Newsletter n. 112 del 12 aprile 2023 – L’EMERGENZA

Cari amici, il governo ha istituito lo stato di emergenza per sei mesi in tutto il territorio nazionale per gestire il dramma dei migranti. Che ci sia un’emergenza è fuori […]

Cari amici,

il governo ha istituito lo stato di emergenza per sei mesi in tutto il territorio nazionale per gestire il dramma dei migranti. Che ci sia un’emergenza è fuori discussione, perché ormai il Mediterraneo è solcato da numerose imbarcazioni cariche di centinaia e centinaia di profughi e di migranti che vengono da noi. Tuttavia bisogna tener conto che si tratta di uno strumento assai delicato in mano all’esecutivo, non previsto dalla Costituzione, che consente deroghe alle normative vigenti e, per la sua stessa logica di rapidità e urgenza, non è vincolato al controllo costituzionale del presidente della Repubblica e democratico del Parlamento. Perciò è assai diverso se uno stato di emergenza viene dichiarato da un governo di estrema destra o da un governo di maggiore affidabilità democratica.

Ma c’è un’osservazione ancora più importante da fare. Lo stato di emergenza viene istituito per la questione dei profughi; questa però è tale da investire non singoli aspetti della vita del Paese, ma tutto il Paese in tutte le sue espressioni. Pertanto esso potrebbe essere invocato per legittimare qualsiasi provvedimento, dall’economia, alla sanità, alla previdenza, all’ordine pubblico, alla scuola, allo stato civile e così via. Ma proprio questo dice che il problema da affrontare, ovvero l’emigrazione, non rappresenta affatto un’emergenza, e non è una questione temporanea (che si farà tra sei mesi?) ma è una questione strutturale e di lunga durata, connessa a un cambiamento d’epoca e allo stato di un mondo mal governato, gettato in uno stato di guerre, di genocidi e di ingiustizie sociali e politiche senza fine. Dunque il fenomeno migratorio non può essere trattato come un’emergenza, ma richiede un radicale mutamento delle culture e delle politiche correnti, certo non solo in Italia, ma in Europa e in tutto il mondo, ma proprio per questo è irrisorio che venga affrontato con uno strumento  occasionale e provvisorio. Basta pensare che il provvedimento è finanziato solo con cinque milioni, e le misure  annunziate riguardano i soliti falsi problemi, dagli scafisti al blocco delle partenze dai Paesi di provenienza, mentre l’unica scelta per ora sensata è quella di occuparsi dei centri di accoglienza, dove la vita degli sbarcati non è vita, ma una tortura e un’agonia.

Bisogna al contrario cominciare a pensare che l’unica risposta alla tragedia delle migrazioni di massa, è quella sancita fin dall’inizio della modernità, ovvero il riconoscimento del diritto umano universale di migrare e di stabilire la propria esistenza in qualsiasi parte del mondo, diversa dalla mitica patria. È stato del resto questo che, pur attraverso repressioni, schiavitù e lotte, grazie all’integrazione tra popoli ed etnie diverse e al fecondo meticciato, ha dato luogo alle società moderne, dalle due Americhe all’Europa, all’Italia stessa e a molti altri Paesi. Dunque il grande problema culturale, politico, ambientale e perfino religioso non è di bloccare o irretire il fenomeno migratorio, e tanto meno di volerlo regolare secondo le proprie convenienze, il calo demografico, le pensioni da finanziare o il bisogno di mano d’opera a buon mercato o addirittura schiavizzata, ma di assumerlo come la vera sfida della nuova modernità e governarne con equità le modalità e le conseguenze. Questa “emergenza”, e insieme le questioni dell’ecologia e delle guerre promesse e in atto, sono il vero problema posto alla politica, ed è su questa nuova frontiera che si pone oggi la differenza tra destra e sinistra. Non basta dire Ucraina, Ucraina!

Nel sito pubblichiamo un lungo articolo di Giovanna Cracco sul nuovo orrore dell’istituzionalizzazione dei mercenari e dei contractors, che della sicurezza fa una merce, una singolare conversazione a ruota libera di papa Francesco su temi scottanti, e un articolo della filosofa Enrica da Monticelli sull’Europa “che ha perduto il suo Oriente”.

Con i più cordiali saluti

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