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Newsletter n. 56 del 15 dicembre 2021 – L’attesa e il potere

Care amiche ed amici,
Se c’è un periodo dell’anno, almeno fino a quando resti una sopravvivenza di memorie cristiane, contrassegnato da un senso di attesa, questo è il tempo di Avvento che stiamo vivendo: un tempo liturgico tradizionalmente esteso alla stagione civile, in cui si parla della venuta di qualcuno, dell’accadere di qualcosa, da cui il futuro sarà modificato. Si tratta del Natale, di cui qualcuno dice che non si dovrebbe neanche parlare, per alludere invece a più generiche “feste”.
L’attesa che quest’anno attraversa tutto il mondo è per la fine della pandemia, ma essa per un verso è legata a fattori imprevedibili, per un altro verso è legata alla sola cosa che sarebbe risolutiva e che non vogliamo fare, cioè la soppressione dei brevetti sui vaccini e i farmaci salvavita , la vaccinazione universale e drastiche riforme per rendere salubre l’aria che respiriamo come abbiamo reso potabile nei tubi l’acqua che beviamo.
L’altra attesa che domina oggi in Italia i discorsi della politica è quella dell’elezione del presidente della Repubblica, a cui sembra che tutto drammaticamente sia sospeso, compresa la durata della legislatura, mentre dovrebbe essere un evento ordinario della vita democratica. Draghi ne approfitta per ignorare i sindacati, la destra la enfatizza come il passaggio cruciale della sua acquisizione definitiva del potere: Renzi, che non ne possiede affatto le chiavi, ha già regalato la presidenza alla destra come se le toccasse per diritto di successione, la Meloni la rivendica come sua, ne fa l’architrave della “casa dei conservatori”, la ordina al presidenzialismo e la riserva a un “patriota” che nella sua semantica sembra parola molto affine a “fascista” e lo fa come se non fosse per Costituzione dovere non solo di un presidente ma di ogni titolare di funzioni pubbliche adempierle con disciplina ed onore, cioè per la “patria”.
Quello che si dimentica, e proprio nel momento in cui si fa appello a una millantata identità liberale e cristiana, è che se il potere è mitigato dalla tradizione liberale esso è addirittura rovesciato nel suo contrario dalla tradizione cristiana; c’è scritto nel Vangelo che Pilato non avrebbe nessun potere se non gli fosse dato dall’alto, che essere re vuol dire stare nel mondo per dare testimonianza alla verità, sta scritto nelle lettere di san Paolo che il Verbo di Dio svuotò se stesso e che la forma di Dio ha preso la forma del servo; mentre a conclusione del suo “Funzioni e ordinamento dello Stato moderno” Giuseppe Dossetti sottolineò che secondo il greco della “Lettera ai Romani” coloro che esigono i tributi devono essere considerati come “liturghi di Dio”. Il rovesciamento del potere in diaconia, in testimonianza, in martirio e dono di sé è l’apice del paradosso cristiano, mentre l’ideologia machiavelliana che fa del potere un idolo ne è la massima contraddizione; all’opposto i controlli, i limiti e le garanzie nei confronti del potere sono il massimo inveramento che le Costituzioni moderne e soprattutto il costituzionalismo postbellico, che ora vogliamo proiettare verso una Costituzione mondiale realizzano di una rivoluzione non più solo religiosa e politica, ma antropologica.
Contro questa conversione del potere assistiamo alle sfide più dure. Su tutti i fronti la destra è all’attacco per dare perennità ai poteri esistenti, potere del denaro sulla politica, potere dei padroni sui servi, potere delle cose sull’uomo, potere dei cittadini sugli stranieri. Secondo il quotidiano britannico “Guardian” il 6 gennaio scorso ci sarebbe stato un piano che avrebbe dovuto consentire a Trump di perpetuare il suo potere invalidando l’elezione di Biden, quando esplose l’attacco dei “patrioti” al Campidoglio; sui collegi elettorali americani il sistema sta lavorando per configurarli in modo che ne sia scontata l’assegnazione alla destra; in Inghilterra un tribunale decide l’estradizione di Assange per bollare come delitto lo svelamento dei crimini del potere, mentre come ha denunciato il papa all’Angelus le statistiche dicono che quest’anno si sono fatte più armi dell’anno scorso, ultima istanza di un potere incondizionato.
È contro questo dilagare inarginato del potere che le risorse dell’etica, della politica, del costituzionalismo e del diritto devono essere mobilitate perché la democrazia resti nell’attesa dei futuro.

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