È nato il 17 maggio scorso, con la fiducia della Knesset, il nuovo governo israeliano, che è frutto di una coalizione tra la destra di Benyamin Netanyahu e il centrista Benny Gantz ed ha nel suo programma l’annessione della Cisgiordania e la legittimazione delle colonie nei Territori occupati. La sua formazione è stata preceduta da una visita in Israele del segretario di Stato USA Mike Pompeo, avvenuta sulla scia dell’annuncio dato il 28 gennaio scorso dal presidente Trump, di un piano, “Pace per prosperità”, che prevedeva il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, l’annessione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nella Valle del Giordano e nel Mar Morto settentrionale e il riconoscimento dell’occupazione delle alture del Golan, oltre che una elargizione di soldi ai palestinesi sconfitti.
Accogliendo Pompeo Netanyahu aveva parlato dell’imminente “governo di unità nazionale come un’occasione per promuovere la pace e la sicurezza sulla base delle intese raggiunte col presidente Trump nella mia visita del gennaio scorso”.
Ha reagito il re Re Abdullah II di Giordania il quale partecipando alla conferenza virtuale Special Operations Forces Industry, tenutasi negli Stati Uniti, il 12 maggio scorso, ha avvertito che il piano del governo israeliano di annettere parti della Cisgiordania occupata potrebbe condurre a un “enorme conflitto” e ha detto che il suo regno stava “considerando tutte le opzioni”, incluso il congelamento o la cancellazione stessa del Trattato di pace con Israele del 1994.
L’appello all’Unione Europea
A loro volta il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) e il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (MECC) facevano appello all’Unione Europea, con questa lettera indirizzata ai ministri degli Esteri dei Paesi facenti parte dell’Unione:
Ginevra, 8 maggio 2020
Eccellenze,
Il World Council of Churches (WCC) e il Middle East Council of Churches (MECC) fanno appello a una posizione ferma e di principio da parte dell’Unione Europea contro qualsiasi annessione da parte dello Stato di Israele del territorio palestinese occupato in Cisgiordania.
Qualsiasi annessione di questo tipo costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale e, come ha osservato il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente Nickolay Mladenov, “assesterebbe un colpo devastante alla soluzione a due Stati, chiuderebbe le porte a un rinnovo dei negoziati e minaccerebbe gli sforzi per promuovere la pace regionale “.
Siamo d’accordo con l’affermazione del dott. Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 1967, secondo cui l’incombente annessione è “una cartina di tornasole politica per la comunità internazionale”. e non si risolverà con un rimprovero .
Apprezziamo la chiara affermazione dell’alto rappresentante Josep Borrell secondo cui l’UE non riconosce la sovranità israeliana sul territorio palestinese e che “continuerà a monitorare attentamente la situazione e le sue implicazioni più ampie e agirà di conseguenza”.
Di conseguenza, il WCC e il MECC chiedono all’UE di garantire che tale annessione incontri reazioni, almeno commisurate a quelle adottate dall’UE in risposta all’annessione della Crimea da parte della Russia.
Inoltre, nel caso in cui lo Stato di Israele proceda alla prevista annessione, l’UE deve sicuramente sospendere l’accordo di associazione UE-Israele. L’articolo 2 dell’accordo stabilisce che le relazioni tra l’UE e Israele devono “basarsi sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici”. Inoltre, il trattato di Lisbona stabilisce che le azioni esterne dell’Unione devono essere guidate dai principi di libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, uguaglianza e solidarietà, democrazia, Stato di diritto, Carta delle Nazioni Unite e diritto internazionale. Per motivi di credibilità e responsabilità dell’UE nei confronti dei propri principi fondamentali, essa deve applicare clausole di condizionalità come l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele e sospendere l’accordo in caso di minacciata annessione.
Il WCC e il MECC sono impegnati nella visione di una pace giusta per tutte le persone in Terra Santa. Ma l’annessione unilaterale di ancora altre parti del territorio che rimane ai palestinesi non può portare alla giustizia o alla pace, ma solo a una maggiore ingiustizia, espropriazione, crescenti tensioni, destabilizzazione regionale e ulteriore erosione del rispetto del diritto internazionale.
L’UE non deve essere complice – per inazione o reazione inadeguata – di questo risultato.
La lettera è firmata dal Segretario Generale facente funzioni del Consiglio Mondiale delle Chiese, Ioan Sauca e dal Segretario generale della Cecenia del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, Souraya Bechealany.
Il viaggio dei vescovi europei e americani
Prima di questi avvenimenti, dall’11 al 16 gennaio scorso si era svolto in Palestina, in segno di solidarietà ai cristiani di Gaza, Ramallah e Gerusalemme, il viaggio annuale dei vescovi del Coordinamento Terrasanta, che è un organismo formato da rappresentanti di diverse Conferenze episcopali cattoliche (Spagna, Francia, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Italia, Scozia e Paesi Scandinavi), presieduto dal vescovo Declan Lang di Clifton (Regno Unito).
