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La relazione d’apertura in assemblea: sfide e propositi

La relazione di Luigi Ferrajoli, enunciata in apertura dell’assemblea del 21 febbraio 2024. La garanzia della pace, dell’uguaglianza e del salvataggio della natura

1. A quattro anni di distanza dalla nostra fondazione – Sono passati esattamente 4 anni dalla nostra prima assemblea, svoltasi proprio in questa sala il 21 febbraio 2020, quando fondammo Costituente Terra. In questi quattro anni siamo stati paralizzati dapprima dal Covid e poi da altre ragioni che è inutile elencare. E tuttavia alcune cose sono state fatte: il nostro sito, alimentato dalle lettere di Raniero La Valle che a nome di tutti voglio ringraziare, e poi l’elaborazione di un progetto di Costituzione della Terra, pubblicato nel 2022, tradotto in più lingue e diffuso soprattutto in Italia, in Spagna e in America Latina dove ha ricevuto innumerevoli adesioni.

Ma questi quattro anni che ci separano dalla nostra prima assemblea sono stati quattro lunghissimi anni nei quali il mondo è andato letteralmente alla deriva, in una sorta di caos globale. Le catastrofi e i pericoli che incombono sull’umanità e che allora denunciammo a sostegno della nostra proposta si sono tutti aggravati.

Sono state scatenate, anzitutto, ben due guerre insensate e terribili: l’aggressione criminale della Russia di Putin all’Ucraina e la guerra di Israele contro la popolazione palestinese di Gaza, in risposta alla terribile strage terroristica del 7 ottobre compiuta da Hamas. Due guerre accomunate dagli odi identitari e dal sostegno offerto, dal dibattito pubblico, al loro protrarsi come guerre senza fine, quali massacri disumani di persone innocenti. In Europa e in Usa sono aumentate le spese militari ed è in atto una corsa folle al riarmo, in un clima irrazionale di guerra nella politica e nei media. E questo caos sta crescendo, all’insegna della totale impotenza dell’Onu.

Si è aggravato, in secondo luogo, il riscaldamento climatico, che sta procedendo indisturbato verso il punto di non ritorno. Ogni anno l’umanità immette nell’atmosfera più anidride carbonica dell’anno precedente. Alluvioni, siccità, scioglimento dei ghiacciai, incendi e tornado, l’innalzamento dei mari e il prosciugarsi dei fiumi e dei laghi ci stanno dicendo che ci stiamo comportando come se fossimo l’ultima generazione che vive sulla terra, mentre quanti potrebbero accordarsi per impedire le catastrofi non fanno nulla, se non varare leggi punitive contro i giovani che con le loro denunce tentano di aprire i loro occhi.

E’ infine cresciuta, in maniera esponenziale, la disuguaglianza globale. Secondo il rapporto Oxfam del 2024, la ricchezza delle 5 persone più ricche del mondo è negli ultimi quattro anni più che raddoppiata, passando dai 405 miliardi del 2020 agli 869 miliardi di oggi, mentre il 60% della popolazione mondiale è impoverita, è aumentato il lavoro schiavo e in tutto il mondo le grandi rendite da capitale sono tassate assai meno dei poveri redditi da lavoro. In Italia i miliardari sono aumenti, insieme al valore dei loro patrimoni, cresciuto in quattro anni del 46%, e la parte più povera della popolazione paga la maggior parte delle imposte. Il nostro sistema fiscale è perciò diventato, nel suo insieme, regressivo. Ancora negli anni Settanta esistevano 22 aliquote fiscali, con la più bassa del 10% e la più alta che arrivava al 72%. Oggi le aliquote sono solo 3 e la più alta è di solo il 43%.

