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Newsletter n. 77 del 4 maggio 2022 – Pacifismo obsoleto?

Cari Amici,
il cancelliere tedesco Scholz ha detto il 1° maggio a proposito della guerra in corso che il pacifismo è “obsoleto”. Ma, se è obsoleto, vuol dire che prima di andare in obsolescenza era valido. Meno male che c’è andato dopo l’unificazione tedesca, perché se ci fosse andato prima il muro di Berlino non sarebbe caduto, il pacifista Gorbaciov non avrebbe detto a Krenz, il successore di Ulbricht, di aprirlo, e il resto dell’Europa non sarebbe stata così pronta ad accettare l’idea di una grande Germania, quando molti leaders europei, come diceva sia pure scherzando Andreotti, pensavano che molte Germanie sarebbero state meglio di una sola, tanto più se indotta a spendere in armi più del 2 per cento del PIL.
Tanto più grave è liquidare il “pacifismo” quando c’è una tragica incomprensione della natura ultimativa della crisi che stiamo vivendo e dei modi per uscirne. Non parliamo delle persone in malafede, di quanti vogliono la guerra o fanno affari con le armi, ma di quanti, pur con le migliori  intenzioni, con le loro analisi e prese di posizione ci spingono verso la catastrofe.
Se ci fosse un pacifismo da buttare, naturalmente obsoleto sarebbe anche il papa che vorrebbe andare a Mosca per far fare la pace a Putin e fare la pace con Putin.
In attesa di ciò, con centinaia di firme tutte di grande valore per le esperienze di vita che esprimono, è stata scritta una lettera al papa per chiedergli di mandare intanto un’ambasceria di pace alla Casa Bianca e al Cremlino non solo per fermare la guerra ma per convincere ambedue quei potenti a progettare un mondo dove tutti possano coesistere in pace.
Qual è il rapporto tra le due ipotesi di intervento, quella a cui si dichiara pronto il Papa stesso, e quella che gli è suggerita dal movimento di base?
Il problema è che ci sono due livelli della crisi; a entrambi, per uscirne, occorre rispondere.
C’è il problema umanitario. La missione del papa a Mosca sarebbe, e speriamo di poter dire “sarà”, una missione umanitaria. Come egli ha detto di se stesso e del patriarca Kirill, “noi non siamo dei chierici di Stato”, siamo pastori di popoli, non possiamo e neanche saremmo in grado di offrire soluzioni politiche. Ma qui il problema non è semplicemente un problema umanitario, che ci trova tutti unanimi, e nemmeno il problema è  di dividere, più o meno salomonicamente, i torti e le ragioni tra gli uni e gli altri. Se l’orribile sentenza del  generale von Clausewitz fosse vera, la guerra sarebbe la continuazione della politica con altri mezzi, e se fosse vera la tesi di Carl Schmitt la politica sarebbe il regolamento dei conti tra amico e nemico. Ma se queste tesi sono prese per vere (e proprio questo delirio sembra oggi di dominio comune) occorre anche riconoscere che il problema dell’uscita da questa guerra non è solo umanitario, e nemmeno è quello di decidere sentenze e pene, ma è un problema politico. Sia a Washington che a Mosca potrebbero offendersi se si agitasse solo il problema umanitario, come se loro non fossero umani, e ci si appellasse solo al buon cuore, come se fosse scontato che  il loro sia un cuore di pietra. In tal caso non ci sarebbe niente da fare.
Ma se il problema è politico lo si può individuare e risolvere. Si potrebbe allora riconoscere che essendo la NATO un’alleanza difensiva  e non offensiva, il piano a lungo perseguito ed attuato di allargarla verso Est fino a circondare la Russia, fosse dettato  dalla necessità di difendere dalla Russia le nazioni dislocate sul suo confine occidentale. D’altra parte si potrebbe riconoscere che il problema politico di Mosca fosse di sentirsi minacciata dall’ ”abbaiare della NATO alla porta della Russia”, come ha detto il papa, e di voler salvaguardare la lingua e la vita stessa  (come si era visto ad Odessa) della gente di tradizione russa nei territori ucraini del Donbass. Ma questi sono problemi politici molto facili a risolversi tra interlocutori anche di media intelligenza e di normale capacità politica, come è normale che sia trattandosi di responsabili di popoli. Perché non scambiarsi le rispettive sicurezze?
Ciò naturalmente se il problema politico non è quello di pretendere il dominio del mondo, o di imprimere la propria impronta su tutta la terra, ipotesi che però, a questo punto della civiltà e del diritto, non si può nemmeno prendere in considerazione..
Se poi fosse la Merkel a fare da catalizzatore tra i due protagonisti per far confluire i loro progetti sull’ordine mondiale in un disegno comune, sarebbe chiaro che ad ispirare tale disegno neppure nella polemica più accesa potrebbe essere evocata l’ombra, a lei ben nota, di Hitler.
Questo è il senso della lettera al papa, quando egli mostra di voler fare tutto il possibile  per stabilire la pace. Tocca oggi ai responsabili delle nazioni, sostenuti dalla ideale assemblea di tutti gli abitanti della terra, gettare le basi di un ordine mondiale che chiuda definitivamente l’era dell’internazionalismo selvaggio degli Stati, di un mondo spartito tra i padroni di tutto, di una storia che va da Vestfalia a Campoformio a Versailles e a Yalta, per instaurare un ordine multipolare, comunitario  e costituzionale dei popoli, che garantisca i diritti fondamentali e renda liberi gli oppressi.
Pubblichiamo una illuminante intervista dell’economista Sachs sulle responsabilità dell’America nella guerra di Ucraina, la lettera al papa per un’ambasceria di pace, da affidare per esempio alla Merkel, una lettera di Gustavo Zagrebelsky che spiega, come hanno fatto molti  altri con le motivazioni più interessanti, con quali sentimenti l’abbia firmata, e un documento dell’associazione “Laudato si” che ammonisce come l’ecologia integrale sia il solo orizzonte in cui si possono risolvere i conflitti.

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