IL PRINCIPIO FEMMINILE

IL PRINCIPIO FEMMINILE Esso dovrebbe introdurre nel diritto un’ispirazione dal basso, un prevalere dell’attenzione all’equità e alla logica del corpo e della terra senza perfettismi astratti e blocchi normativi che […]

IL PRINCIPIO FEMMINILE

Esso dovrebbe introdurre nel diritto un’ispirazione dal basso, un prevalere dell’attenzione all’equità e alla logica del corpo e della terra senza perfettismi astratti e blocchi normativi che scendono implacabili dall’alto

Sintesi di testi sul “principio femminile” tratti da Filosofia della prassi di Italo Mancini, Morcelliana editrice, 1986.

Oltre il negativismo

Tra gli eventi che hanno fatto l’Europa va posta la secolare lotta per il diritto, lotta che per tutta l’età moderna l’ha travagliata creativamente. Non si intende certo misconoscere il valore creativo dell’arte o quello poetico della grande letteratura o quello della consapevolezza filosofica o la decisività di ben noti eventi fondatori dominanti le scene della storia: queste sono cose che tutti sanno e di cui parlano, ma in genere non si parla della funzione avuta dalla civiltà del diritto nella formazione della realtà e dell’idea di Europa.,.

È proprio in rapporto a questa forma che l’Europa sta scomparendo. Voglio dire: quel fenomeno generale e incalzante per il quale non ho trovato di meglio della piuttosto barbara espressione di negativismo giuridico, la sta travolgendo. Questa è la tesi che vorrei proporre: la negazione dell’ essenza giuridica o, detto più umilmente, la negazione degli strumenti puliti e utili offerti dal mondo del diritto, è una negazione che investe la forma stessa dell’esserci Europa come forma di civiltà….

L’Europa si sta disgregando con il perdersi, attraverso negazioni precise e vastamente culturali, del mondo del diritto. Questo vuol dire, nel suo senso e nel suo destino, il negativismo giuridico… inteso come una variante o un modo che incanala verso il vivere concreto l’intero ciclo del pensiero negativo.

Si tratta ora di procedere indicando le forme tipiche, e sono quattro, di questo negativismo giuridico. E poi si tratta di presentare un contromovimento, una rigenerazione che … attraverso una visione di certi principi ispiratori (e sono ancora quattro) del diritto stesso lo rigeneri fedelmente di fronte alla sua funzione e alla sua memoria.

(omissis: le quattro forme del negativismo giuridico, pp. 19-26)

Per la ripresa di una civiltà del diritto

È possibile di fronte a questa caduta radicale della negazione creare un contromovimento che pur tenendo conto che con tutto questo è davvero “accaduto qualcosa”, riesca a ridare un senso a una civiltà del diritto che, pur senza nessuna gonfiatura retorica, rimetta in piedi e in ordine uno strumento antico come la civiltà…? La risposta dovrebbe comportare una resa di conti con l’intera vicenda dell’essere e del pensare… ma sarà meglio limitare questa resa di conti al solo mondo del diritto. Non intendo inventare ma piuttosto e con maggiore umiltà epistemologica ridare voce e sostanza a certe falde del pensiero giuridico e morale storicamente gestite dall’esperienza umana, ma che alla prova dei fatti risultarono ghettizzate o messe ai margini della cultura ufficiale, crocifisse Insomma dalle ragioni dell’imperialismo culturale, che inseguono ideologizzando la cultura vera come l’ombra segue il sole. Né sono tutte, queste falde: io ne ritaglio quattro ben disposte lungo il travaglio millenario della cultura occidentale e mi paiono tali da produrre non solo un rasserenante schiarimento dei concetti e dei valori giuridici ma soprattutto atte a produrre un camminare eretti, raccomandato da Kant, un camminare nella dignità.

(Quattro sono queste idee rigeneratrici del diritto: la prima è il principio femminile, la seconda il concetto di natura da prendersi in una radicalità ben altra dalle forme storiche di diritto naturale, anche quando soggiace loro o vi può soggiacere, la terza può essere legata alle lotte dell’individualismo in epoche assolutistiche, una lotta per il diritto e con il diritto che possiamo chiamare con una bella espressione di Locke, “diritto di resistenza”, la quarta e ultima può essere fatta consistere nel nesso ancora per gran parte da costituire tra diritto e rivoluzione).

“il principio femminile” come categoria alternativa nel diritto

La prima delle grandi idee rigeneratrici del diritto deve essere presa in senso soprattutto categoriale, anche se ha avuto incarnazioni storiche, che però vanno riferite alla sua vicenda interpretativa, ché la gestione veramente reale andrebbe sorpresa nelle epoche preistoriche. La chiamerei – chiedendo molto alone allusivo nell’interpretazione – “il principio femminile” come categoria alternativa nel diritto. Della presunta realizzazione preistorica hanno parlato il Bachofen di Mutterrecht (“Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia nel mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici”) e il maturo Engels di L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), il “libro” più utopico della sua vicenda culturale, mentre delle possibilità liberanti di questa categoria hanno parlato lo Hegel della Fenomenologia dello Spirito e, strettamente legato al tema giuridico, il Bloch di Naturrecht und menschliche Würde (vedi: “Marxismo e utopia”, Editori Riuniti, Roma 1984). Anche Erich Fromm ha dedicato nel suo periodo francofortese pagine interessanti ai dinamismi soprattutto psicologici messi in atto dall’interazione del principio maschile e di quello femminile, il primo socialmente insicuro e quindi altezzoso per la sua esigenza perfettistica, il secondo più accomodante e pacifico per la sua coscienza dei limiti.

Ma con il diritto questo principio femminile cosa avrebbe a che fare? Intanto è da dire che esso non riguarda affatto la rivendicazione di precisi contenuti legislativi, come può essere nel caso dei movimenti femminili più recenti e neppure la questione del senso uguale o superiore della donna e della sua civiltà, com’è rivendicato dal movimento femminista. Il contributo al rinnovamento del diritto per opera di questo principio femminile può essere pensato e in rapporto a una lettura, sul tipo di quella hegeliana, del mito di Antigone e soprattutto nella controluce del diritto maschilista romano o di quello cristiano dominato dall’alto dalla figura del padre e dalla sua inesorabile legge, come ritiene lo stesso Bachofen. Le deità sotterranee mostrano il prevalere dei temi terrestri, la pressione uterina, come nel fiume Stige, che è fiume femminile e si addentra nelle cavernose profondità che fanno toccare il midollo della terra e dell’amore.

