L’estendersi della violenza sui palestinesi, che ormai si può chiamare senza infingimenti genocidio, non solo nel senso tecnico definito dalla Convenzione del 1948 dell’ONU, ma anche nel più esteso significato quale è percepito dal senso comune, insieme alla guerra in Ucraina per l’accanimento di Putin e la suicida protervia di Zelensky, insieme al veto degli Stati Uniti e dell’Inghilterra contro il cessate il fuoco a Gaza, insieme alla persecuzione dei migranti incrudelita dalla Meloni e dalla Unione Europea, riaprono la domanda, formulata dopo Auschwitz, “e Dio dov’è mentre accadono tali cose?”. E l’implicito sgomento è che ci sia una violenza di Dio, nota anche alle Scritture, che permette questa violenza umana.
Si può allora ricordare la risposta formulata dalla Pontificia Commissione Biblica nel documento del 15 aprile 1993 secondo la quale una lettura fondamentalista della Bibbia comporta “un suicidio del pensiero”, e si può andare alla lettura di Isaia fatta da Gesù nella sinagoga di Nazaret, nella quale egli censurò e tacque il richiamo del Profeta al “giorno della vendetta del nostro Dio”. E perché Gesù non lesse quella profezia? Perché il Dio che egli annunciava, quello stesso Dio che era invocato nella Sinagoga, è un Dio che è solo misericordia, non è più un Dio che punisce, che si vendica, non è un Dio buono con i buoni e cattivo con i cattivi, che dà il bene per il bene e il male per il male. È un Dio, che arriva prima, che “primerea” come dice il neologismo di papa Francesco, prima ancora che gli uomini lo cerchino.
Ma con quale autorità Gesù dice una cosa così sconvolgente, che cambia il modo in cui a quel tempo tutti i popoli giunti alla fede monoteistica concepivano la potenza di Dio? È la stessa domanda che gli fanno i suoi compaesani di Nazaret, che per questo già allora cercarono di uccidere Gesù, gettandolo dalla rupe.
La sua autorità, come diranno i suoi discepoli e la sua Chiesa, veniva da Dio stesso che gli aveva dato il compito di rivelare il suo vero volto, con l’autorità di chi è figlio dell’uomo e insieme figlio di Dio, incarnazione di lui. E proprio questa è la buona notizia che Gesù ha dato ai suoi fratelli ebrei e a tutti gli uomini: Dio è per tutti, non si mette alla testa di un esercito contro un altro esercito, di un popolo contro altri popoli, perché ama tutti, e vuole che tutti siano salvi. Certo è una rivoluzione della fede, della teologia, delle stesse pagine meno ispirate della Bibbia, e invece, proprio come dice la Bibbia, è un Dio che ama gli uomini e perfino gli animali, e si pente del male che secondo i falsi profeti avrebbe promesso di fare, e non lo fa.
Però quella immagine del Dio tremendo e affascinante, assolutamente altro e assolutamente altrove, onnipotente e spietato, è dura a morire, e neanche Gesù ce l’ha fatta a cambiarla, e per questo ci ha rimesso la vita, ed è finito sulla croce. E l’umanità si è portata dietro per secoli quell’immagine travisata di Dio, e canterà il Dies Irae, scriverà una Divina Commedia, dipingerà il Giudizio Universale con i condannati a testa in giù, e dirà che l’inferno non è quello che facciamo noi sulla terra, ma quello che Dio avrebbe allestito nei cieli, legittimando la violenza e perfino lo sterminio, la vendetta, e la rappresaglia, fino al cento per uno: un Dio impietoso, che se fosse senza misericordia, non sarebbe nemmeno un Dio, come dice papa Francesco, ciò per cui i tradizionalisti, i primatisti, i guerrafondai ce l’hanno con lui e lo dicono eretico.
Ma proprio quel Dio è morto. È morto nei campi di sterminio, è morto a Hiroshima e muore nei barconi dei migranti: troppo grande è la violenza umana perché sia verosimile quella divina.
Per cui la domanda oggi non è più: “quale concetto di Dio dopo Auschwitz?” ma “quale concetto di Dio durante Gaza?”: e la risposta è che forse è un Dio che ispiri le genti a piangere su Gerusalemme e su Gaza, Hamas a non uccidere Ebrei, Israele a fermarsi sul ciglio dell’abisso, e a non trafiggerne mille per uno.
Nel sito pubblichiamo un articolo sulle misure europee contro i migranti, una mia relazione sulla crisi di Gaza e un’informazione relativa alla critica di parte ebraica sulla politica dello Stato di Israele.