Carissimi,
Al momento dell’”Angelus”, la Domenica delle Palme, il papa ha detto: “Siamo entrati nella Settimana Santa. Per la seconda volta la viviamo nel contesto della pandemia. L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante”. Dunque egli ha rilevato la differenza tra questa seconda Pasqua celebrata in tempo di pandemia, e la prima: quest’anno non siamo colti di sorpresa, ma avvertiamo di più il peso della prova.
Questa osservazione stimola anche noi a chiederci che cosa c’è di nuovo in questa Pasqua rispetto a quella precedente, di cui è rimasta indimenticabile l’immagine del venerdì santo, quando il papa nell’irreale vuoto di piazza san Pietro salì da solo al Crocefisso per mettergli ai piedi il dolore del mondo.
Ebbene di nuovo c’è che questa è la prima Pasqua celebrata dopo una novità altrettanto scioccante, giunta attraverso l’immagine di un’altra solitudine, quella del deserto di Ur, dove una singolare comunione di cristiani, musulmani, ebrei “insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni”, aveva risposto il 6 marzo 2021 alla convocazione di un unico Dio; insieme essi avevano pregato senza paura di offendere le diverse ortodossie, senza temere l’accusa di irenismi, senza l’ansia di sottrarsi al rischio di eresia. Né era stato un evento improvvisato: c’era stata una lunga storia che dalle reciproche condanne e violenze, attraverso difficili e controversi percorsi ecumenici e dialoghi interreligiosi era giunta alla solenne affermazione, condivisa dal papa di Roma, sospetto di infallibilità, e dall’imam sunnita del Cairo, che “la diversità di religione”, come quelle “di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”. Era stato questo il documento solenne a lungo concepito e poi firmato ad Abu Dhabi dai due leaders religiosi in unione “con i musulmani d’Oriente e d’Occidente” , insieme “con i cattolici d’Oriente e d’Occidente” che avevano perorato la causa della pace mondiale e della convivenza comune di tutta la famiglia umana “in nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace”; patto di fratellanza che doveva accomunare anche sunniti e sciiti, come papa Francesco avrebbe reso a tutti palese grazie alla sua visita al Grande Ayatollah Ali al-Sistani, leader spirituale dell’Islam sciita. nella città santa di Najaf, nel secondo giorno del viaggio in Iraq.
Questa è la novità di questa Pasqua rispetto a tutte quelle che l’hanno preceduta. Non era accaduto nei secoli che non fosse innalzato sugli altari un Dio divisivo causa e ratifica della frantumazione degli uomini e dei popoli tra loro. Non era mai accaduto che l’umanità tutta potesse pensarsi e riconoscere come una cosa sola, unita sulla terra dalla finitezza e dalla malattia, unita dal cielo dalla caduta della discriminante divina del monoteismo geloso, almeno in questo emisfero. Perduta l’occasione della radicale eguaglianza e comunione umana frutto dello scambio col Dio inabissatosi nel Figlio come annunciato nella lettera ai Filippesi, l’insieme degli uomini e delle donne della Terra non avevano mai avvertito la mondialità della loro condizione comune fino a quando non l’avevano riconosciuta nel secolo scorso grazie a due guerre appunto per la prima volta definite come mondiali, congiunte col genocidio della Shoà dei gas e delle atomiche. Era stata mancata l’altra grande occasione dell’annessione dell’America all’inizio dell’età moderna, divenuta anzi occasione degli editti di alta fattura che hanno sancito sovranità e guerra, conquista e deportazione, razzismo e schiavitù, sessismo e sfruttamento, la cultura e il diritto cioè della nostra depravazione detta civiltà. Ed ecco che in questa Pasqua tale costruzione minuziosa della nostra rovina, giunta fino al rischio della fine, viene meno per la forza di una parola echeggiata nella piana di Ninive, la città grande tre giorni di cammino fatta salva, a detta della Bibbia e del Corano, solo perché abitata da centoventimila persone e una grande quantità di animali.
Perciò a partire da questa Pasqua, informati che “il Dio cinico e spietato non esiste”, parola di papa, possiamo mettere mano a ricostruire la Terra, decidere, perché lo possiamo, che vaccini e salute debbano essere provveduti per tutti, togliere dalle mani dei depredatori l’Amazzonia e milioni di specie viventi, istituire poteri che garantiscano l’effettività dei diritti primari e mettere nelle mani dell’uomo, custode e non padrone, la vita, le attese, la Costituzione della Terra.
Questo è il nostro augurio, qualunque cosa buona e vitale ciascuno pensi o creda.
Con i più cordiali saluti
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