Per questo Hegel parla della società e del diritto nati da un patto sullo Stige, sulle cavernose aperture della deità femminile. Antigone rivendica il primato della legge del sangue, dell’attenzione parentale. il diritto del più umile, del più elementare, di quanto è più legato ai nutrimenti terrestri, con precise esclusioni di quanto è faraonico, zeusico e legato agli splendori del cielo, a quel dominio dell’Alto, una delle più gravi scissure dell’umanità insieme a quella tra interiore e esteriore. Quell’alto tanto vicino al trono dei potenti che fonda e regge. Allora il principio femminile nel diritto dovrebbe avere questo compito categoriale di introdurre una ispirazione dal basso, un prevalere dell’attenzione all’equità e alla logica del corpo e della terra senza perfettismi astratti e blocchi normativi che scendono implacabili dall’alto.

(Oltre il negativismo; pp. 15-28 passim,)
……..

3. Figure e tempi storici

A ben guardare ciascuna di queste figure (principio femminile, legge di natura, diritto di resistenza, e rapporto tra diritto e rivoluzione) si colloca idealmente in un tempo della storia considerata per grandi epoche a cominciare dalla stessa protostoria o preistoria.

Più preistoria che storia

Il principio femminile come non ha nulla a che fare con l’attuale questione femminista così è difficile poterlo riportare a un effettivo periodo storico, dominato dal matriarcato. Il Mutterrecht di Bachofen si pone in una sfera romantica e ideale che non coincide con la ricostruzione storica o preistorica di un periodo effettivamente documentabile. E pertanto non seguiremo il tardivo Engels, suggestionato da questa prima comunistica età del mondo; la critica è incline a considerare L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884) di Engels più come un documento dell’influsso utopico di un’età dell’oro nel tempo delle origini che non un vero documento storiografico. Mi pare che a questo punto colga nel segno Ernst Bloch quando scrive: “Se è vero che numerosi popoli hanno conosciuto forme famigliari di diritto materno è altrettanto certo che questa figliazione matrilineare, questa venerazione della donna con tutti i simboli ctonici, erotici, isiaci, non coincidono con un matriarcato politico” (Naturrecht , pag. 118). Il principio femminile offre al diritto caratteri ideali e non storici caratteri contestativi e non positivi: per questo va legato alla preistoria i cui valori possono essere rintracciati nell’ epos e nella tragedia e non in documenti di natura storica vera e propria. Da questo punto di vista non ha torto Hegel di lavorare sul materiale mitico dei tragici allo scopo di delineare il quadro della vita bella della città greca dominata dalla legge divina delle madri. Antigone diventa così il massimo della simbolizzazione e della rappresentazione…

(Figure e tempi storici, pp. 236-237)

4. I valori del principio femminile

Allora per quanto riguarda il tema che abbiamo tra le mani si può procedere in questo modo: partiamo da riprese recenti della questione del principio femminile sia sotto il profilo di chi l’ha legata a propositi di rinvigorimento giuridico sia di chi in maniera più generale l’ha legata alla questione della psicologia sociale. Per il primo caso mi riferisco ancora una volta a Ernst Bloch e ai due capitoli che gli dedica nel cuore del suo Naturrecht und menschliche Würde , per il secondo invece faccio riferimento a studi di Erich Fromm che ricomprende opportunamente anche i motivi dell’interesse per questo tema da parte della filosofia di Engels e del marxismo della Seconda Internazionale. E siccome tanto Bloch come Fromm, pur estranei al metodo filologico e storiografico, interessati anch’essi come noi di questioni teoretiche o in ordine alla questione giuridica o in ordine alla vita dei gruppi, fanno soprattutto riferimento al padre di questi studi, a quel Johan Jacob Bachofen (Basilea 1815 1887) che esattamente 30 anni dopo la morte di Hegel pubblicava nel 1861 quel suo volume decisivo per il nostro tema, Das Mutterrecht. Eine Untersuchung über die Gynaikokratie der alten Welt nach ihrer religiösen und rechtlichen Natur., così faremo pure noi.

Levinas: l’individuale

Iniziamo allora con il chiedere alle ricerche più recenti la gamma dei possibili valori del principio femminile, giuridici o no. Forse anche troppo in medias res (dico per la comprensione) ci può condurre una osservazione (incidentale?) di Emmanuel Lévinas, intanto che sta commentando Il Talmud e mostra in azione la contrapposizione tutta ebraica della norma generale che violenta la vita individuale e la sua ricchezza concreta e aspetti di questa vita concreta che egli risolve nell’attenzione primordiale al tu, all’altro, al prossimo espressi nel volto e nella sua altissima dignità. Non fa uso – per questo secondo modo di essere della vita impiantata nella coesistenza dei volti – della dizione “principio femminile”, ma per l’altro fa uso esplicito della qualificazione maschile, che trova in questa sovranità assoluta della norma un carattere davvero primordiale. Queste sono le sue parole che ora dovrebbero essere chiare: “Rabbi Josèf Bar Habò è scettico riguardo all’ individuale, crede nell’Universale. Individuo contro individuo è cosa di nessuna importanza; ledere un principio, ecco la catastrofe […]. Contro questa tesi virile, troppo virile, nella quale si scorge anacronisticamente qualche eco di Hegel, contro la tesi che mette l’ordine universale al di sopra dell’ordine interindividuale, si leva il testo della Gemarà. No, l’individuo offeso deve essere sempre placato, accostato e consolato individualmente, il perdono di Dio – o il perdono della storia – non si può concedere senza che l’individuo sia rispettato”
Non è che un indizio, una “traccia”: principio femminile contro principio maschile può essere certamente espresso nella contrapposizione tra attenzione all’ individuale, ai volti dell’uomo; e resa obbedienziale alla sovranità delle leggi, al fiat iustitia pereat mundus, all’astuzia della Ragione che sa immolare sull’altare del generale e del logico tutto quello che nelle determinazioni individuali sembra inessenziale. in questa linea, proprio per Hegel, prende senso anche la guerra: la guerra che, massacrando l’individuale, fa capire quanto esso poco conti e come occorra inchinarsi a quell’essenziale che poi, alla fine di tutto, non ha nessun nome proprio, ma solo quello, emunto da tutta la concretezza, dell’in sé e per sé: un vertice dialettico che non riuscì a placare con una formula il tormento operaio che esplose proprio in quegli anni e che giustamente Marx intese rimettere con i piedi per terra
A voler procedere nello svolgimento di questo nucleo potremmo dire subito che il principio femminile rappresenta un correttivo di quei caratteri di astrattezza e di generalità del diritto di cui va, per certi aspetti come la certezza del diritto, giustamente fiera la giurisprudenza uscita dalle lotte illuministiche, ma si tratta di caratteri pagati a caro prezzo con la cattura formalistica che sancisce epistemologicamente questa disattenzione a quanto Giuseppe Capograssi chiamava l’esperienza giuridica. A quali rigori contro la gente si possa giungere lo dice la formulazione kantiana come quando propone il taglione per i peccati contro natura o l’esecuzione della condanna a morte di quell’unico criminale in attesa proprio nel momento in cui un gruppo sociale si sta sciogliendo e abbandonando l’isola che lo ospitava, oppure come quando in ossequio al principio formale di dire sempre la verità intesa come corrispondenza tra pensiero e parola, vuole che si denunci alla polizia l’amico ricercato che si è nascosto nella nostra casa. Ben altrimenti intese, da teologo, Dietrich Bonhoeffer che significa dire la verità , preoccupato di difendere la sua prassi di resistente che non intendeva sacrificare i suoi compagni di lotta al Moloch hitleriano.

