L’utopia bella e impossibile di una Costituzione globale

(Da “La Repubblica” del 16/04/2025) – In un saggio Luigi Ferrajoli propone l’idea di un patto sociale planetario. Molto difficile da realizzare, utile per guardare oltre questi tempi di crisi.

Può esistere un’utopia realistica? O si tratta di un ossimoro tra due termini contraddittori? La scommessa avanzata da Luigi Ferrajoli in Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale, appena edito da Feltrinelli, è che essa sia non solo possibile, ma anche necessaria.

Del resto qualsiasi progresso umano – dall’abolizione della schiavitù alla parità tra uomo e donna – prima di essere realizzato, è stato per millenni considerato un’utopia. È chiamata utopia il punto di vista che contrasta con l’egoismo dei pochi e il pregiudizio dei molti. Irrealistica è piuttosto l’illusione che un mondo sempre più squilibrato, assediato da pandemie, disastri ambientali, guerre, possa sopravvivere a lungo. L’unico modo per frenare tale deriva è sostenere una Costituzione della Terra – alla cui elaborazione Ferrajoli da tempo lavora – capace di allargare i diritti fondamentali all’intero pianeta.

Si tratta di portare a compimento il processo di costituzionalizzazione nato a fine Settecento, interrotto dalle guerre mondiali, e poi ripreso nel secondo dopoguerra con la proclamazione dei diritti civili, politici e sociali. Ciò che finora ne ha ostacolato la diffusione è stata l’assenza di garanzie istituzionali necessarie a definire un sistema di obblighi e divieti per gli Stati. Ma a renderlo difficile è la permanenza, nelle democrazie moderne, del principio di sovranità, in sottile contraddizione con il dettato costituzionale. Nel momento in cui, secondo quest’ultimo, ogni potere va sottoposto ai limiti della legge, ciò deve valere anche per l’organo legislativo eletto dal popolo sovrano in Parlamento. Il fatto che così non sia, lascia un resi- duo di assolutismo all’interno del quadro normativo fissato dal costituzionalismo democratico, che in questo modo resta incompiuto.

È una tesi assai radicale, elaborata da Ferrajoli negli anni, che in questo libro perviene a una contrapposizione sempre più netta tra anarchia internazionale e democrazia cosmopolitica. Secondo l’autore solo l’amnesia delle tragedie novecentesche e la miopia nei confronti del futuro possono bloccare un processo costituente mondiale che ha dalla sua le ragioni della logica e l’esperienza della storia. Basterebbe ripetere il ragionamento che Hobbes fece all’origine della stagione moderna, trasferendolo dal livello nazionale a quello internazionale, per porre in sicurezza un mondo sempre più esposto a crisi catastrofiche. Solo un patto sociale, questa volta globale, può neutralizzare un conflitto governato dalla legge del più forte. Non puntando a un unico Stato mondiale, oggi irrealizzabile, ma costruendo un sistema a doppio livello che affidi le funzioni di governo agli Stati nazionali e trasferisca la tutela dei diritti di tutti alla sussistenza, alla salute, all’istruzione sul terreno transnazionale normato dalla nuova Costituzione della Terra.

Si tratta di un progetto certamente suggestivo – situato nella linea che porta dagli scritti di Kant sulla pace perpetua al normativismo di Kelsen –, ma non privo di problemi. A esso sono state mosse soprattutto due obiezioni di ordine realistico. La prima riguarda quello che i giuristi chiamano il principio di effettività: come rendere effettuali i principi proclamati dalla nuova Costituzione qualora alcuni soggetti statali li violassero, come anche oggi accade sotto i nostri occhi? Chi, quale organismo, sarà in grado di sanzionarli, esercitando una forza coattiva? Ferrajoli ricorda che storicamente la violenza, compresa quella nazista, ha sempre incontrato una resistenza. Ma, in quel caso, una resistenza costituita non da un sistema normativo globale, bensì dagli eserciti alleati. Quali norme internazionali, in una situazione di disarmo unilaterale, potrebbero fermare un’invasione da parte di una potenza straniera che non si sentisse vincolata da quelle norme? L’altra obiezione, rispetto a una Costituzione globale, riguarda l’assenza di una società civile planetaria, di un’opinione pubblica mondiale, capace di farla propria e diffonderla.

Ferrajoli critica giustamente la globalizzazione ineguale in corso, contrapponendole un diverso globalismo fondato sul principio di eguaglianza. Ma di un fenomeno inevitabilmente contraddittorio come la globalizzazione è possibile assumere solo il lato positivo, scartando quello negativo? Certo, non bisogna schiacciare l’improbabile sull’impossibile o confondere il realismo razionale con un realismo ideologico. Ma, se non si deve considerare lo stato di cose esistente come ineluttabile, non si può neanche ignorarlo. È vero che, nella storia, esiste sempre un’alternativa, ma a patto che sia praticabile. Forse un primo passo, nell’organizzazione di un ordine globale accettabile, può essere la costruzione di un multipolarismo capace di conseguire, se non una pace perpetua, quantomeno un accettabile equilibrio tra le potenze che dominano il mondo. 

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