QUALCHE PRECEDENTE NELLA STORIA DEL ‘900

Dalle Nazioni Unite alla guerra fredda alla dichiarazione di Nuova Delhi alla rimozione del muro di Berlino: una lunga gestazione nella vicenda del 900

Raniero La Valle

Dalle Nazioni Unite alla guerra fredda alla dichiarazione di Nuova Delhi alla rimozione del muro di Berlino: una lunga gestazione nella vicenda del 900

Raniero La Valle

Si è tenuto il 24 novembre 2021 nel quadro delle iniziative del Festival della pace di Brescia un Incontro, moderato da Roberto Cammarata, per la presentazione del progetto di una Costituzione della Terra e dei relativi “Materiali” pubblicati nella collana dell’Editore Giappichelli. Relatori al Convegno sono stati Luigi Ferrajoli, Raniero La Valle, Tecla Mazzarese, Francesco Pallante, Fabrizio Sciacca e Franco Ippolito. Su qualche precedente nella vicenda politica e culturale del Novecento si è svolto il secondo intervento che qui riprendiamo:

Nel Novecento, dopo la catastrofe della guerra, della Shoà, della bomba atomica, il mondo si è reso conto del fatto che la cultura che lo aveva portato fin lì non era in grado di assicurare la continuità della storia, bisognava fondare il mondo su nuove basi, bisognava ripudiare la cultura della guerra, gli imperialismi, le colonie, l’ideologia delle sovranità assolute, avviare un multilateralismo che permettesse di affrontare le nuove sfide. Furono fondate le Nazioni Unite, la prima Convenzione che venne adottata fu quella contro il genocidio, fu proclamata almeno a parole l’eguaglianza, non solo delle persone, ma anche delle Nazioni grandi e piccole, si tentò di mettere su delle istituzioni per introdurre qualche rimedio all’anarchia dell’economia selvaggia.
La politica non fu però coerente con questa conversione del pensiero, gli Imperi non cadono senza resistere, le colonie non finiscono senza lotte di liberazione, l’economia confligge con la politica e le resiste, e la rivoluzione non c’è stata. C’è stata invece la guerra fredda e la politica del terrore ha dettato il nuovo ordine del mondo.
A ciò si è aggiunto un fattore prima sconosciuto, l’onnipotenza e l’autoreferenzialità della tecnica che suscitava in uno dei maggiori filosofi del Novecento, Martin Heidegger, la domanda se ormai solo un Dio ci potesse salvare. Ma al di là di questo estremo si era fatta strada la percezione negli osservatori più illuminati che non solo questo o quel regime politico economico e sociale fosse in crisi, ma che l’intero corso storico fosse giunto con la modernità a una crisi senza uscita per la quale senza un cambiamento radicale non si potesse evitare la rovina e la pace non potesse essere costruita.
In che consisteva questa crisi? Secondo un grande economista e filosofo nostro, Claudio Napoleoni, essa consisteva nella perdita dell’uomo come soggetto; il capitalismo, con il suo primato del momento economico era riuscito ad assorbire tutta la realtà rendendo tutti, padroni ed operai, ricchi e poveri meccanismi e figure di una macchina produttiva a cui erano assoggettati e in cui tutti erano inclusi. Era, in una forma particolarmente inclusiva, l’alienazione diagnosticata dal marxismo, anche se senza una risposta ideologicamente e politicamente adeguata.
Il Club di Roma poneva nel 1971 il problema dei limiti dello sviluppo: finivano le risorse, la Terra non è un sistema incondizionato, occorreva rovesciare i paradigmi dello sfruttamento dell’ambiente.
Negli anni 80 dopo il delitto Moro (1978) il PCI apriva un dibattito sulla sua funzione come partito, unico in Italia, che aveva tenuto aperta, sia pure a fatica, l’istanza rivoluzionaria.
In vista del congresso di questo partito, convocato per l’aprile 1986, Claudio Napoleoni ed io, insieme a molti esponenti della cultura e della politica, prevalentemente cattolici, scrivemmo una lettera ai comunisti; tra i firmatari c’erano padre Balducci, Eleonora Moro, Adriano Ossicini, Mario Gozzini, Italo Mancini e molte realtà di base (la si può trovare ora nella prima sala del sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/sala-i-il-processo-costituente/#i-precedenti ).
