Archivio delle Newsletter di Costituente Terra

Newsletter n. 70 del 28 marzo 2022 – Fermo posta

Cari amici,
questa newsletter porta a vostra conoscenza una lettera agli iscritti a “Costituente Terra” del suo presidente Raniero La Valle, lettera che però non è stata inviata ai suoi destinatari per le ragioni che sono chiarite in calce a questa lettera.
Questo il testo della missiva non spedita:

LETTERA A TUTTI GLI ISCRITTI A “COSTITUENTE TERRA” E AI MEMBRI DEL PARLAMENTO ITALIANO SUL RICORSO ALLA POLITICA E LA SOSPENSIONE DELLA GUERRA

Carissimi Iscritti alla Scuola “Costituente Terra”, cari parlamentari,
poiché c’è la guerra, vi scrivo urgentemente perché ognuno non può che usare i mezzi che ha per arginare il fiume di sangue e di lagrime che sgorga da lì, e cercare di tenere in piedi le antiche pietre e le mura e le case e le chiese che cadono bruciate e in rovina.
Vi scrivo perché ancora non possiamo parlarci di persona come potremmo fare in una vera assemblea in cui speriamo di incontrarci nei primi giorni di maggio, non appena verranno meno i limiti imposti dalla pandemia; ma ora non possiamo aspettare perché la storia è perentoria, non tiene conto dei nostri calendari.
Scrivo a voi che idealmente rappresentate i mille e mille uomini e donne di buona volontà che se lo sapessero e potessero si unirebbero a noi per farsi costituenti di una Costituzione del popolo della Terra, per garantire a tutti diritti, sicurezza e pace.
La sempre inevasa domanda è: che fare per uscire dalla distretta, per cercare salvezza? Se fosse per la natura ci sarebbero infinite possibilità, tanto il creato è ricco di varietà, di fantasia e di specie, ma nell’artificio della nostra cultura ci sono solo due possibilità: o la guerra o la politica. Se non vogliamo la guerra, o la vogliamo finire, ci vuole la politica; se rinunziamo alla politica ci vuole, come altro mezzo, la guerra.
Purtroppo oggi tutti, e proprio tutti con poche eccezioni, non facciamo che aggiungere fascine ai fuochi di guerra e lo facciamo anche noi, che siamo pacifici, ma siamo ricattati dai nostri stessi buoni e nobili sentimenti e amiamo il popolo ucraino tanto più perché aggredito, lo ammiriamo dicendo che combatte anche per noi e con ciò ne facciamo una vittima come dei suoi governanti anche nostra, e con la nostra solidarietà, le nostre armi, i nostri servizi di intelligence lo aiutiamo a resistere, a patire, a fuggire, a morire; per i suoi capi questa è una politica, certo intenta al bene, come ad esempio sarebbe per loro la riconquista della Crimea, ma non adeguata al bene comune, come sarebbe suo ufficio; ma per noi non è una politica, è un olocausto.
A noi tocca invece, per la nostra vocazione e anche per la nostra responsabilità come democrazia e come Occidente e anche come Europa, di trovare una politica, di indicare una strada alternativa alla guerra, dignitosa ma politicamente efficace, in pari col suo scopo, non grondante sangue e idealismi, e forse solo integrismi e fonemi.
La politica ci porterebbe naturalmente a far conto sull’ONU, perché quella era la grande risorsa che mettemmo in campo, dopo la tragica esperienza, come alternativa al flagello della guerra che già aveva portato indicibili afflizioni all’umanità. Ma l’ONU si è messa fuori gioco, affrettandosi a prendere parte, a condannare, a emettere giuste ma inutili grida, quando in guerra sempre sono almeno in due, che attacchino o si difendano, e compito dell’ONU non è, come di altre Istituzioni, di dire la giustizia, ma di fare la pace, e farla tra “le nazioni in conflitto”, come dice il Papa non potendo fare altro che invitare a pregare per loro. Del resto l’ONU è mancata in molte altre imprese; ha avuto la caduta di far fare in suo nome la guerra del Golfo, la prima grande guerra riscattata dal ripudio non appena caduto l’ostacolo della deterrenza nucleare, ha risparmiato più caschi blu che veti, non è riuscita, ad oltre 70 anni dalla catastrofe, a risolvere la questione palestinese secondo il principio, ammesso anche da Israele, di due popoli in due Stati. È per questa inadeguatezza parastatale dell’ONU, e proprio nelle crisi più gravi, che nel settantesimo anniversario della Costituzione italiana abbiamo lanciato il nostro appello per una Costituzione della Terra “perché la storia continui”.
È difficile in realtà passare dalla guerra alla politica. Eppure è oggi necessario. Come ha gridato la povera vedova di Marmeladov in “Delitto e castigo”, e non lo citiamo per caso, “C’è una giustizia e io la troverò”, così noi dobbiamo dire: “C’è una politica e noi la troveremo”. È difficile passare alla politica perché di solito la guerra finisce con la vittoria degli uni e la sconfitta degli altri; nei casi più efferati con la resa imposta dagli uni ai danni degli altri. Perciò è quanto più lontana possibile, se non del tutto impossibile, per i belligeranti la pace, e irrispettoso e non neutrale potrebbe sembrare perfino invocarla da parte di tutti quelli che ne sono fuori.
Però c’è un passaggio possibile tra la guerra e la politica che può essere attraversato senza oltraggio per nessuno. Questo passaggio è un armistizio.
Dunque chiediamo un armistizio immediato, perché almeno tutto si fermi, fino a un nuovo sbocco, tra la pace e la guerra, in cui possa tornare ad aver voce la politica.
L’armistizio si fa tra i veri nemici. Questi non sono l’Ucraina e la Russia, perché anzi si dichiarano fratelli, se non addirittura un popolo solo. Non sta a noi giudicarlo, anche se sappiamo che non si è fratelli per il sangue, se non si è fratelli nel cuore e nei gesti.
I veri nemici sono gli Stati Uniti e la Russia. Non ci sarebbe niente di nuovo o cedevole se, anche nella bufera, accedessero a una tregua tra loro, tanto è evidente che si combattono. Glielo ha detto anche la Cina. Del resto lo hanno fatto Kennedy e Krusciov per Cuba, Reagan e Gorbaciov a Reykjavik, e poi i due Bush fino ad Obama. Ma ci rendiamo conto che in questo momento è più di quanto possiamo chiedere. Ma resta una strada. Può sembrare paradossale, ma non per questo meno ragionevole e responsabile. Che l’armistizio lo facciano la NATO e la Russia, che si incontrino e parlino tra loro.
Il paradosso sta nel fatto che proprio per tener fuori la NATO si è fatta la guerra, l’aggressione, l’invasione, l’operazione speciale o come altro la si voglia chiamare. Ma proprio per questo, proprio perché causa di guerra la NATO può essere una via per la pace, invece che entrare ancora più nelle dinamiche della guerra come è apparsa voler fare a Bruxelles. Di per sé se così facesse non cambierebbe natura, perché per sua stessa espressione ha cambiato natura quando, finita la guerra fredda e sciolto il Patto di Varsavia, è rimasta in vita ed anzi ha esercitato un diritto sovrano di guerra contro la Jugoslavia e nell’aprile del 1999, a 50 anni dalla sua fondazione nel vertice di Washington, quando già aveva incluso la Repubblica ceca, l’Ungheria e la Polonia a prova del fatto, come dissero, che non c’erano più divisioni in Europa, si diede nuovi fini e avanzò un nuovo concetto di sicurezza universale, proponendosi addirittura come succedanea dell’ONU ben oltre i confini atlantici menzionati nel suo nome e nella sua ragione sociale.
Invece di promettere a Zelensky di fargli vincere la guerra con la Russia, la NATO dovrebbe pertanto fermare con un armistizio la guerra, facendo sì che immediatamente cessi di pagarne le spese l’Ucraina che con il vero conflitto, in cui avrebbe potuto non essere coinvolta, non c’entra per niente.
Così reintrodotta la politica, NATO e Russia potrebbero concordare un sistema di sicurezza reciproca, riprendere i negoziati per gli scudi spaziali e l’interdizione anche tra loro delle armi nucleari, decidere una graduale riduzione degli eserciti e degli armamenti o mediante una riduzione delle forze sul campo o mediante una diminuzione delle spese militari in assoluto o nel loro rapporto col PIL.
Questo è proponibile ed è del tutto possibile, a meno che l’una o l’altra non abbiano nel loro progetto, palese od occulto, il dominio del mondo. In questo caso a noi tutti non resterebbe che esserne vittima.
Con immutata speranza

