Cari amici,
“Anche questa volta, non ci hanno visto arrivare”. Sono state queste le prime parole di Elly Schlein nell’accettare la vittoria che pochi minuti prima il suo concorrente alle primarie del PD, Stefano Bonaccini, le aveva “concesso” (e invece, contro il linguaggio del politichese scorretto, le avevano “concesso” gli elettori).
Ma è proprio vero che non l’hanno vista arrivare? No, non è vero. Tanto l’hanno vista arrivare, che ne sono rimasti terrorizzati, giornalisti, politici, conduttori televisivi, governanti, uomini del mercato, vestali della conservazione. custodi dell’establishment. Avevano tanto congiurato per la fine del PD, la scomparsa dei partiti, la diserzione dalle urne, il commiato dalle ideologie, che quando hanno visto il rovesciamento dei pronostici, la sconfitta degli apparati di partito, la minaccia della novità, ne sono stati traumatizzati, ed è stato tutto un rincorrersi di ipotesi, di lamenti, di moniti, di esorcismi su come sarebbe stato un Partito Democratico rinato dalle ceneri, che con una giovane leader iconoclasta si rimettesse a fare politica, a compiere scelte, a parlare di alternative. E tutti a dire: sì, ma almeno sull’atlantismo, sulla fedeltà all’America di Biden, sull’invio di armi, sulla riconquista della Crimea all’Ucraina in odio della Russia, sulla guerra, resti con noi, non si azzardi a cambiare posizione nella linea del PD.
Ebbene, proprio su questo, e solo in questo, noi non l’abbiamo vista arrivare. Non una parola nel primo rapporto con l’informazione, nel discorso della vittoria. Non un’apertura alla ricerca di una nuova responsabilità dell’Italia, dei suoi governi, della sua opinione pubblica, delle sue culture politiche.
Certamente lo farà, e noi appunto su questo aspettiamo di vederla arrivare. E lo diciamo non solo per l’assillo che sta nel cuore della nostra visione politica, ma anche per il successo della sua impresa, per il ritorno del PD sulla scena pubblica, per il suo risorgere come partito, per la ripresa della sua funzione nazionale, per il recupero della sua dignità di forza popolare intesa al bene comune.
Molte infatti sono le cose da fare, e molte la nuova segretaria del PD ha promesso di farle. Ma ci sono, tra tutti, “i problemi più urgenti”, ovvero il mare e la guerra, cioè il mondo da fare.
Siamo a una svolta in cui è vitale capire quali siano le priorità. Accadde anche con la Chiesa cattolica, al Concilio: si mise allora molta carne al fuoco, tanta era l’ansia e il bisogno del rinnovamento: la liturgia, il latino, il rinnovamento biblico, il primato pontificio, l’episcopato, l’ecumenismo, la missione. E alla fine si capì che tutto questo sarebbe stato vano, che la Chiesa non sarebbe cambiata, che la Curia avrebbe di nuovo preso il sopravvento se non si fossero individuati “i problemi più urgenti”, se non fosse stato il mondo con la sua umanità a irrompere e a mettere in causa la quiete della Chiesa. E si scoprirono i “segni dei tempi”, evocati da papa Giovanni, e si ruppe con vecchie dottrine, si prefigurò una Chiesa in uscita per entrare nel mondo e nella storia. E fu il “mai più la guerra” proclamato dalla tribuna dell’ONU, la espulsione della guerra dalla ragione stessa dell’uomo, dalla sua antropologia, l’abbandono perfino delle verità teologiche che avevano millantato per secoli le “guerre giuste”, anche quelle “umanitarie”, per il petrolio, le guerre in nome delle sovranità offese. E ne discese, in coerente conseguenza, la chiamata della donna alla vita pubblica, i lavorator rivendicati sempre come soggetti e persone, il superamento dei rapporti di dominio, le Costituzioni, l’ONU, l’appello alla verità, alla giustizia, alla libertà, all’amore. Religione? No, politica, o meglio la ritessitura dell’integrità umana, la ricomposizione della convivenza, del rapporto tra religioni e culture, tra pace e diritto, della riconciliazione con la Terra, non scissa tra natura e storia.
Per l’Italia, per il mondo, non ci vuole meno di questo. Certo, tutto ciò non è nelle possibilità di un solo partito, e nemmeno del solo sistema politico come tale.
Ma occorre cominciare. “Dietro l’angolo” occorre prendere un’altra strada. La grande forza del PCI in Italia, il consenso che ebbe, l’efficacia della sua egemonia, perfino la qualità della sua cultura non vennero dalla sua ideologia classista, dalla sua debole risposta al capitalismo imperante, nemmeno dalla questione morale, ma vennero dalle sue scelte di politica internazionale, dalle lotte per la pace, dal no ai missili a Comiso, dalla scelta a favore del diritto e della liberazione dei popoli.
Su queste sponde non solo in Italia, ma in Europa e sull’Atlantico – “allargato! – vorremmo veder arrivare quei leaders che da tempo aspettiamo.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo dopo il primo anno di guerra, una relazione di Raniero La Valle a Verona per la presentazione del suo libro (edito dalla EMI), “Leviatani, dov’è la vittoria“), di cui, in ragione dell’attualità, suggeriamo la lettura dei cap. 2 e 38 e, e tra i tanti appelli per la pace di papa Francesco quello di recente rivolto ai leader delle religioni mondiali al Colosseo.
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