Bloch: pietà contro maestà

A questa esigenza di raddrizzamento del mondo più propriamente giuridico ne va legata un’altra di natura teologica, che serve a illuminarla. Che la conseguenza ci sia ne fa fede anche il sottotitolo del libro del Bachofen che abbiamo ricordato . Teologicamente parlando la visione del mondo che ha il principio maschile è di natura uranica, dominio degli dèi altissimi, vicini al trono dei potenti, che fondano e reggono, una visione che secondo recenti teologie della Primavera praghese darebbe luogo a una forma di “classismo ontologico”: sopra la classe degli esseri beati e imperituri, sotto quella degli esseri destinati all’insignificanza. Invece la visione del mondo del principio femminile è di natura tellurica, fa centro sulla terra, sulle sue liberazioni storiche e tien conto dei nessi che derivano dal vincolo di sangue e dalla pietà. Pietà contro maestà, ecco un’altra diade comprensiva della diversa natura dei due principi. Ma il teologicamente uranico di fronte al tellurico ha qualcosa a che fare con il giuridico? Certo, sol che si pensi all’Orestea di Eschilo o al più noto contrasto politico giuridico di Antigone di Sofocle. Ha scritto Bloch a proposito di questo legame tra sfondo cosmologico, valori religiosi e istanze giuridiche: “Nella religione della terra e della luna la passione vince sull’azione, il lato sinistro su quello destro, ciò che è basso su ciò che sta in alto, la notte sul giorno, la caverna sul cielo, il mondo sotterraneo su quello olimpico – in breve è un mondo, di cui solo il romanticismo poteva trovare l’accesso, un mondo dalla mano sinistra, e, sotto tutti gli aspetti, un regno del major honos laevarum partium (Papiniano) (maggior onore del lato sinistro”) (Naturrecht p.120).

Forti anche di questi termini sintetici nel suo discorso interpretativo di Bachofen, possiamo a questo punto chiarire un po’ meglio in che termini stia per Bloch la questione del principio femminile, o del Mutterecht, diritto della madre (ispirato o gestito dalla madre). Potremmo intanto dire che qui Bloch riapplica quella distinzione tra corrente calda e corrente fredda che aveva introdotto nello studio del marxismo Corrente fredda sarebbe quella dell’analisi e dell’accertamento legato ai fatti, mentre corrente calda sarebbe quella che potrebbe dirsi profetica che accende la fantasia e genera il coraggio dei fronti di lotta. Sempre secondo la terminologia di cui è intessuto il Principio Speranza diremmo che ha lo statuto epistemologico e utopico del sogno diurno. In questo senso il principio femminile è di natura categoriale: Non si tratta di un fenomeno storico nel senso adulto della parola, tanto è vero che la sua conoscenza è legata all’etnologia e ai mondi greci della preistoria: nello sguardo caldo che intravede il principio femminile si fa presente “il pathos della madre totalmente estraneo all’etnologia empirica (Naturrecht p.116)…

Naturrecht come Muterrecth, e non come una vena o un motivo del diritto naturale, ma proprio come sua essenza, come suo status. Ha scritto ancora Bloch: “E il diritto naturale… penetra per la prima volta presso Bachofen in quanto diritto eterico- demetrico nel più profondo della immaginazione (Naturrecht, p120).

Questo è per noi il punto essenziale. Vedere se può prendere senso un diritto naturale nei panni femminili e quale soccorso può portare alla rigenerazione dell’idea del diritto che ci sta a cuore. Importa meno allora lo sfondo “erotizzato” che cinge questa lettura, importa meno il suo legame con la concezione romantica della donna, essere del tutto separato, diverso, rivelativo di zone altrimenti inaccessibili della realtà e dell’interiorità, un arretramento civile di fronte alle lotte illuministiche e settecentesche sulla parità della donna con l’uomo; importa meno, infine, anche il fatto della incoerenza davvero stupefacente di Bachofen che nel mentre scopre e valorizza questo senso del diritto naturale, si insedia alla fine, come a traguardo alto e più valido, nel diritto positivo di ispirazione razionale e maschile…

Novalis: la lettura romantica

Ho detto che Importa meno di fronte alla enucleazione del principio naturale inteso nell’espressione femminile la questione del legame tra questo colpo di coda romantico a secolo inoltrato e le teorizzazioni dei primi decenni, quando il romanticismo esplose soprattutto con Novalis e con la sua concentrazione lirica sulla donna e sulla notte…

(In Novalis) tutto quello che di nuovo di straordinario di perfetto di rigenerante l’uomo può attendersi dalla speranza è legato a questa magia del femminino che lega insieme donna e natura, il calcolo e l’esattezza matematizzante cedono il posto a una visione incommensurabile. “Quando numeri e figure non saranno più la chiave di tutte le creature, quando quelli che cantano o baciano sapranno più dei profondi eruditi, quando il mondo tornerà a essere vita libera e vero mondo, allora di fronte a un’unica parola magica si dileguerà tutta la falsità” . Stringendo più da presso i motivi della natura, della fiaba, della magia che prenderanno il posto di “numeri e figure”, ecco che Novalis incontra la donna è il suo principio…

Fromm: al di là del proprio io

Ma occorre ridiscendere alla “fertile bassura” (Kant) della nostra questione giuridica. Aver potuto fissare questo valore della legge naturale femminile è già importante: la questione è semmai quella di vedere quali precise fattezze può assumere la cosa. Non solo dal punto di vista giuridico ma anche dal punto di vista sociale, nella psicologia dei gruppi e della comunità; e di un terzo tipo di riferimento, quello assoluto espresso della poesia si è detto. Fromm ha portato proficua attenzione a questo intreccio tra principio femminile – soprattutto nella forma, in realtà riduttiva, del matriarcato – e psicologia sociale.