2. Le innovazioni del nostro progetto rispetto alle tante carte vigenti ed anche alle proposte di riforma dell’Onu – Di fronte a questo caos globale occorre promuovere un risveglio della ragione. Il nostro diritto internazionale è affollato da innumerevoli carte, a cominciare dalla carta dell’Onu e dalla Dichiarazione dei diritti del 1948, che promettono pace, uguaglianza, dignità e diritti universali a tutti gli esseri umani. Ma le enunciazioni di principio non bastano. Ciò che è necessario è un’innovazione radicale nella struttura stessa del paradigma costituzionale: la previsione e la costruzione di garanzie e di istituzioni globali di garanzia, in grado di attuare i principi proclamati.

E’ questa l’importante innovazione garantista, rispetto a tutte le carte dei diritti vigenti, proposta dal nostro progetto di Costituzione della Terra[1]: la presenza dei due requisiti in mancanza dei quali le promesse formulate in tali carte non potevano essere mantenute. Questi due requisiti sono: a) la rigidità della Costituzione proposta, in forza della quale qualunque norma con essa in contrasto è destinata ad essere annullata da un’apposita giurisdizione globale di costituzionalità, e b) l’imposizione, quali limiti e vincoli ai poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali, di adeguate garanzie e delle relative istituzioni. Nel nostro progetto vengono previste in primo luogo le garanzie primarie, consistenti nei divieti corrispondenti a quelle aspettative negative di non lesione che sono la pace, il diritto alla vita e tutti i diritti di immunità e di libertà, e negli obblighi corrispondenti a quelle aspettative positive di prestazione che sono tutti i diritti sociali, come i diritti alla salute, all’istruzione e alla sussistenza; in secondo luogo le garanzie secondarie o giurisdizionali, consistenti nell’accertamento, nella sanzione o nella riparazione, ad opera di giurisdizioni obbligatorie, prima tra tutte una Corte costituzionale mondiale, delle violazioni dei diritti fondamentali e delle loro garanzie primarie.

Si tratta, in breve, di rifondare il patto di convivenza stipulato con la carta dell’Onu e con le tante carte dei diritti attraverso la creazione, nell’interesse di tutti, di rigidi limiti e vincoli costituzionali imposti, da idonee istituzioni globali di garanzia, ai poteri planetari, sia di carattere politico che di carattere economico: la messa al bando di tutte le armi, non solo di quelle nucleari ma anche di quelle convenzionali, a garanzia della pace e della sicurezza; la creazione di un demanio planetario che sottragga alla mercificazione e alla dissipazione i beni comuni della natura, come l’acqua potabile, i fiumi e i laghi, le grandi foreste e i grandi ghiacciai dalla cui tutela dipende la sopravvivenza del genere umano; l’istituzione di servizi sanitari e scolastici globali, a garanzia dei diritti alla salute e all’istruzione, finora vanamente declamati in tante carte e convenzioni; l’unificazione globale del diritto del lavoro, diretto ad assicurare a tutti i lavoratori le medesime garanzie, a cominciare da un salario minimo normativamente stabilito; un fisco globale progressivo, che ponga un freno all’accumulazione illimitata delle ricchezze e serva a finanziare le istituzioni globali di garanzia.

Nessuna di queste istituzioni di garanzia primaria è mai stata istituita; mentre sono proprio queste funzioni e queste istituzioni, ben più che le funzioni e le istituzioni di governo, che a livello globale è necessario sviluppare in attuazione del progetto costituzionale. Ciò di cui abbiamo bisogno, ai fini della garanzia della pace, dell’ambiente e dei diritti umani, è non già l’istituzione di un’improbabile e neppure au­spicabile riproduzione della forma dello Stato a livello sovra­nazionale – una sorta di Leviatano o di super‑stato mondiale, sia pure basato sulla democratizzazione politica del­l’Onu – ma è piuttosto l’imposizione e la costruzione di tecniche, di funzioni e di istitu­zioni di garanzia. Le funzioni e le istituzioni di governo, essendo legittimate dalla rappresentanza politica, è bene ri­mangano quanto più possi­bile di competenza de­gli Stati, essendo più che sufficienti, a livello globale, le attuali istituzioni dell’Onu, sia pure democratizzate. Al contrario, le fun­zioni e le istituzioni di garanzia primaria della pace, dell’ambiente e dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, essendo legittimate non già dal consenso della maggioranza ma dall’universalità dei diritti fondamentali vigenti, è proprio a livello globale che soprattutto devono essere introdotte, onde rimediare alla loro possibile assenza o insufficienza a livello locale.