Al termine della missione, tra Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est,. i quindici vescovi che avevano partecipato al pellegrinaggio hanno pubblicato una dichiarazione in cui hanno esortato i loro rispettivi governi “a contribuire alla creazione di una nuova soluzione politica fondata sulla dignità di tutti”, ricordando come “tale soluzione debba essere in ultima analisi elaborata dai popoli in dialogo di Terrasanta”. Ciò che comporta il riconoscimento dello Stato palestinese, il rispetto per la sicurezza di Israele e il diritto di tutti a vivere sicuri.
i vescovi hanno scritto che per loro “la perseveranza e la fede in un contesto in via di peggioramento sono fonte di ispirazione”, ed hanno ricordato che già i vescovi cattolici locali, in un precedente messaggio, avevano “denunciato l’incapacità della comunità internazionale di contribuire alla promozione della giustizia e della pace in questo luogo dove è nato Cristo”. La dichiarazione finale dei vescovi invitava pertanto i governi a “fare di più per adempiere alle loro responsabilità per far rispettare il diritto internazionale e per proteggere la dignità umana” osservando che “in alcuni casi essi si sono resi attivamente complici dei mali del conflitto e dell’occupazione”. Testimoni del fatto che la popolazione di Terra Santa “vede ulteriormente svanire la speranza di una soluzione duratura” mentre le condizioni di vita si facevano sempre più insostenibili. e la costruzione di nuovi insediamenti e del muro di separazione stavano distruggendo “ogni prospettiva di due Stati che vivano in pace”, i presuli del Coordinamento riconoscevano che le condizioni di vita erano sempre più insostenibili in Terra Santa, in particolare in Cisgiordania dove “vengono negati anche i diritti fondamentali, tra cui la libertà di movimento”, mentre “a Gaza le decisioni politiche di tutte le parti coinvolte hanno portato alla creazione di una prigione a cielo aperto, a violazioni dei diritti umani e a una profonda crisi umanitaria”. “Siamo stati accolti da famiglie che oggi hanno come priorità la sopravvivenza quotidiana e le cui aspirazioni si riducono all’essenziale, come avere energia elettrica e acqua potabile” dicevano i vescovi, “toccati dal sacrificio delle religiose, dei laici e dei sacerdoti, impegnati attivamente in tutti i campi per cercare di costruire un futuro migliore per tutti, offrendo servizi fondamentali, specialmente istruzione, lavoro e assistenza alle persone più vulnerabili”.
I governi erano chiamati anche a rifiutare “sostegno politico o economico agli insediamenti” e ad opporsi “con determinazione agli atti di violenza e alle violazioni dei diritti umani da parte di chiunque”.Solo così, concludevano i vescovi del Coordinamento, “la comunità internazionale potrà esprimere la propria solidarietà a quegli israeliani e palestinesi che non vogliono rinunciare alla loro lotta non violenta per la giustizia, la pace e i diritti umani”.
Il nuovo approccio dei vescovi di Terrasanta
A loro volta un anno fa, il 22 maggio 2019, i vescovi cattolici della Terra Santa al termine della loro Assemblea avevano invocato una soluzione al conflitto israelo-palestinese che fosse “basata sul bene comune di tutti coloro che vivono in questa terra senza distinzione” chiedendo alle Chiese ed ai leader spirituali, di indicare altri cammini di pace, rispetto a quelli tentati finora.
“Noi, i capi delle Chiese in Terra Santa, – diceva il documento – siamo al fianco di tutti coloro che vivono in questa terra anzitutto in quanto esseri umani. Cerchiamo di mostrare una via d’uscita da una situazione permanente di guerra, odio e morte. Cerchiamo di indicare la via per una nuova vita in questa terra, fondata su principi di uguaglianza e amore”.
I vescovi chiedevano una società basata sull’uguaglianza e sul bene comune e invitavano i cristiani a “unire le loro voci con ebrei, musulmani, drusi e tutti coloro che condividono questa visione di una società basata sull’uguaglianza e sul bene comune”, per “costruire ponti di mutuo rispetto e amore”. E a questo punto la dichiarazione dei vescovi cattolici metteva in dubbio la sopravvivenza della soluzione sempre ripetuta e mai attuata dei “due popoli e due Stati”, aprendo ad altre prospettive. “Tutti i discorsi su una soluzione politica sembrano retorica vuota nella situazione attuale” dicevano i vescovi che perciò si facevano promotori di “una visione secondo cui tutti in questa Terra Santa hanno piena eguaglianza”, “condizione fondamentale per una pace giusta e duratura”, qualsiasi soluzione politica sia adottata. “Nel passato abbiamo vissuto insieme in questa terra”, scrivevano i vescovi, “perché non potremmo vivere insieme anche in futuro?”.
“I recenti sviluppi nel contesto Palestina-Israele, la continua perdita di vite umane, la continua evaporazione della speranza in una soluzione duratura e il fallimento della comunità internazionale nell’applicazione del diritto internazionale per proteggere le persone di questa terra da altre lotte e altra disperazione, sono arrivati a un punto per cui vediamo solo più estremismo e discriminazione. Anche chi una volta si presentava come guardiano della democrazia e promotore di pace (evidente allusione agli Stati Uniti), è diventato un negoziatore del potere e partigiano che partecipa al conflitto”.
Nella dichiarazione redatta al termine dell’Assemblea, i vescovi cattolici di Terra Santa avanzavano il dubbio se “la diplomazia internazionale e il processo di pace” si fossero mai basati sulla giustizia e sulla buona volontà”. Forse è giunto il tempo in cui “le Chiese e i leader spirituali indichino un altro cammino, insistano sul fatto che tutti, Israeliani e Palestinesi, sono fratelli e sorelle in umanità”. Solo la possibilità di “amarci gli uni gli altri e vivere insieme nel rispetto reciproco e nell’uguaglianza, uguali in diritti e doveri, in questa terra”, era per i vescovi la via per una “pace basata sulla dignità, il rispetto reciproco e l’uguaglianza come esseri umani”, la sola che potrà permettere “di sopravvivere e persino prosperare in questa terra”.
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