Dopo aver osservato che il problema del matriarcato “ha suscitato un nuovo e profondo interesse” ai nostri giorni, egli ne esprime, sulla scorta di Bachofen, quelle anche da noi ricercate fattezze in questo modo: “Il principio matriarcale è quello della vita, dell’unità e della pace. La donna prendendosi cura del bambino, estende il suo amore al di là del proprio io ad altri esseri umani, e elargisce tutti i suoi doni e la sua immaginazione al fine di preservare e abbellire l’esistenza di un altro essere umano. Il principio del matriarcato è quello dell’universalità, mentre il sistema patriarcale è quello della restrizione. L’idea della fratellanza universale dell’uomo è radicata nel principio di maternità, ma scompare con lo sviluppo della società patriarcale. Il matriarcato è la base della libertà e dell’uguaglianza universale, della pace, dei teneri sentimenti umanitari. Esso sta Inoltre alla base del principio morale del benessere materiale e della felicità terrena .

Non occorre scomodarci con lunghi analisi per vedere come questi temi possano trovare un’eco profonda nelle aspirazioni del nostro tempo. Più importante mi pare invece la ricerca fatta da Erich Fromm sui dinamismi del principio psicologico che presiedono a queste determinazioni sociali. Ecco: “il tipo patricentrico è caratterizzato da un complesso nel quale sono dominanti un super-io rigido, sentimenti di colpa, l’amore arrendevole verso l’autorità paterna, il piacere del dominio verso i più deboli, l’accettazione della sofferenza come punizione della propria colpa e la scarsa capacità di essere felici.
“Il complesso matricentrico è contraddistinto invece da un sentimento di confidenza ottimistica in un amore materno incondizionato, da un minore senso di colpa, da una minore forza del super io, da una maggiore capacità di essere felici e di godere, nonché da una contemporanea formazione ideale nel senso dello sviluppo delle qualità materne della pietà e dell’amore verso le persone deboli e bisognose di aiuto” . La tensione perfettistica rende l’uomo preda di un io censorio e intollerante, che non si arrende alle curvature del reale, rifiuta la semplicità del godere sereno e si tormenta con il senso di colpa. La donna meno perfettistica e più realistica guadagna questi valori e non è proprio azzardato, come Inoltre il già detto conferma, concludere in questo modo: “In contrapposizione alla legge di natura borghese dove ‘natura’ è la società patriarcale trasformata in assoluto, la legge di natura matriarcale è caratterizzata dal predominio dei valori istintuali, naturali, fondati sul legame del sangue. Nella legge matriarcale non v’è un logico, ragionevole equilibrarsi di delitto e di espiazione; essa è dominata dal principio ‘naturale’ del taglione, e della pratica del dente per dente” .

(I valori del principio femminile, pp. 240-250, passim)

5. Jus naturale e jus civile

Se è vero che il lavoro di Bachofen del 1861 rappresenta una “rivoluzione radicale” nel campo della interpretazione storica e ideale del diritto, e se è vero che questa rivoluzione è legata alla sua scoperta del dominio femminile, sarà bene a questo punto, arretrando alla precisa memoria storica, guardare in faccia alla presentazione precisa che ne fa lo stesso Bachofen.

Bachofen: donna e diritto naturale

Sotto il frastagliatissimo racconto della preistoria umana che fa del libro di Bachofen uno scritto irto e ribollente, scorrono un paio di tesi in fondo molto semplici e decisive. La prima tesi è quella dell’esistenza di uno jus naturale che sviluppa la naturalità dell’uomo a tutto arco e questo ha nella donna e nelle sue leggi il centro e la sua ispirazione. Con le parole di Bachofen che delineano insieme lo scopo delle sue ricerche, si tratta di raccogliere “alcune notizie degli antichi su quei popoli che non riconoscono il matrimonium e che presentano invece il diritto materno connesso alla più totale naturalità dei rapporti tra i sessi, e quindi conservano lo jus naturale in tutta la sua estensione” (Muterrecht, p. 78). La seconda tesi dice invece che, nel volere e nella forza della donna, che la faceva etéra di tutti, “piaceri sensuali senza pari riuniti nel seno della femminilità” come dice Ernst Bloch (Naturrecht, p.120), ci sono stati due progressivi “innalzamenti” e superamenti, uno legato alla istituzione della famiglia ma sempre dominato dal diritto matriarcale, e dove si è avuto il massimo beneficio dal diritto della donna, non più scempiato dalle pretese ingorde e mai sazie dell’eros maschile; e un altro che fissa il superamento di questa fase matriarcale, la nascita del diritto solo maschile, il trionfo dello Stato, la violenza dello jus positivum. Con le parole di Bachofen:”Nella mia trattazione darò particolare rilievo al graduale innalzamento del genere umano da condizioni totalmente animalesche alla civiltà matrimoniale, quindi cercherò di evidenziare la graduale trasformazione dello jus naturale in jus civile” (ivi).
Non si tratta di dialettica in tre tempi, eterismo, matriarcato, diritto statuale, ma di una concezione dualistica che può essere opportunamente raccolta in jus naturale e jus civile o, in termini di contenuto, in principio femminile e principio maschile, anche se nel primo momento si verificano due fasi che si condizionano a vicenda. ma dove sempre esiste la situazione della donna al centro di tutto, di tutti gli amori prima, di tutti i poteri poi.

Primo momento. ”Al gradino più basso della sua esistenza l’uomo si caratterizza per una promiscuità totalmente libera e per una mancanza di riservatezza nel rapporto sessuale. Come gli animali egli soddisfa l’istinto naturale senza unione permanente con una donna e davanti agli occhi di tutti […]. Nel fare ciò egli pianta il suo bastone in terra (Erodoto, Storia, 4, 172), rappresentazione questa della sua stessa azione” (p. 78). È la legge di Afrodite che impregna la materia e la feconda. È Afrodite che ispira ai due sessi l’istinto della procreazione e ispira loro il desiderio di nutrire i figli, che stabilisce tra la madre e il fanciullo il più stretto dei legami, e che assicura a tutte le nascite uguaglianza e libertà. Ogni proprietà separata è vituperata da questa dea; e così è allo jus naturale che si fa rimontare il diritto uguale di tutti alla madre, alle acque, all’aria e la communis omnium possessio in generale (§66)…

Secondo. L’eterismo conduce a fenomeni smodati e la donna cerca di sottrarsi. Come nel caso di 15 fratelli che piantavano ogni giorno uno dopo l’altro il loro bastone davanti alla tenda della sorella e essa cercò di sottrarvisi, ingannandolì . Quale preda della foia maschile la donna non esplica a pieno arco Il suo dominio. Di qui la reazione e l’innalzamento. La motivazione profonda è data soprattutto dalla necessità di dare un nome al figlio.Se la madre è sempre certa, mater natura vera, il padre no. Pater est quem nuptiae demonstrant (Paolo, Digesto, 2, 4, 5). Di qui la necessità di un vincolo matrimoniale. Nasce la famiglia, ma nel segno del dominio della madre. Questo è il vero status matrimoniale. Alle paludi succedono i campi, alla giungla la casa, all’eterismo la realtà del matrimonio. Al regno di Afrodite succede quello di Demetra, dea delle spighe e della fertilità. “Il matrimonio è concepito degli antichi come un rapporto agrario, tutta la terminologia del diritto matrimoniale è presa dai rapporti in vigore nell’agricoltura” (§ 68). Esplosione fisiocratica, dunque. I campi non sono più selvaggi ma coltivati: Entra in scena un principio di ordine, sempre prodotto dalla madre, di cui sviluppa il potere. Nella Vorrede Bachofen scrive che “l’esistenza ginecocratica è il naturalismo ordinato”.