L’appello rivolto ai comunisti – ed era una bella pretesa – era che il partito comunista cambiasse per così dire la sua ragione sociale, che questa non fosse, dogmaticamente, l’uscita dal capitalismo, ma fosse in modo più esigente l’uscita dal sistema di guerra. Per discuterne i firmatari convocarono a Cortona per l’11e 12 ottobre 1986 un convegno la cui relazione introduttiva fu tenuta da Claudio Napoleoni. La diagnosi era impietosa; la gravità della crisi stava nel fatto che la guerra non era più solo un evento possibile, catastrofico e addirittura finale della convivenza umana, dopo la bomba atomica, le armi spaziali e tutto il resto che gli uomini avevano imparato dell’ “arte della guerra”, ma era diventata una funzione costituente dell’intera società, in qualche modo la sua costituzione materiale, intorno alla quale tutto il sistema politico e sociale era strutturato. In tal modo il sistema di guerra era diventato il culmine e la garanzia di un sistema di dominio, che non era solo il dominio degli uni sugli altri, di popoli su altri popoli, ma era il dominio del sistema di produzione capitalistico su tutti gli uomini, per cui tutti erano assoggettati alle cose, tutti alienati, i padroni come gli operai, le donne come gli uomini, vittime di un sistema in cui tutti perdevano la loro soggettività, in cui tutti erano inclusi come figure e maschere di un meccanismo in cui la realtà era manipolata e la tecnica fine a se stessa. Dunque, come lo definimmo, era un sistema di dominio e di guerra; e il compito era di recuperare le soggettività perdute e di mettere in moto un opposto e virtuoso processo costituente, tant’è che il titolo della rivista che pubblicò gli atti del convegno. “Bozze 86”, recitava: Costituente pace.
Si può pensare che quello fosse un libro dei sogni. Ma per un’imprevista coincidenza negli stessi giorni del convegno di Cortona si teneva a Reykjavik in Islanda, un incontro tra Gorbaciov e il presidente Reagan in cui veniva ripudiata la guerra fredda ed avviata la distensione; ma la vera novità che faceva risuonare un linguaggio mai sentito prima nei rapporti tra le Potenze interveniva poco più di un mese dopo, il 27 novembre 1986 nella “Dichiarazione di Nuova Delhi” lanciata come proposta al mondo da Gorbaciov e da Rajiv Gandhi, leader dell’India e figlio di Indira. Si trattava di uno straordinario progetto di unità del mondo, a partire da un totale rovesciamento della politica di guerra e dal licenziamento della guerra come coronamento della sovranità e struttura costituente della politica degli Stati e dei loro rapporti internazionali; si postulava la costruzione di “un mondo libero dalle armi nucleari e non violento”, in cui la vita umana fosse considerata il valore supremo; e il realismo di questo programma politico era esplicitamente fondato sul fatto di essere avanzato legittimamente a nome dell’India e dell’Unione Sovietica i cui popoli – uomini donne e bambini – comprendevano oltre un miliardo di persone e un quinto dell’intera umanità di allora; una vera Costituzione mondiale mai pensata prima a partire da 10 principi e obiettivi fondamentali puntualmente indicati.
Paradossalmente la proposta di Cortona, che i comunisti italiani avevano lasciato cadere ed era certo ignota ai due leaders lontani, dimostrava di non essere irrealistica se un grande esponente del comunismo, e anzi allora il suo capo anche come capo dell’URSS, la rivolgeva a tutto il mondo in altre forme e nelle modalità a lui proprie. Un mondo così poteva essere pensato!
Ma il mondo politico e giornalistico di allora era così refrattario a una simile proposta che la scelta unanime fu di ignorare la Dichiarazione di Nuova Dehli e di seppellirla nel silenzio, opponendole una censura ferrea che non ne permise nemmeno la pubblicazione in Occidente, tant’è che essa è ancora ignorata come se non fosse mai esistita; oggi la si può trovare, non a caso, nel nostro sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/, (Il processo costituente) come precedente del progetto di una Costituzione della Terra.
Fu quello il momento magico di ideazione di un nuovo ordine di rapporti umani (per riprendere un’espressione usata qualche decennio prima da papa Giovanni, che era stato il primo ad assumere la pace sulla terra, la “pacem in terris”, come struttura costituente della comunità mondiale).
Ma la cosa non finì lì. Come sviluppo di quell’impegno politico meno di tre anni dopo, il 9 novembre 1989 Gorbaciov prendeva la decisione politica dell’apertura del muro di Berlino, maldestramente attuata dal governo dell’Est tedesco dell’epoca, presieduto da Honecker che si era dimesso qualche settimana prima. Fu l’evento cruciale dell’89 e del secolo, che è passato alla storia come “caduta del muro di Berlino” e che invece in realtà fu la rimozione per via politica del Muro e la proclamazione universale che la guerra era finita.
