanzata delle multinazionali digitali statunitensi e dei produttori cinesi. Questa svolta protezionistica è stata accelerata dai dazi del 2018 imposti da Trump all’UE su alluminio (25%) e acciaio (10%), oltre che a Canada e Messico.

Inoltre, lo stato di confusione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) evidenzia la crisi del libero scambio e il fallimento del progetto di creare un mercato globale basato su regole comuni negoziate a livello multilaterale.

Insomma, a prescindere dai colori politici, l’apertura incondizionata e l’integrazione del commercio mondiale, che ha dominato gli ultimi tre decenni, sta cedendo il passo a una visione diversa dell’economia, in cui le esigenze dello sviluppo locale e la difesa delle industrie strategiche riacquistano importanza. Il protezionismo è rinato.

Di fronte a questa nuova realtà internazionale, sorprende il conservatorismo di economisti, uomini d’affari e politici cileni, che faticano a comprendere l’urgenza di cambiare il modello di produzione, ponendo l’accento sull’industrializzazione delle risorse naturali. Ciò richiede anche una ridefinizione dell’apertura indiscriminata del commercio e di alcune regole degli accordi di libero scambio.

Sicuramente molti Paesi dovranno rinegoziare diversi capitoli degli accordi di libero scambio. Nel contesto del nuovo protezionismo in atto, la modifica degli accordi di libero scambio non sarà una tragedia, ma una necessità inevitabile.

Roberto Pizarro Hofer*
…………………..

* Ex Preside della Facoltà di Economia dell’Università del Cile, Ministro della Pianificazione durante il governo di Eduardo Frei Ruiz-Tagle (1994-2000), rettore dell’Universidad Academia de Humanismo Cristiano.

(da Other News, 6 marzo 2023)

Be the first to comment “IL RITORNO DEL PROTEZIONISMO”