Sono le donne a avere un particolare ruolo in ogni risollevamento

La ginecocrazia doveva superare lo stadio eterico e finire in questo ordinamento regolato. Perché? “All’uomo viene strappato il bastone, la donna raggiunge il potere. Questo passaggio è impensabile senza unione coniugale individuale. Il potere sull’uomo e sui figli allo stato naturale di libera promiscuità sessuale è impossibile; la trasmissione dei beni e del nome in linea materna assume significato solo nel matrimonio. Se donne e figli sono in comune, lo sono necessariamente anche i beni. In un simile stato vengono a mancare anche i nomi propri […]. Il concetto di privilegio e un ordinamento ereditario codificato presuppongono il superamento di quello stadio naturale” (p. 92). Nello stadio in esame “il diritto materno si allarga in ginecocrazia perché sia l’eredità del nome come quello dei beni avviene nella linea materna. Erede non è il figlio del capo ma quello della sorella. Il potere della donna è ora regolato, sicuro. Il bastone che le si pianta davanti non serve più. Lo sfrenato jus naturale è stato contratto, ma ha acquisito più forza. Ora la donna è sintesi di terra e cielo, vera androgina selenica.
A questo stadio possono essere stabiliti i veri elementi costitutivi del principio femminile, che non sono più quelli di essere un campo inarginato dove tutti possono piantare il loro bastone. Attraverso il matrimonio, la fertilità dei campi, Il regno di Demetra e la Gaia-Themis. il potere della donna diventa istituzione e crea il diritto, quello rivendicato da Clitennestra di fronte a Agamennone, quello di Antigone di fronte a Creonte. Scrive Bachofen: “È certo che alla donna viene riconosciuto un rapporto più stretto con la divinità e una più alta comprensione del suo volere. Essa porta con sé la legge che permea la materia. Inconsapevole, ma completamente sicura, così come la coscienza, parla attraverso di lei la giustizia; essa è di per se stessa sapiente, per natura Autonoe, per natura Dikaia, per natura Fauna o Fatua, la profetessa annunciante il fato, la Sibilla, Marta [Plutarco, Vita di Mario,17, 2], Phaennis [Pausania, 10, 12, 20], Themis. Per questo le donne erano considerate invulnerabili, investite della funzione di giudice, fonti della profezia. Per questo, su loro comando, le compagini in lotta si separano; per questo esse componevano, quali giudici conciliatori, le controversie popolari: una base religiosa sulla quale la ginecocrazia si fondava fermamente e irremovibilmente. Dalla donna parte la prima civilizzazione dei popoli, così come sono le donne a avere un particolare ruolo in ogni risollevamento, pensiero questo che Leopardi esprime in uno stupendo canto per le nozze della sorella Paolina. il domare l’uomo, sensualmente rozzo, è opera della donna. Là forza e impeto, qui il principio della calma, della pace, del timor di Dio, del diritto” (p. 95).

Terzo. Non mi tratterrò a lungo sul terzo stadio, quello del principio maschile, se non per dimostrare che neppure esso, nonostante la già accennata superiorità che riveste per Bachofen di fronte a quello precedente, va considerato come lo stadio definitivo; urge Infatti l’istanza di trascendimenti futuri che, tutto ben soppesato, riporterebbe ai mondi dell’età femminile, quali siamo venuti disegnando. Bachofen lo presenta così: “In questo processo di evoluzione, il matrimonio unito alla ginecocrazia occupa il posto intermedio. Esso è preceduto dal puro jus naturale dell’unione sessuale indifferenziata che abbiamo trovato, in grande quantità di variazioni e di gradi, in tutta una serie di popoli. Questo gradino intermedio fa poi posto allo jus civile puro, cioè al matrimonio paterno e patria potestà. Allo stato intermedio della ginecocrazia matrimoniale si congiungono i due principi, quello materiale è quello spirituale, Da un lato il principio materiale non domina più incontrastato, dall’altro il principio spirituale non ha ancora raggiunto la sua totale pienezza […].
“Su questo stadio intermedio si erge infine lo stadio superiore del diritto paterno puramente spirituale, che subordina la donna all’uomo e trasferisce al padre tutta l’importanza rivestita dalla madre. Questo massimo diritto ha trovato la sua realizzazione più pura presso i Romani. Nessun altro popolo ha sviluppato in modo più compiuto l’idea della potestas su donna e figlio, nessun altro popolo quindi ha scoperto fin dal primo giorno con tale chiara consapevolezza l’idea conseguente di un Imperium statalmente unitario [Gaio, Instit. I, 55]” (p. 98)….
Come abbiamo più volte affermato lo scopritore del diritto naturale vestito nei panni della donna, Bachofen, finisce per essergli infedele proclamando il valore “massimo” del principio maschile. Ecco una espressione perentoria e conclusiva: “La meta finale è raggiunta solo con il dominio dell’uomo sulla donna, del sole sulla luna” (Mutterecht, § 8 p.100). Erich Fromm che mette in risalto questa contraddizione di Bachofen spiega biograficamente sia l’uno come l’altro tema. “La sua predilezione per il matriarcato ebbe chiaramente origine da un’intensa fissazione alla propria madre: infatti prese moglie solo sui 40 anni dopo la morte della madre”. E poi: “Vi è una contraddizione lampante tra il Bachofen che ammira la democrazia ginecocratica e il Bachofen aristocratico di Basilea che si oppone alla emancipazione politica della donna […]. . È un’antinomia che affiora su parecchi piani diversi. Sul piano filosofico è il credente protestante e l’idealista che contraddice il romantico e è il filosofo dialettico che contrasta il metafisico naturalista. Sul piano politico e sociale è l’antidemocratico in contrasto all’ammiratore della struttura sociale comunista-democratica. Sul piano morale è l’assertore di una morale protestante borghese di fronte al propugnatore di una società in cui la libertà sessuale regnava al posto del matrimonio monogamico” .