E’ la mancanza di queste funzioni e di queste istituzioni globali di garanzia – non meno, anzi più democratiche delle funzioni elettive di governo, giacché garantiscono i diritti fondamentali di tutti – la vera, grande lacuna dell’odierno diritto internazionale, equivalente a una sua vistosa violazione e responsabile del fallimento delle tante carte dei diritti umani. E sono queste funzioni e istituzioni di garanzia che occorre concepire e poi introdurre in una Costituzione della Terra, onde garantire la sopravvivenza del genere umano, minacciata per la prima volta nella storia dalle nostre stesse politiche irresponsabili. In assenza di queste funzioni e istituzioni e dei limiti e dei vincoli da esse imposte ai mercati globali, il rapporto tra politica ed economia si è capovolto, dando luogo a un’asimmetria tra il carattere globale della seconda e il carattere ancora soltanto statale della prima e alla conseguente crisi delle nostre democrazie. A causa di questa asimmetria, infatti, oggi non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono al contrario le grandi imprese transnazionali che mettono in concorrenza gli Stati, privilegiando per i loro investimenti quelli nei quali sono assenti le garanzie del lavoro e dei diritti fondamentali, minori o inesistenti le tutele dell’ambiente, minori le imposte e maggiori le possibilità di corrompere o comunque di condizionare i governi. Per questo, l’alternativa è oggi radicale: o si sviluppa un processo costituente di una sfera pubblica sovranazionale in grado di porre limiti e vincoli alla sovranità selvaggia dei mercati e degli Stati più potenti, tramite la creazione di istituzioni globali di garanzia dei diritti e dei beni vitali di tutti, oppure sono in pericolo non soltanto le nostre democrazie ma anche la pace e la vivibilità del pianeta.

Rispetto al costituzionalismo tradizionale, una Costituzione della Terra dovrà peraltro avere una struttura assai più estesa e complessa. Il costituzionalismo odierno è un costituzionalismo di diritto pubblico, ancorato alla forma dello Stato nazionale e declinato come sistema di limiti e vincoli a garanzia dei soli diritti fondamentali. Le espressioni “stato di di­rit­to”, “stato legislativo di diritto”, “stato costituzionale di diritto” sono significative: solo lo Stato e la po­litica, nella nostra tradizione, sa­rebbero il luogo del potere e se ne giu­stifi­cherebbe, nel diritto interno, la soggezione a re­gole e a con­trol­li e, nel diritto internazionale, al solo, debole vincolo del rispetto dei trattati; la società civile e il mer­cato, al contra­rio, non sarebbero anch’essi luoghi di potere, bensì luoghi delle li­bertà, che si trattereb­be soprat­tutto di pro­teg­gere con­tro gli abusi e gli ec­cessi dei poteri pubblici.

Il progetto di una Costituzione della Terra che poniamo alla base del nostro dibattito si caratterizza invece per un allargamento del paradigma costituzionale oltre lo Stato, in quattro direzioni: a) in direzione di un costituziona­lismo sovranazionale, in aggiunta a quello statale espresso dalle costituzioni dei diversi paesi, onde superare lo stato di natura e di guerra in cui sostanzialmente vive tuttora la società internazionale; b) in direzione di un costituzionalismo sociale, in aggiunta a quello liberale, tramite le garanzie dei diritti sociali nelle forme di un welfare di diritto o dei diritti, anziché in quelle odierne dello Stato sociale burocratico; c) in direzione di un costituzionalismo di diritto privato, in aggiunta a quello di diritto pubblico edificato soltanto contro i pubblici poteri, e non anche contro i poteri economici privati, indebitamente concepiti come libertà anziché come poteri; d) in direzione di un costituzionalismo dei beni, in aggiunta a quello dei diritti, che preveda da un lato la tutela come fondamentali, perché vitali, dei beni comuni della natura e di beni artificiali come i farmaci salva-vita e i vaccini e, dall’altro, la proibizione come illeciti, perché micidiali, di cose come le armi, i rifiuti tossici e le emissioni inquinanti.

