Cari Amici,
Draghi è stato avvertito: Zelensky non gradisce che una crisi di governo in Italia disturbi l’incessante flusso di armi all’Ucraina né, come dice il suo consigliere Podolyak, “la tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali” (cioè la democrazia) “deve intaccare l’unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male”, ovvero mettere in dubbio la suddetta “fornitura d’armi all’Ucraina”. E anche Johnson lascia a desiderare. Perciò dobbiamo aspettare che domani la sorte del governo Draghi sia decisa non sui nostri colli fatali ma là dove si giocano le sorti delle nostre Costituzioni democratiche e della stessa pace del mondo, dal momento che le abbiamo messe nelle mani delle attuali tragiche star della guerra e del potere.
Aspettare non vuol dire tuttavia obbedire. È bene perciò accorgersi di un altro avvertimento “molto molto importante”, come scrive Enrico Peyretti. “Per la prima volta un papa invita a rifiutare di fare la guerra per ragioni morali, di coscienza. Non solo condanna la guerra (‘inutile strage’), ma chiede – non ai governanti, ma ai soldati – di non farla, di disobbedire! Rivoluzione di Francesco contro la politica, anche democratica, che ha l’omicidio di massa tra i suoi mezzi regolari. Chiede ai giovani di boicottare, di disobbedire, di far fallire i governi di guerra”.
È davvero una novità? Se lo è, lo è tuttavia in quanto detta da un papa, non in quanto iscritta nel Vangelo da secoli, ed adempiuta anche oggi. E appunto in questo messaggio rivolto il 6 luglio alla Conferenza Europea dei Giovani riunitasi a Praga, papa Francesco ha portato ad esempio l’obiezione di coscienza fatta nel 1943 da un giovane austriaco, di cui è ancora molto vivo il ricordo in Alto Adige, a cui il nostro Francesco Comina ha dedicato un libro molto bello pubblicato dalla EMI. “Solo contro Hitler. Franz Jägerstätter. Il primato della coscienza”. Ha scritto il Papa: “Vorrei invitarvi a conoscere una figura straordinaria di giovane obiettore, un giovane europeo dagli ‘occhi grandi’, che si è battuto contro il nazismo durante la seconda guerra mondiale, Franz Jägerstätter, proclamato ‘beato’ dal papa Benedetto XVI. Franz era un giovane contadino austriaco che, a motivo della sua fede cattolica, fece obiezione di coscienza di fronte all’ingiunzione di giurare fedeltà a Hitler e di andare in guerra. Franz era un ragazzo allegro, simpatico, spensierato, che crescendo, grazie anche alla moglie Francesca, con la quale ebbe tre figli, cambiò la sua vita e maturò convinzioni profonde. Quando venne chiamato alle armi si rifiutò, perché riteneva ingiusto uccidere vite innocenti. Questa sua decisione scatenò reazioni dure nei suoi confronti da parte della sua comunità, del sindaco, anche di familiari. Un sacerdote tentò di dissuaderlo per il bene della sua famiglia. Tutti erano contro di lui, tranne sua moglie Francesca, la quale, pur conoscendo i tremendi pericoli, stette sempre dalla parte del marito e lo sostenne fino alla fine. Nonostante le lusinghe e le torture, Franz preferì farsi uccidere che uccidere. Riteneva la guerra totalmente ingiustificata. Se tutti i giovani chiamati alle armi avessero fatto come lui, Hitler non avrebbe potuto realizzare i suoi piani diabolici. Il male per vincere ha bisogno di complici. Franz Jägerstätter venne ucciso nella prigione dove era rinchiuso anche il suo coetaneo Dietrich Bonhoeffer, giovane teologo luterano tedesco, antinazista, che fece anch’egli la stessa tragica fine”.