(Jus naturale e jus civile, pp. 250-260 passim)

6. Cultura delle tracce

Limitandosi a cercare le tracce di questo fiume sotterraneo che traversa la coscienza critica del diritto, soprattutto nella sua pretesa di essere un diritto di natura, il punto di partenza serio sarebbe quello di riprendere in mano l’Antigone. Lo stadio di Antigone è già avanzato perché di fronte alla sua verità di principio naturale femminile sta l’altrettanto vera realtà di Creonte come difensore della legge di Stato. Più originario si presenta il diritto femminile nella tragedia di Sofocle: il ruolo di Clitennestra e delle Erinni, che la proteggono e la difendono, è esemplare della situazione originaria anche se essa pure è contrastata, ma non tanto al livello istituzionale quanto al livello ideale, con l’introduzione drammatica degli dèi dell’alto e con l’annunzio della costituzione del tribunale con giurie popolari, chiari segni di ventate illuministiche contro la durezza del mito. Pier Paolo Pasolini che ha prodotto una trascrizione altamente poetica dell’Orestea, la presenta così: “In una società primitiva dominano dei sentimenti che sono primordiali, istintivi, oscuri (Erinni) sempre pronti a travolgere le rozze istituzioni (la monarchia di Agamennone) operanti sotto il segno uterino della madre, Intesa appunto come forma informe e indifferente della natura…”
Come si sa il perno dell’ Orestea gira intorno a Clitennestra che uccide, al ritorno da Troia, Agamennone reo di aver sacrificato la figlia Ifigenia onde placare i venti che gli impedivano di salpare per la guerra. Fin qui le dee della giustizia, tutrici del diritto femminile e del vincolo di sangue, sono d’accordo. Chi ha vulnerato la maestà della donna non può avere scampo. Lo riconosce nel finale di Agamennone il coro quando chiama le Erinni con il nome di discordia: “Tale fu allora nelle case sterminatrice discordia, sventura per l’eroe [Agamennone]!” (v. 1460). Per vendicare lo sventurato padre Oreste uccide la madre, e invoca una giustizia più alta di quella rivendicata dalle dèe della notte e del vincolo di sangue. Nel finale del secondo dramma della trilogia, le Coefore, Oreste si difende in questo modo: “Fin quando ancora sono in senno proclamo agli amici di aver ucciso non senza giustizia mia madre, questa impurità parricida e orrore agli dèi; e autore di questo ardimento io ebbi primo il Lossia, il vate di Pito [Apollo]: a me vaticinò che compiendo quest’azione sarei fuori di ogni dannosa colpa; ma se l’avessi trascurata la pena non dirò” (vv. 1025-1032)…..

(Cultura delle tracce, pp. 262-263

Hegel: legge umana e legge divina

7. L’ethos originario
La coscienza che accompagna questo mondo etico è quella che lo vede distinto in due momenti fondamentali che Hegel chiama “legge umana” e “legge divina“.” La sostanza si scinde in una distinta essenza etica: in una legge umana e in una legge divina” . Interpreta Hyppolite : “In termini semplici le masse della sostanza [etica] sono la legge umana (il popolo, i costumi della città, il governo, l’uomo e la guerra) e la legge divina (la famiglia, il culto dei morti, la donna) […]. Come in questo mondo etico immediato la natura è legata allo spirito, ciascuna di queste leggi, l’umana e la divina, si incarna in un carattere, che è a un tempo naturale ed etico; l’uomo incarna la legge umana, la donna la legge divina” (II, p. 15, n. 4). Nel modo di vivere (etica) originario (immediata), la scissione radicale si risolve dunque in questa identificazione: legge divina = donna, legge umana = uomo. Un altro passo e Hegel possiede la terza coppia dei termini da identificare. La terza coppia è quella di “diritto delle ombre” e va legata alla legge divina e alla donna; e ”legge del giorno” e va legata alla legge umana e al maschio. Quando queste due essenze etiche non sono soltanto distinte, ma scisse e contrapposte, allora nasce lacerazione e guerra.
Dopo aver presentato in questi termini lo status originario dell’ethos, e il pericolo che, invece di essere vissute come semplici “determinazioni” dell’intero (II, p. 7), le forme si radicalizzino fino a contrapporsi e a farsi guerra fino al loro tramonto, Hegel passa a delineare i caratteri della legge umana e di quella divina.
6. La legge umana e la legge divina
Duplice è il carattere della legge umana, quella gestita dall’uomo; Il primo è quello che la vede come un Gemeinwesen o res publica. È la legge della città-stato, della polis. Quella di Atena con cui si chiudono avveniristicamente le Eumenidi di Eschilo. “In quanto sostanza effettuale esso [lo spirito realizzato nella coscienza esistente] è un popolo o una nazione; in quanto coscienza effettuale, esso è cittadino della nazione” (II, p. 8). Il secondo carattere è quello di essere una legge prodotta dall’uomo, alla luce del sole e del diritto pubblico, senza radicazioni nella dimensione della profondità. Hegel la dice: “legge nota”, “costume dato”, “governo”. Commenta Hyppolite: “La legge della città è pubblica, è conosciuta da tutti (lex aperta), si oppone così a un’altra legge più misteriosa, la legge divina, la legge della famiglia” (II, p. 16, n. 10). Vengono dunque stabilite due determinazioni della legge umana: essere la legge dello Stato; avere i caratteri della pubblicità, oggi diremmo la certezza del diritto.

