Per le donne un nuovo diritto, un diritto di genere

Perfino quando il diritto si propone di contrastare la discriminazione delle donne ne ribadisce la “differenza” come minorazione e inferiorità

Una delle ragioni di dolore e di rimpianto per la morte di Marina Graziosi, avvenuta il 24 maggio, è che in questi ultimi mesi di sofferenza e di agonia che hanno coinciso con la guerra in Ucraina, ella non ha potuto offrircene la lettura nè sostenere gli argomenti del suo ripudio: lo aveva fatto di fronte al conflitto del Golfo quando aveva definito la guerra come “un tempo senza diritti che sospende ogni precedente contratto sociale e mette in pericolo ogni futura coabitazione umana” affermando come specialmente le donne fossero “preparate a sottolinearne limiti e fallimenti, a criticarne linguaggio e forme” proprio perché nella storia esse erano state fatte esperte delle “false promesse del diritto e dei diritti”.
Lo spettro degli interessi di Marina Graziosi era molto ampio. Il mondo del femminismo, al quale apparteneva, è un mondo ricco di talenti, di competenze, di saperi, ma una femminista come lei era oltre ogni stereotipo, aveva una sua originalità inconfondibile. Forse questa specificità era accresciuta dalla lunga consuetudine di vita con un grande giurista, come è il marito Luigi Ferrajoli, ma certo è che il suo femminismo, almeno a un occhio maschile, appariva più avanzato. Esso non consisteva tanto nel rivendicare la differenza di genere nell’universo del paradigma maschile, nell’ambito del quale ottenere maggior tutela a favore delle donne prese come gruppo a se stante, ma come tali pur sempre discriminate e controllate in nome di una differenza pur sempre di fatto ribadita come minorazione, come inferiorità. Occorreva piuttosto instaurare un nuovo diritto, un “diritto di genere” consistente nell’attribuzione dei diritti fondamentali alle donne come tali, assunte nella irriducibilità del loro essere donne. E nel suo saggio fondamentale sulla donna come è concepita nell’immaginario del diritto penale, pubblicato su “Democrazia e diritto”, si chiedeva con particolare acume perché la donna fosse stata sempre esclusa da ogni forma di rappresentanza e tutela di interessi altrui, giudici, avvocate, testimoni o poliziotte che fossero; e rispondeva che forse era stato per l’esigenza di porre un limite alla sua originaria e fondamentale continuità con l’altro, relazione così stretta “con l’altro da sé perché lo genera”, e proprio per questo inquietante per il mondo egemone. Maschile.
Per chi la conosceva, in ogni caso, ben al di là del suo apporto alle sfide degli ardui tempi che viviamo, Marina era una presenza di straordinaria gentilezza ed amicizia, nella esemplarità di una famiglia abitata da talenti esemplari, e così, in questa comunità di affetti, la vogliamo pubblicamente ricordare.
Raniero La Valle

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