Non si tratta solo di un allargamento, ma anche di un inveramento del costituzionalismo. Lo sviluppo di un costituzionalismo globale, al di là dello Stato, altro non è che la dovuta attuazione del costituzionalismo esistente. I diritti fondamentali stipulati nelle tante carte internazionali – se presi sul serio, cioè come norme giuridiche vincolanti – implicano logicamente le loro garanzie, la cui mancata introduzione equivale alla loro violazione e perciò a un’indebita lacuna. Precisamente, il divieto universale di lesione dei diritti di libertà e l’obbligo universale di soddisfazione dei diritti sociali sono logicamente implicati, quali loro garanzie, da quelle aspettative negative o positive nelle quali consistono tutti i diritti in tali carte stipulati.

Contro l’idea schmittiana, identiaria e nazionalista delle costituzioni, secondo cui esisterebbe un nesso concettuale tra costituzione, Stato nazionale e popolo, dobbiamo mostrare che il costituzionalismo, in forza dei principi della pace e dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani stabiliti in tutte le costituzioni avanzate, è per sua natura universalista, internazionalista, anti-identitario, anti-fascista. E che altrettanto universali e internazionali devono essere le sue garanzie quali limiti a tutti i poteri. Mostreremo che l’universalismo dei diritti umani è incompatibile sia con la cittadinanza, che è l’ultimo accidente di nascita che differenzia le persone per ragioni di status, sia con la sovranità, non essendo ammessi dalle costituzioni rigide poteri costituiti illimitati. “La sovranità appartiene al popolo”, affermano le costituzioni democratiche. Ma tale norma è compatibile con il paradigma costituzionale, che non ammette poteri sovrani, solo se viene intesa in due significati: in negativo, nel senso che la sovranità appartiene al popolo e a nessun altro, e nessun potere costituito, né assemblea rappresentativa né presidente eletto, può appropriarsene e usurparla; in positivo, nel senso che, non essendo il popolo un macrosoggetto ma l’insieme di tutti i consociati, la sovranità appartiene a tutti e a ciascuno, identificandosi con l’insieme di quei frammenti di sovranità, cioè di poteri e contropoteri, che sono i diritti fondamentali di cui tutti e ciascuno sono titolari. La sovranità, in breve, come del resto la cittadinanza, è di tutti o, che è lo stesso, non è di nessuno. Dovremmo infatti aver imparato, dai fallimenti del passato, che la vera rivoluzione democratica, al tempo stesso liberale e sociale, non consiste nella conquista del potere, bensì nell’imposizione di rigidi limiti all’esercizio altrimenti arbitrario di tutti i poteri, a garanzia dell’uguaglianza e della pace.

3. La cecità dominante e il realismo volgare – Purtroppo il nostro più grande nemico è la cecità del ceto politico e dei media, indisponibili a percepire la gravità delle catastrofi che incombono sul nostro futuro. La sola obiezione che viene mossa al nostro progetto è il suo carattere “utopistico”. Si tratterebbe di un sogno, che non potrà mai realizzarsi perché, secondo una massima oggi imperante, a ciò che di fatto accade non ci sono alternative. E’ il realismo volgare che naturalizza la realtà sociale – la politica, il diritto, l’economia –, che invece è il frutto del nostro agire o della nostra inerzia, e insieme ignora la realtà naturale delle catastrofi tollerate o provocate dalle politiche da esso stesso legittimate.