Legge divina, legge del profondo

Il contrario avviene nella legge divina, custodita dal cuore della donna: essere legge della famiglia, essere legge del profondo. Giorno e notte sono metafore precise e significanti. “A questa potenza etica [quella della città] e a questo esser palesi si contrappone un’altra potenza: la legge divina” (II, p.8). Che rimane così caratterizzata in due aspetti fondamentali: essere legge del sangue, con quanto di vincolo e di oscurità tutto ciò comporta… e legge della famiglia… “Questa come il concetto privo di consapevolezza [così nasce un figlio] e tutt’ora interiore alla effettualità conscia di sé, come l’elemento della effettualità del popolo, sta di contro al popolo stesso” (II, p. 9). Non solo, dunque, la legge divina si identifica con la vita famigliare e con le leggi del sangue estese fino alla realtà dei morti, onde l’espressione diritto delle “ombre”, ma si contrappone a quella umana, alla vita pubblica, politica. Con una di quelle frasi icastiche di cui ogni tanto la pagina e la filosofia di Hegel si illuminano, la cosa può essere detta così: “I penati si contrappongono allo spirito universale” (ivi).
La famiglia
Per capire in profondità questa portata della famiglia e del ruolo che vi svolge la donna va tenuto conto che essa è considerata da Hegel non come “il comportarsi naturale dei suoi membri”, cioè la famiglia come puro fatto associativo e generativo e nutritivo, ma come sittliches Sein, come un’espressione dell’ethos permeato di vita morale. Si tratta ora di approfondire il senso di questa peculiare eticità…
a)….Non si tratta di placare i sensi, soddisfare l’amore carnale, sviscerarsi nella produzione di figli, ma di compiti spirituali capaci di costituire un vero mondo di valori entro cui primeggiano i doveri verso i morti.
b)….La realtà della famiglia non sta neppure nella vita economica che pur ha tanta importanza per l’esistere di una famiglia. “L’acquisto e la conservazione di potenza e di ricchezza in parte mirano soltanto al bisogno e appartengono all’appetito; in parte, nella loro determinazione superiore, divengono qualcosa soltanto mediato dalla società [l’economia non va avanti attraverso l’attività della sola famiglia, ma riguarda il tutto sociale che media l’economia domestica]” (II, p.10).
c) Se la famiglia non consiste nelle consumazioni sessuali e neppure nella vita economica, In che consiste allora? Ecco: “Il fine positivo peculiare della famiglia è il singolo come tale. Affinché questo rapporto sia etico, tanto chi agisce quanto colui al quale l’azione si riferisce non potranno comparire secondo il modo di un’accidentalità, come succede nel portare aiuto o nel prestare un servizio qualunque. Il contenuto: dell’azione etica deve essere sostanziale, ossia intero e universale” (II, p.10). La famiglia ha un fine più alto e più essenziale che non sia l’eros e non sia il soccorso materiale. Qualcosa, detto legge divina, che non tocca l’individuo nella sua realtà contingente e che ora c’è e poi non c’è più; qualcosa che riguarda l’individuo nella sua essenza eterna, nella sua universalità, l’individuo in quanto tale. Ma dove sta questo carattere a un tempo individuale, relativo a me, e universale, ossia valido per ogni individuo che sta nel rapporto famigliare?
d) La risposta conclusiva di Hegel su questo ethos della famiglia può essere data con queste sue parole: “L’amore che riguarda l’intera esistenza del consanguineo e che ha a suo oggetto è contenuto lui – non il cittadino che non appartiene alla famiglia […] – ma lui come un’universale essenza sottratta alla effettualità sensibile, ossia singola, tale azione non riguarda più il vivente ma il morto che dalla lunga successione del suo disperso esserci si è raccolto in una compiuta figurazione (Gestaltung) e che dalla inquietudine della vita accidentale si è innalzato alla quiete dell’universalità semplice” (II, p. 11). Dunque l’essenza della famiglia sta nel suo rapporto con i morti. I viventi sfuggono alla famiglia; appena adulti i figli entrano nella vita pubblica e appartengono allo Stato, ma quando sono morti tornano nel seno della casa e rimangono con lei, per sempre. Custodire i morti vuol dire afferrare il singolo non nella irrequietezza della vita pubblica che lo estrania da casa ma nella sua quiete eterna che lo fissa per sempre dentro il seno della famiglia. Nel procurare sepoltura (la verità di Antigone che vuole sepolto il fratello contro la legge positiva di Creonte che lo esclude perché attentatore al potere dello Stato) e custodire i morti, la famiglia realizza quella universalità dell’individuo che lo sottrae alle vicende della vita politica.

9 il principio maschile e la guerra

Hegel ha chiarito la contrapposizione della legge divina e della legge umana, ha esaltato i Penati contro lo spirito pubblico, le ragioni eterne dell’individuo di fronte agli erramenti del cittadino; ha visto il legame della legge divina con il vincolo di sangue della vita famigliare; ha legato tutto questo al “diritto delle ombre” come tutela della individualità essenziale dei morti; ma non ci ha ancora detto nulla della funzione del principio femminile in questo mondo che gli appare bello seppur precario. Ma questo, che nel nostro piano di lavoro è l’ultima cosa che ci resta da dire, ci viene offerto subito attraverso la trattazione sulle “gradazioni” in cui si esprime sia il principio della legge umana, o del giorno, sia il principio della legge divina, o della notte.
Vedremo le due cose nell’ordine stesso di Hegel. Prima dunque “le differenze e gradazioni nella legge umana” che Hegel articola in governo, guerra, potere negativo. È chiaro che qui il dominio è del principio maschile, quello femminile non c’entra.

