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Newsletter n.123 del 28 giugno 2023 – La guerra come prodotto

Cari amici,

L’ammutinamento della Wagner in Russia si è concluso in negativo per  il soldataccio Prigozhin e per i Servizi  occidentali che, se era vera  la vanteria che sapessero tutto già prima, non hanno saputo come muoversi  e che fare; si è risolta invece  in positivo per Putin che avrebbe potuto fermare a cannonate il convoglio mercenario sull’autostrada per Mosca, e ha invece ben calcolato i rischi preferendo la soluzione politica (con i terroristi dunque si tratta!) ed evitando la guerra civile. Contro le gioiose profezie di un collasso della Russia e di una sua débacle  militare,  la controffensiva ucraina non ha tratto dalla crisi alcun vantaggio e la guerra  è continuata tale e quale.

Piuttosto l’avventura della Wagner ha acceso i riflettori sulla piaga degli eserciti  mercenari  e dei “contractors” che hanno integrato o addirittura sostituito gli eserciti di leva. Il pacifismo in Occidente  ha salutato come una sua vittoria la rinunzia degli Stati alla coscrizione obbligatoria, ma in realtà è stata la vittoria dei guerrafondai che, scottati dall’esperienza del Vietnam (le cartoline precetto bruciate nei campus universitari) e dalla legittimazione dell’obiezione di coscienza, hanno realizzato che non potevano più fidarsi  dell’esercito di popolo e del suo gratuito amore per la Patria e hanno optato per la prostituzione alla guerra e all’acquisto delle prestazioni militari per denaro. In tal modo sempre più alla guerra sono venuti meno gli alibi ideali (e i comportamenti sognati dalle Convenzioni di Ginevra) e sempre più essa  si è resa  intrinseca al denaro; come tutta la realtà assoggettata dal capitalismo, e prima ancora dal Nomos dell’Occidente, alla legge della cosa, la guerra è diventata un prodotto e gli uomini e le donne alle armi sono diventati il producibile, non solo a profitto delle industrie e del mercato delle armi, ma anche delle guerre da fare e del bottino e dei morti da scambiare tra le parti in conflitto.

Il sistema di dominio e di guerra a cui, a partire dal grande evento politico della rimozione del muro di Berlino, è stato conformato l’ordine internazionale  e resa schiava la stessa condizione umana sulla Terra (ricordiamo il ministro che durante la guerra del Golfo spiegò alla Camera che ormai non si poteva più distinguere il tempo di guerra dal tempo di pace), si è così istituzionalizzato e dotato di tutte le garanzie per non essere messo in discussione e contestato in democrazia sulle singole guerre da fare.

Paradossalmente se oggi si  vuole lottare  per la pace e il ripudio del sistema di guerra, bisognerebbe lottare per il ripristino del servizio militare obbligatorio, tale però da essere finalizzato alla creazione di eserciti  atti a difendere,  in molti modi, non uno solo ma molti beni comuni di cui constano le Patrie;  e potrebbero queste Forze Armate non essere sempre con le armi al piede, come fu per  la missione militare italiana che alla caduta di Hoxha si recò senza armi in soccorso all’Albania e non per caso fu chiamata “Pellicano”.  E con la coscrizione obbligatoria potrebbe perfino tornare l’obiezione di coscienza che in Italia, unico Paese al mondo, la legge riformata che fu elaborata in Parlamento dal Gruppo Interparlamentare (e interpartitico) per la Pace (GIP) chiama, in positivo, “obbedienza alla coscienza”.

Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo su come è stata impedita la pace in Ucraina e in Europa dopo i primi negoziati seguiti all’inizio della guerra.

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