Ma è a questo punto che, in contrario, c’è stato un catastrofico arresto storico, che ha interrotto il percorso di uscita dalla grande distruzione che il genere umano era arrivato a produrre nel Novecento, arresto storico frutto anch’esso di una decisione politica e di una rovinosa paralisi culturale.
Io conservo un’immagine plastica di questo sbarramento opposto al futuro, di questa caduta di Icaro nel novembre dell’89. In quei giorni ci trovavamo in America con una delegazione della Commissione Difesa della Camera dei deputati, che vi si era recata per un viaggio di scambio tra i Parlamenti, di informazione e di studio. Nel giorno della rimozione del Muro avemmo incontri al Dipartimento di Stato e al Pentagono, dove ci fu espressa tutta la diffidenza e incredulità del governo e dell’apparato militare americano che non erano affatto preparati a quell’evento.
Il giorno successivo ci recammo ad Omaha, nel Nebraska, per una visita al Comando aereo strategico degli Stati Uniti, da cui dipendevano tutte le operazioni aeree e tutto l’apparato nucleare americano, eccezion fatta per i missili imbarcati sui mezzi navali. Sull’ingresso c’era una grande scritta: la pace è il nostro obiettivo, la guerra è il nostro lavoro. Nel bunker sotterraneo c’era il controllo di tutto, e ci spiegarono che erano sempre collegati con un generale che stava su un aeroplano che volava ininterrottamente sul cielo degli Stati Uniti, 24 ore al giorno, “h 24” nel gergo militare, il cui compito era che se ci fosse stato un attacco nucleare che avesse distrutto i comandi a terra della ritorsione nucleare, lui sarebbe stato sempre pronto a spingere il bottone della risposta ultima, attivando l’ecatombe atomica e la fine del mondo. Ci misero con la radio in comunicazione con lui, per scambiare qualche parola, e io gli dissi: generale, scenda giù, che la guerra è finita, e lui rispose che non se ne parlava nemmeno, che dovevano restare pronti a tutto, la guerra doveva restare sempre pronta all’uso.
Poi si è visto che hanno preferito la fine dell’Unione Sovietica, piuttosto che un’Unione Sovietica con cui si potesse realizzare la pace.
Sono passati 32 anni, e tutti vediamo la rovina che è stata operata. La guerra, liberata dalla deterrenza, è tornata ad essere libera all’esercizio, perfino in Europa; la prima è stata la guerra del Golfo e madame Thatcher all’inviato di Gorbaciov, Primakov, che era andato a Londra per dissuadere gli alleati anglosassoni rispose che occorreva riportare l’Iraq all’età della pietra, senza sapere che dell’età della pietra non erano eredi gli Assiri e i niniviti e gli iracheni di oggi, figli di una delle più antiche civiltà del mondo, ma oggi se ne facevano eredi gli Angli.
La Costituzione della Terra deve ora ripartire da lì. Un generale che scenda dal cielo, un popolo libero dalle armi nucleari e non violento sulla Terra, un nuovo ordine di rapporti umani che ormai non più un papa da solo, ma papa Francesco insieme al grande Imam dell’università del Cairo, propone come frutto della fraternità universale.
Prima non si poteva, perché si pensava che bastasse l’autorità, senza la verità, a fare le leggi, “auctoritas, non veritas legem facit”. Oggi si pensa che una Costituzione deve avere non solo la forma, ma la sostanza di un ordinamento di giustizia. Prima si pensava che ogni Chiesa fosse l’esclusiva via di salvezza, la Chiesa cattolica ne aveva fatto un dogma, “extra Ecclesiam nulla salus”, ma la Chiesa non era quella universale di Gesù Cristo, bensì la Chiesa cattolica romana con il suo papato, le sue Curie, le sue istituzioni; prima ogni religione era in alternativa e in conflitto con le altre, oggi si pensa, e si è scritto nel documento di Abu Dhabi, offerto da cristiani e musulmani agli ebrei e a tutte le religioni, che è proprio della stessa sapienza divina la pluralità delle religioni, e il papa scrive la “Fratres omnes”, “Fratelli tutti”, e lava i piedi a cattolici e protestanti, musulmani e non credenti perché tutti membri del popolo di Dio, e dice che “Ognuno preghi nella sua lingua religiosa”; e se prima ciascuno guardava il mondo dalla zolla di terra su cui poggiava il piede e da cui voleva dominare tutti gli altri, oggi possiamo guardare la terra dallo spazio, come un’unica Terra, come un poliedro di bellezze diverse, dove lo straniero non sia un nemico e il prossimo non è solo quello che mi passa accanto, o i naufraghi del Mediterraneo e i profughi respinti dalla Polonia, ma sono, come dice il profeta Isaia, tutti “quelli della mia stessa carne”. Ed è questa la ragione per cui dobbiamo disimparare l’arte della guerra e la guerra non essere più il lavoro di nessuno.

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