PREGUNTA: Usted reclamó recientemente un “constitucionalismo planetario”. ¿En qué consiste y cómo se articula?
R: Ci sono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali e dalla cui soluzione, possibile soltanto a livello globale, dipende la sopravvivenza dell’umanità: il salvataggio del pianeta dal riscaldamento climatico, i pericoli di conflitti nucleari, la crescita della povertà e la morte ogni anno di milioni di persone per la mancanza dell’alimentazione di base e dei farmaci salva-vita, il dramma di centinaia di migliaia di migranti e, ora, la tragedia di questa pandemia. E’ da questa banale consapevolezza che è nata un anno fa l’idea di dar vita a un movimento politico – la cui prima assemblea si è svolta qui a Roma il 21 febbraio – diretto a promuovere una Costituzione della Terra che istituisca una sfera pubblica internazionale all’altezza delle sfide globali e, in particolare, funzioni e istituzioni sovranazionali di garanzia dei diritti umani e della pace.
P: — ¿Y por qué es oportuno reclamar ese constitucionalismo planetario en una situación de emergencia como la del coronavirus?
R: Perché mi auguro che proprio l’emergenza del coronavirus provochi un risveglio della ragione, generando la piena consapevolezza della nostra fragilità e della nostra interdipendenza globale. Questa emergenza ha un carattere specifico rispetto a tutte le altre. A causa del suo terribile bilancio quotidiano di morti in tutto il mondo, essa rende assai più visibile e intollerabile di qualunque altra emergenza la mancanza di adeguate istituzioni globali di garanzia, che pure avrebbero dovuto essere introdotte in attuazione di quella embrionale Costituzione mondiale che è formata dalle tante Carte internazionali dei diritti umani. Essa rende perciò più urgente e più condivisa di qualunque altra catastrofe la necessità di un costituzionalismo planetario che colmi questa lacuna, con la creazione non tanto di istituzioni di governo, che è bene restino affidate soprattutto agli Stati, ma di funzioni e di istituzioni globali di garanzia dei diritti umani.
P: — ¿Qué papel puede o debe jugar Europa, desde el punto de vista jurídico, en esta crisis?
R: L’Unione Europea avrebbe dovuto prendere in mano la crisi fin dall’inizio. E’ lo stesso Trattato sul funzionamento dell’Unione che lo prevede: il suo art. 168, dopo aver affermato che “l’Unione è garante di un livello elevato di protezione della salute umana”, stabilisce che “gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche” e che “il Parlamento europeo e il Consiglio possono anche adottare misure per proteggere la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera”. E l’art. 222, intitolato “clausole di solidarietà”, stabilisce che “l’Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia vittima di una calamità naturale”.
P: — ¿Estamos asistiendo a un retorno a la soberanía nacional en Europa?
R: Spero davvero di no. Come ho già detto, emergenze globali come quella del coronavirus vanno affrontate quanto più possibile a livello sovranazionale, a garanzia non soltanto dell’uguaglianza nei diritti di tutti i cittadini europei, ma anche della loro efficacia, la quale dipende largamente dalla loro coerenza e omogeneità. E invece i 27 Paesi membri, nella demagogica difesa di un’insensata sovranità nazionale, si muovono in ordine sparso, ciascuno con strategie diverse. Con il risultato che sarà sufficiente che uno solo dei 27 Paesi adotti nella sua “sovranità” misure inadeguate per riaprire il pericolo del contagio per tutti gli altri
P: — ¿Qué consecuencias puede tener eso para el futuro de la Unión Europea?
R: Dipende dalle risposte che saranno capaci di dare le istituzioni europee. La Commissione europea – che tra i suoi componenti ha un commissario per la salute, un altro per la coesione e un altro ancora per la gestione delle crisi – è ancora in tempo per coordinare le strategie dei vari Paesi dell’Unione, in attuazione degli articoli del Trattato che ho sopra ricordato. Se non lo farà, avrà dato un’altra prova della sua inettitudine, quale istituzione capace di imporre sacrifici a garanzia soltanto dei pareggi di bilancio e non anche della salute e della vita dei cittadini.
P: — Las diferentes versiones del estado de alarma, estado de emergencia o –más densamente– estado de excepción, ¿en qué medida son compatibles con la democracia?
R: La democrazia non ammette eccezioni. Per questo considero un pregio della Costituzione italiana la non previsione di stati di allarme o d’emergenza o d’eccezione che tuttavia, ripeto, ha consentito ugualmente le limitazioni alle libertà di circolazione e di riunioni necessarie a fermare il contagio. In Europa abbiamo discipline eterogenee, compatibili con la democrazia solo se non comportano abusi. In Spagna l’art. 116 della vostra Costituzione prevede “los estado de alarma, de excepcion y de situo”, sottoposto al controllo del Parlamenti e disciplinato dalla Ley Organica 4/81. In Francia l’art. 16 della Costituzione del 1958 prevede la possibilità di dichiarare l’“état d’urgence” che consente le non meglio precisate “misure richieste” dalle “circostanze”. La Germania dispone di un’apposita legge federale per la gestione delle epidemie, approvata il 20 luglio 2000. Più discipline, dunque, che confermano la necessità di un coordinamento europeo.
P: — ¿Y cómo debe o puede responder Europa ante ese mismo desafío?
R: Svolgendo il ruolo di coordinamento e a adottando le misure omogenee di cui ho già parlato. Ma un’Unione Europea rispettosa di se stessa potrebbe fare molto di più. Potrebbe prendere, a livello internazionale, l’iniziativa di proporre la trasformazione dell’attuale Organizzazione Mondiale della Sanità in un’effettiva istituzione globale di garanzia della salute, dotata dei mezzi e dei poteri a tal fine necessari: non solo per gestire in maniera razionale le pandemie, ma anche per portare nei paesi poveri i 460 farmaci salva-vita che essa stessa, fin dalla Conferenza di Alma Ata del 1978, stabilì che dovessero essere accessibili a tutti e la cui mancanza provoca ogni anno 8 milioni di morti. Non solo. Oltre a questo frammento di costituzionalismo planetario, l’Unione Europea potrebbe sollecitare, sulla base della terribile lezione del coronavirus, la creazione di altre istituzioni globali di garanzia, come per esempio un demanio planetario a tutela di beni comuni come l’acqua, l’aria, i grandi ghiacciai e le grandi foreste; la messa al bando delle armi convenzionali la cui diffusione è responsabile di centinaia di migliaia di omicidi ogni anno e, più ancora, delle armi nucleari; il monopolio della forza militare in capo all’Onu; un fisco globale in grado di finanziare i diritti sociali all’istruzione, alla salute e all’alimentazione di base, pur proclamati in tante carte internazionali. Sembrano ipotesi utopistiche. E invece sono le sole risposte razionali e realistiche alle grandi sfide da cui dipende il futuro dell’umanità.
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