Le ragioni di questa generale incoscienza – ecologica, nucleare e umanitaria – e della nostra insensibilità morale sono molteplici. C’è il negazionismo di chi rifiuta di vedere verità troppo scomode, alimentato dall’avversione comunque alla scienza e alla sfera pubblica, su cui tutti i populismi si sono immediatamente avventati per raccattarne i voti. C’è la nostra indifferenza generata dai nostri egoismi e dall’“idea di uomo” che, come ha scritto Joseph Stiglitz, “sta alla base dei modelli economici prevalenti, ossia un individuo calcolatore, razionale, egoista, che pensa solo a se stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico, all’altruismo”[2]: un essere orribile, cui non vorremmo assomigliare, che certamente non vorremmo frequentare e che tuttavia viene proposto come modello di razionalità, benché, aggiunge ottimisticamente Stiglitz, “descriva più gli economisti che le altre persone” al punto che, “quanto più a lungo gli universitari studiano economia tanto più tendono ad assomigliare al modello”[3].

C’è infine l’immaturità determinata da una sorta di anestetizzazione dello spirito pubblico, dalla passivizzazione, dal disimpegno e dal disinteresse per la cosa pubblica: una sorta di regressione infantile – anti-politica, anti-liberale, anti-sociale, anti-illuministica –, a sostegno della deresponsabilizzazione e della delega in bianco ai poteri, quali che siano, delle decisioni che contano sul nostro futuro. E’ il disimpegno illustrato da Kant nel suo saggio sull’illuminismo del 1784. “L’illuminismo”, egli scrisse, “è luscita dell’uomo dallo stato di minorità”, cioè dall’“incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”[4]. E’ questa minorità, questo ottundimento del senso civico, questa passivizzazione, questo bisogno di un capo cui affidarsi che vengono oggi promossi dal crollo della partecipazione politica. “E’ così comodo essere minorenni!… Non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”[5]. Questi “tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sui loro simili minorenni”, mostreranno – “dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici” e impedito loro di “muovere un passo fuori della carrozzella per bambini in cui li hanno imprigionati” – “il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli”[6]. Alla maturità illuminista, aggiunse Kant, “non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella di fare pubblico uso della propria ragione”[7]: che vuol dire ragionare autonomamente, nella consapevolezza che nell’uso della ragione consiste la nostra dignità di persone e che ciascuno di noi può essere artefice del proprio futuro e tutti possiamo esserlo del futuro della democrazia, della pace e della sopravvivenza dell’umanità. E’ invece un segno di infantilismo la nostra indisponibilità a pensare il futuro come un non-futuro. Tra i motivi della nostra cecità c’è il fatto che l’auto-distruzione dell’umanità è letteralmente impensabile.

E’ perciò la stupidità il principale nemico del genere umano. La cosa più spaventosa è che questa stupidità, questo  infantilismo e questa cecità sono soprattutto diffusi tra i nostri tutori e governanti, più di tutti ammalati di presentismo e di localismo. E’ su questa cecità che si fonda il realismo volgare  espresso dall’idea che a quanto accade non esistono alternative. Contro questo realismo, che legittima come inevitabile l’esistente, occorre quanto meno distinguere ciò che è improbabile da ciò che è impossibile. E’ il primo passo perché un’espansione a livello globale del paradigma costituzionale risulti meno improbabile. Il secondo passo è che si cominci a parlarne e a progettarla, a promuoverla nel dibattito pubblico e a mostrarne non solo la possibilità ma anche la necessità e l’urgenza.