Un padrone: la morte

a Il governo si presenta come la tesi o il sostegno che regge la legge positiva: In tempi moderni è quello che va sotto il nome di statualizzazione del diritto…
b Ma il governo è solo questa concentrazione efficace e sostanziosa oppure non patisce forme di espansione e di particolarizzazione che conducono alla contrapposizione, alla frammentazione (si pensi agli Stati e staterelli della Germania nei primi decenni del secolo scorso)? In questo fenomeno del moltiplicarsi dei governi Hegel vede “la potenza del negativo” di fronte alle tesi precedenti: vede l’antitesi, come dice la sua logica…
c Di fronte a questo sgretolamento dell’unità dello Stato, che è la negazione del valore politico del governo, il rimedio (o la sintesi) per Hegel starebbe nella guerra, capace di rafforzare il sistema essenziale bruciando sull’altare insanguinato dei cadaveri, le volontà particolari e accidentali. Come la pena è la negazione della negazione del diritto rappresentata dal delitto, così la guerra è la negazione della negazione particolaristica dell’intero etico che sta nel governo, La guerra, come spiega Hyppolite, “è il mezzo di ridare a questi sistemi separati la coscienza di non poter esistere che nel tutto” (II, p. 22, n. 24). Parola di Hegel: “Per non lasciar loro metter radici e irrigidirsi in tale isolamento, per non far disgregare l’intero e vanificare lo spirito, il governo ha da scuoterli di quando in quando nel loro intimo con le guerre, ha con esse da ferire e da confondere il loro ordine consuetudinario e il loro diritto d’indipendenza; e agli individui che, adagiandosi in quell’ordine e in quel diritto, si distaccano dall’intero e anelano all’invulnerabile esser-per-sé (Fürsichsein) e alla sicurezza della persona, il governo deve dare a sentire, con quell’imposto lavoro, il loro padrone: la morte” (II, p. 15)
Non si tratta di una trovata estemporanea; questa lettura assiologica della guerra è una costante. Hegel ne aveva discusso nel saggio giovanile Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale e ne tratterà ancora nel § 324 della Filosofia del diritto, da cui traggo questo brano, che racchiude in sé anche un passaggio dello scritto giovanile, stralciato dallo stesso Hegel: “La guerra in quanto situazione nella quale la vanità dei beni e delle cose temporali, che altrimenti suol essere un modo di dire edificante, è resa una cosa seria, è il momento in cui l’idealità del particolare consegue il suo diritto e diviene realtà; – essa ha il più alto significato in ciò, che, per suo mezzo, come ho spiegato altrove, ‘la salute etica dei popoli è conservata nella sua indifferenza di fronte al rafforzarsi delle determinatezze finite, come il movimento dei venti preserva il mare dalla putrefazione, nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole come vi ridurrebbe i popoli una pace durevole, anzi perpetua’”.Quindi la negatività della guerra con le sue distruzioni e la sua furia di morte non finisce qui, come fine a se stessa, ma sprigiona forze positive, nega la negazione e si pone come “salute etica” dei popoli, un’espressione terribile che i fascismi di tutti i tempi hanno inalberato nella loro bandiera. Conclude Infatti Hegel su questo punto: “Mentre da una parte la guerra dà a sentire ai singoli sistemi della proprietà e dell’Indipendenza personale nonché alla singola personalità stessa la forza del negativo, d’altra parte nella guerra questa essenza negativa si eleva come elemento conservatore dell’intiero; il giovane valoroso, del quale la femminilità si compiace, nel quale reprimesi il principio del corrompimento, viene alla luce e è quello che conta” (II, p. 35). Negli stessi anni Joseph De Maistre scriverà pagine terribili sull’entusiasmo per il massacro nelle Serate di Pietroburgo; più spietato di Hegel perché dichiara “divina” questa legge della guerra e anela a un mondo in espiazione come un immenso altare insanguinato, mentre per Hegel è solo un destino della legge “umana”.
10 Il principio femminile e la pace
Come la legge umana anche la legge divina, come lo Stato anche la famiglia ha le sue gradazioni e differenze, Tre gradi o tre relazioni cui presiede la donna, moglie, madre, sorella. Nella memoria di Antigone, di cui Hegel era ammiratore entusiasta, tanto che in gioventù la tradusse per ben due volte, l’eterno femminino non si realizza a pieno né nella moglie, né nella madre, ma proprio nella sorella. Comunque, è la donna in quanto tale che presiede alla legge divina, alla legge del sangue famigliare. Ha scritto Bloch: “Il diritto naturale preistorico appare [a Hegel] almeno un diritto famigliare di ordine superiore, ossia come la legge dell’intimità In opposizione alla legge del giorno. Che questa intimità si sia sempre più trasformata in Hegel nella vita virtuosa di una famiglia modello, non toglie la musica che ne derivava dall’origine” (Naturrecht, p. 142).

La donna come sorella

Questa presidenza della donna nel diritto di famiglia originario e il canto d’amore alla vita, anche tramite i morti, che vi si esprime, non toglie la differenziazione delle figure. Quesito: perché i rapporti della donna come sposa e come madre sono meno perfetti di quelli incarnati nell’essere sorella? È solo questione del fascino di Antigone o ci sono ragioni per sé? Ci sono ragioni per sé e per Hegel sono queste.
Il rapporto matrimoniale non è perfetto e la donna non è al riparo dalla caduta nella naturalità e nella immediatezza (per Hegel l’immediato è sempre cattiva coscienza perché non chiara e non del tutto consapevole, l’immediato è “cattiva infinità” perché indiscernibile nel suo valore) per questi due motivi: primo, perché l’effettuazione del rapporto non si realizza in loro, ma in un terzo termine, quello del figlio: “La relazione in parola non ha sua effettualità in se stessa ma nel figlio: – in un altro il cui divenire è quella relazione stessa e nel quale essa stessa dilegua” (II, p. 15). Sì, perché la vita dei figli va di pari passo con il consumarsi di quella dei genitori. Il rapporto amoroso dei genitori si realizza nel figlio, ossia in qualcosa che si dilegua da loro e quindi nella separazione da sé, “dall’origine”. “separazione nella quale il ceppo di origine si dissecca” (II, p. 16). Secondo, perché l’amore coniugale non regge compiutamente al livello dell’eticità, ma è mescolato al “rapporto naturale” e alla “sensazione”: Più che debitore a certe sensibilità cristiane che mostrano paura per i fervidi atteggiamenti dei sensi, qui Hegel sembra prigioniero delle dottrine romantiche che, nel mentre aspirano a amori che congiungano spiriti e non corpi, non riescono a raggiungere la pura trasparenza e fanno dramma di questo; penso che in tale senso vadano lette Le affinità elettive di Goethe, ma la letteratura romantica a questo proposito è amplissima; può essere eccezione Novalis, ma il suo mondo ha la fragilità del “fiore azzurro” e non sembra consistere se non nella rapidità e biografica e poetica. Il suo punto di equilibrio è instabilissimo…
Solo come sorella (la donna) esprime in toto il valore della femminilità come legge divina, , diritto delle ombre e custode dei rapporti di sangue. In questo suo culmine espressivo il principio femminile rappresenta il punto di maggior distanza da quello maschile-
Comunque la sua opera è grande come custode di quella legge divina che nel modo di intendere di Hegel ha rappresentato la meravigliosa realizzazione di quella civiltà greca dove la vita di un popolo era intesa in modo organico come un tutto. La Repubblica di Platone, regno della giustizia e della sapienza, regno del comunismo dei beni e della vita organica, fissava in eterno quell’ideale. Ma i capitoli seguenti dello scritto di Hegel mostreranno la scissione che si introduce in questa realtà dominata dalla legge divina, e da quella umana che a lei si ispira, perché Hegel teorizza la circolarità tra le due leggi; il mondo della città greca deve dirsi un paradiso perduto.

L’intero, la legge che la donna custodisce nella domus

Prima di lasciare questi lidi possiamo voltarci ancora una volta indietro per rileggere quel testo hegeliano già citato da Bloch, e dove a me pare di sorprendere l’approdo ultimo di questa ripresa del mondo a Hegel tanto caro e che vede garantito dal principio femminile, personificato nella figura di Antigone: “L’intiero è un quieto equilibrio di tutte le parti, e ogni parte è uno spirito domestico che non cerca il suo soddisfacimento al di là di sé, ma lo ha in se stesso, perché esso stesso si trova in quell’equilibrio con l’intiero” (II, p. 20). ”Ogni parte è uno spirito domestico” vuol dire ogni parte è espressione della legge divina; e la legge divina è proprio quella che la donna custodisce nella domus:
(Il principio femminile e la pace, 276-279 passim).

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