Raniero La Valle

P. S. Come detto all’inizio, la lettera qui sopra riprodotta non è stata spedita perché divenuta irrealistica nella sua proposta di un intervento pacificatore della NATO, dopo alcuni eventi occorsi negli ultimi giorni. Ci riferiamo a dei comportamenti irresponsabili nel nostro campo – quello dell’Ucraina e dei suoi alleati – che hanno reso palesemente infondato l’appello a quel residuo di ragione e di umana capacità di convivenza su cui si basava la proposta di un armistizio da raggiungersi tra la NATO e la Russia. Gli eventi che hanno reso irrealistica (o ancora più utopistica) questa proposta sono: 1) il discorso a Varsavia del presidente pro brevi tempore degli Stati Uniti e capo supremo della NATO in cui Joe Biden ha incitato a togliere Putin dal potere, cosa che qualche giorno prima in Italia secondo “La Stampa” sarebbe potuta avvenire attraverso “l’unica via d’uscita” di uccidere Putin mediante tirannicidio; mentre alla denuncia dell’ambasciatore russo alla Procura di Roma per “istigazione a delinquere e apologia di reato” Draghi e altri assertori dei valori dell’Occidente avevano risposto che la libertà di stampa comprende la libertà che si era espressa nell’ istigare ad uccidere. Nello stesso discorso Biden si era appellato al Papa, ma non al papa Francesco che aveva invocato la pace contro le armi e la guerra, ma al papa Wojtyla inteso come forza spirituale legittimante la guerra, dimenticando che Giovanni Paolo II si era espresso contro la guerra americana all’Iraq, ciò per cui era stato oscurato e censurato, esattamente come si fa oggi con papa Francesco. 2) L’irresponsabile discorso di Zelensky che ha accusato l’Occidente di “giocare a ping pong” invece di mandare carri armati, aerei e altre armi soavi all’Ucraina, e la corrispondente accusa del ministro della cultura ucraina recepita senza repliche nella trasmissione televisiva “In onda” de “La 7”, secondo la quale l’insufficiente invio delle armi dipenderebbe dalla “paura” che l’Italia ha di Putin; 3) la decisione attribuita alla NATO dopo il vertice di Bruxelles e in altre occasioni di partecipare alla guerra in tutti i modi coperti possibili, evitando l’accusa di una cobelligeranza diretta.