Ci aspetta dunque una gigantesca battaglia politica e culturale. Dovremo mostrare come i tanti valori che declamiamo come l’identità dell’Occidente – la pace, la democrazia e i diritti umani – sono tutti violati o inattuati, e che non potremo continuare decentemente a proclamarli finché continueranno a essere violati e inattuati dallo stesso Occidente, con le sue guerre, con l’apartheid di gran parte degli esseri umani e con le violazioni massicce dei loro diritti fondamentali, declamati come il nostro vanto ma rimasti tutti allo stato di parole, quali promesse non mantenute. La mancata attuazione di quei valori non è affatto innocente, giacché la loro attuazione sarebbe possibile se le grandi potenze del mondo lo volessero. Essa dipende dalla violazione dei divieti e dall’inadempimento degli obblighi corrispondenti a quelle aspettative negative di non lesione o positive di prestazione che sono, ripeto, i principi della pace e dell’uguaglianza e i diritti fondamentali di tutti – i diritti di libertà e i diritti sociali – già stabiliti in tante carte costituzionali e internazionali.

4. Una battaglia culturale all’insegna della ragione – Contro la tesi che non ci sono alternative allo stato attuale del mondo, è dunque necessario mostrare che un’alternativa è possibile. Sempre, l’umanità ha avuto e realizzato alternative. E’ stata un’alternativa all’ancien regime e all’assolutismo regio la Déclaration del 1789 e il successivo sviluppo dello Stato di diritto. E’ stata un’alternativa al nazifascismo la costruzione, in Italia e in Germania, della democrazia costituzionale sulla base di costituzioni rigide. E’ stata un’alternativa – sia pure solo promessa e non attuata – l’istituzione dell’Onu e delle tante carte dei diritti umani. E’ del resto compito della politica progettare e costruire le alternative future. Ed è prima ancora compito della cultura giuridica e politica non solo denunciare le violazioni, per commissione o per omissione, dei principi della pace e dell’uguaglianza stipulati nelle tante carte esistenti, ma anche disegnare l’assetto istituzionale in grado di garantirli effettivamente.

Dovremo perciò mostrare che la vera utopia, il vero irrealismo è quello che ignora la realtà, e che, al contrario, il progetto di un costituzionalismo globale è la sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che fu affrontato quasi quattro secoli fa da Thomas Hobbes: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica sulla base del divieto della guerra e della garanzia della vita. Con due differenze drammatiche rispetto alla società naturale dell’homo homini lupus ipotizzata da Hobbes. La prima è che l’attuale società internazionale è una società popolata non più da lupi naturali, ma da lupi artificiali – gli Stati e i mercati – sostanzialmente sot­trat­tisi al con­trollo dei loro creatori e dotati di una capacità distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato. La seconda è che, di­versamente da tutte le altre catastrofi pas­sate – le guerre mondiali e gli orrori dei totalitarismi – la ca­tastrofe ecologica e quella nucleare sono in larga par­te ir­reversibili, e forse non faremo in tempo a formulare nuovi “mai più”.

Dovremo peraltro mostrare che ci libereremo del razzismo, del maschilismo, dei nazionalismi identitari, ed anche dell’attuale bellicismo solo se realizzeremo a livello globale l’uguaglianza e la pace, che sono l’una il presupposto dell’altra. Anzitutto l’uguaglianza, che vuol dire due cose: in primo luogo l’uguale valore di tutte le differenze che fanno di ciascuna persona un individuo differente da tutti gli altri e di ciascun individuo una persona uguale alle altre, attraverso la garanzia dei diritti di libertà, che sono tutti diritti alla tutela e all’affermazione delle proprie differenze; in secondo luogo la riduzione delle disuguaglianze, attraverso la distribuzione della ricchezza, un fisco globale e la garanzia dei diritti sociali, alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, che sono tutti diritti a livelli minimi di uguaglianza sostanziale. In secondo luogo la pace, la quale richiede, oltre alla messa al bando delle armi e degli eserciti, che il linguaggio della politica, sia interna che internazionale, si liberino della parola “nemico”. L’ipotesi pacifista richiede infatti la costruzione, da parte della politica e dell’informazione, di un clima di pace.