Non a caso papa Francesco ha innestato questo ricordo nella serie delle guerre mondiali combattute in Europa, compresa quella presente che si aggiunge “ai numerosi conflitti in atto in diverse regioni del mondo”. Cari giovani – ha scritto – “mentre voi state svolgendo la vostra Conferenza, in Ucraina – che non è UE, ma è Europa – si combatte una guerra assurda… L’idea di un’Europa unita è sorta da un forte anelito di pace dopo tante guerre combattute nel Continente, e ha portato a un periodo di pace durato settant’anni. Ora dobbiamo impegnarci tutti a mettere fine a questo scempio della guerra, dove, come al solito, pochi potenti decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!”
Ribellarsi, ma con la forza di quale cultura? Nel rivolgere ai giovani questo invito a ribellarsi e a resistere, papa Francesco ha fatto riferimento al “Patto educativo” che, come ha detto, è “un’alleanza lanciata nel settembre 2019 tra gli educatori di tutto il mondo per educare le giovani generazioni alla fraternità”. Dinanzi all’attuale corso degli eventi Francesco, come se fosse in crisi di speranza storica (non certo di quella teologale) ha fatto dunque appello all’educazione, alla costruzione di un pensiero; egli sembra dire ai giovani: se voi non cambiate cultura, se non rimettete in gioco le categorie politiche, antropologiche, sociali che ci hanno portato fin qui, se non rifondate il diritto, se non cambiate le visioni del mondo che lo pensano come frammentato, diviso e nemico, se non rovesciate l’egemonia della guerra, se non andate a scuola di giustizia e fraternità, sarete in balia di menzogna e violenza, sarete preda di regimi spietati, di pulsioni di guerra e di dominio, non potrete costruirvi il futuro che sognate, non avrete futuro. Ed aggiunge che bisogna educare tutti a una vita più fraterna, basata non sulla competitività ma sulla solidarietà, cambiare sistema: ”La vostra aspirazione maggiore, cari giovani, non sia quella di entrare negli ambienti formativi d’élite, dove può accedere solo chi ha molto denaro. Questi istituti hanno spesso interesse a mantenere lo status quo, a formare persone che garantiscano il funzionamento del sistema così com’è. Vanno apprezzate piuttosto quelle realtà che uniscono la qualità formativa con il servizio al prossimo, sapendo che il fine dell’educazione è la crescita della persona orientata al bene comune. Saranno queste esperienze solidali che cambieranno il mondo, non quelle “esclusive” (ed escludenti) delle scuole d’élite. Eccellenza sì, ma per tutti, non solo per qualcuno”.
Questo è il lascito di papa Francesco. Obiettare, ribellarsi, resistere. Ma non per una trasgressione, bensì per una più alta obbedienza. L’Italia è andata più avanti degli altri su questa strada, e se il Costarica, in America Latina, è il primo Paese che ha abolito l’esercito, l’Italia è il primo Paese in tutto l’Occidente con tutte le sue Costituzioni che l’obiezione di coscienza l’ha chiamata “obbedienza alla coscienza”. Così essa è definita infatti nella legge dell’8 luglio 1998 sulla riforma dell’obiezione di coscienza che dice, al suo primo articolo: “I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, (…), opponendosi all’uso delle armi, non accettano l’arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati nei Principi fondamentali della Costituzione”. Quando nel gennaio 1992 riuscimmo a introdurre nella nuova legge sull’obiezione di coscienza questa formulazione, la cosa apparve tanto scandalosa che il presidente della Repubblica Cossiga si rifiutò di firmarla e la rinviò alle Camere, che sciolse subito dopo; fu solo tre legislature più tardi, nella XIII, che in quella identica formulazione la legge fu di nuovo approvata e promulgata; e fu per esorcizzare quel primato della coscienza sulla obbedienza pronta ad uccidere che nel 2005 il potere militare e il governo Berlusconi abolirono l’obbligo stesso al servizio militare, non per licenziare la guerra, ma per metterla al riparo da rifiuti e critiche, per renderla insindacabile. Il che vuol dire che la cultura funziona, l’educazione può rompere il conformismo, la forza delle idee può cambiare la politica.
È per questo che, pur nella guerra e nell’osanna alle armi e ai loro officianti, Costituente Terra continua a lottare per un altro sistema, un altro diritto.
Nel sito pubblichiamo il testo completo del messaggio ai giovani di papa Francesco.
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