A questo fine – la cancellazione dalla politica della figura del nemico – non bastano le garanzie istituzionali. E’ necessaria una battaglia culturale diretta a creare una nuova antropologia dell’uguaglianza, che escluda tutte le forme di razzismo o di suprematismo, di maschilismo o di classismo, di antisemitismo o di islamofobia e, con esse, l’idea stessa del nemico e i conseguenti conflitti identitari. L’idea del nemico, infatti, contraddice radicalmente i principi di uguaglianza, di dignità della persona e di solidarietà. Comporta, sempre, la contrapposizione tra “noi” e “loro”, dove “noi” equivale al bene e “loro” al male e “noi” abbiamo ragione e “loro” torto, quali che siano i “noi” e i “loro”. Contrariamente alle tesi schmittiane, l’idea del nemico, nella teoria della democrazia costituzionale, tanto più se cosmopolita, non è la forma, bensì la negazione della politica, oltre che del diritto.

5. Un programma di azione – In questa prospettiva, indicherò quelli che sono, a mio parere, i più immediati obiettivi programmatici della nostra associazione Costituente Terra.

5.1. Dovremo anzitutto promuovere la traduzione del nostro progetto nel maggior numero di lingue: non solo nelle lingue occidentali – inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese – ma anche nelle lingue dei popoli e degli Stati più poveri, in Africa, in Asia, al fine di raccogliere adesioni anche in questi paesi. E’ infatti necessario che soprattutto dai popoli emarginati della Terra provenga la domanda di cambiamento, nella forma di una provocazione nei confronti del civile Occidente: se volete che si  prendano sul serio i valori che declamate, allora avete l’obbligo di garantirli e questa è la carta costituzionale che traduce in garanzie i principi della pace, dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani che dall’Occidente sono tanto declamati in astratto quanto violati in concreto.

5.2. Dovremo, in secondo luogo, diffondere il nostro progetto, ottenere l’adesione del maggior numero di persone e mostrare che la battaglia a suo sostegno è anche una battaglia per una rifondazione della politica: di una politica di progresso che congiunga pace, uguaglianza, libertà e giustizia sociale. Giacché la logica del nemico di cui ho prima parlato è, come sempre, lo strumento a cui le forze politiche ricorrono per colmare il loro vuoto progettuale. Laddove la forza e la novità del salto di civiltà da noi prospettato consistono nell’idoneità di una Costituzione della Terra, diversamente da qualunque altro progetto rivoluzionario del passato, a realizzare l’interesse di tutti, ricchi e poveri, deboli e forti, potenti ed emarginati, non essendo contro nessuno ma a beneficio di tutti. Giacché questo è l’unico pianeta che abbiamo e siamo tutti interessati alla sopravvivenza del genere umano. E questo non può non provocare la sostituzione del dialogo, del compromesso e del confronto razionale alla logica distruttiva del nemico.

5.3. Dovremo, in terzo luogo, sollecitare emendamenti e integrazioni della bozza di Costituzione della Terra in 100 articoli proposta come base del nostro dibattito. Emendamenti e integrazioni si richiedono soprattutto su temi solo marginalmente affrontati nei 100 articoli assunti come bozza di discussione. Si pensi, per esempio, alla necessità di inventare e proporre garanzie contro gli abusi e le violazioni dell’uguaglianza e dei diritti umani che possono provenire dagli usi e dagli abusi dell’intelligenza artificiale e delle modificazioni genetiche. Dobbiamo infatti essere consapevoli che tutte le tecnologie, in assenza di garanzie, si mettono automaticamente al servizio del mercato e non certo della democrazia. Ma c’è un altro, ancor più importante motivo a sostegno della necessità di sviluppare un dibattito di base: realizzare l’obiettivo, difficile ma possibile, di trasformare la nostra impresa in un processo costituente dal basso, destinato a crescere e a diffondersi in tutto il mondo, fino ad entrare a far parte del dibattito pubblico.

5.4. Un altro obiettivo programmatico della nostra impresa è l’organizzazione in tutto il mondo di convegni tematici, che coinvolgano la partecipazione di illustri studiosi, sulle cinque emergenze o catastrofi o minacce che ho elencato a sostegno di una Costituzione della Terra: le guerre e la produzione, il commercio e la detenzione di armi sempre più micidiali; il riscaldamento climatico; la crescita delle disuguaglianze e delle violazioni dei diritti umani; lo sfruttamento selvaggio del lavoro; il dramma dei migranti. Ho già detto della necessità di distinguere tra ciò che è improbabile e ciò che è impossibile. Ebbene, il primo modo di ridurre l’improbabilità di questo salto di civiltà consiste appunto nel mostrarne la possibilità e nel promuovere quindi la riflessione collettiva sulle garanzie a tal fine necessarie.

5.5. Infine, dovremo far crescere la consapevolezza che per la prima volta nella storia l’umanità rischia l’estinzione, laddove è sempre più unificata – quale popolo globale, meticcio e differenziato – da molteplici fattori: perché è interconnessa; perché è esposta alle medesime sfide e agli stessi pericoli globali; perché è accomunata dalla medesima subalternità ai poteri economici e politici sovranazionali e dal medesimo interesse alla pacifica convivenza e alla generale sopravvivenza; perché infine è sempre più evidente l’interdipendenza crescente tra tutti i popoli della terra, idonea a generare una politica quale progettazione e costruzione del futuro, all’altezza dei grandi problemi che tutti ci accomunano. Dovrà trattarsi di una politica dal basso, che soprattutto i giovani dovrebbero promuovere, nella consapevolezza che, come sempre, il futuro è loro e che, mai come oggi, il futuro dipende da loro; ma anche di una politica dall’alto, ove questa ritrovi l’ambizione di tornare a governare l’economia e di rappresentare gli interessi dei popoli e delle persone.

Naturalmente questa prospettiva di unificazione del genere umano sulla base dell’interesse generale, della ragione, del diritto e della fraternità, è destinata a incontrare ostacoli potentissimi: nella miopia del ceto politico, interessato a mantenere i propri piccoli poteri e privilegi, e negli interessi, parimenti miopi se vogliono avere un futuro, dei grandi poteri economici e finanziari. I tempi dei processi costituenti, d’altra parte, sono assai più lenti dei processi distruttivi messi in atto dall’attuale anarchia globale. Ma di fronte alle sfide e alle minacce che accomunano tutti, poveri e ricchi, deboli e forti, il risveglio della ragione, prima o poi, è inevitabile. Siamo tutti sulla stessa barca, e dobbiamo essere consapevoli che la presenza sulla Terra dell’umanità è un fenomeno effimero, che può cessare e probabilmente cesserà se non ci sarà un cambiamento di rotta. Il vero, grande problema è il tempo. Finora abbiamo perso tempo e continuiamo a perdere tempo. Ci resta poco tempo – 50 anni, forse uno o due secoli – e potremmo non fare in tempo a cambiare strada.

[1] E’ il progetto in 100 articoli pubblicato in L. Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, Milano 2022, pp. 139-197. Ma se ne veda l’anticipazione in Id., La costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari 2021, capp. IV e VIII.

[2] J.E. Stiglitz, Bancarotta. L’economia globale in caduta libera, (2010), tr. it. di D. Cavallini, Einaudi, Torino 2010, cap. IX, p. 358

[3] Ibidem.

[4] I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (1784), in Id., Scritti politici e di filosofia della sto­ria e del diritto, tr. it. di G. Solari e G. Vidari, ediz. postuma a cura di N. Bobbio, L. Firpo e V. Mathieu, Utet, Torino 1965, p. 141-143.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, pp. 141-142.

[7] Ivi, p. 143.

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