Il Bracciante Ignoto: TOGLI IL NOME A UNA PERSONA E SARÀ TUA

Le condizioni della schiavitù in Italia e del lavoro indecente e sfruttato nel rapporto curato per il sindacato della CGIL sulle mafie e il caporalato nel lavoro agricolo
Raniero La Valle

“Agromafie e caporalato” è un rapporto con cui anno per anno si osserva e si documenta il fenomeno dello sfruttamento e addirittura delle condizioni inumane in cui si svolge molta parte del lavoro agricolo, soprattutto a spese dei migranti, nell’intreccio perverso tra cattivi padroni, mafie e caporali; è un rapporto giunto già alla sua quinta edizione, promosso dal sindacato dei lavoratori agricoli della CGIL (la FLAI-CGIL) e curato dall‘Osservatorio Placido Rizzotto. È un libro di 480 pagine fitto di informazioni e di dati, ma le pagine più toccanti, ed anzi sconvolgenti, sono quelle, a cura di Francesco Carchedi, delle inchieste in presa diretta, delle interviste realizzate sul campo, dei viaggi attraverso i territori dove il lavoro non è più nemmeno ridotto a merce ma è rubato e i diritti e anzi le identità stesse sono negate ( “Agromafie e caporalato, Rapporto 05”, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, Ediesse, Futura, 2020).
Si tratta di un libro che si potrebbe definire di sociologia, ma Francesco Carchedi, che ne è uno dei maggiori artefici (fa parte del Comitato esecutivo di “Costituente Terra”) ci ha messo se stesso. La sociologia è una scienza fredda, perché trasforma in numero le tragedie. Il problema è che una volta diventate numeri, statistiche, le tragedie – sottratte alla politica – entrano nella routine del pensiero corrente, come i sondaggi che si ripetono ritualmente, diventano degli arredi scontati della scena e non si risolvono più. Chi ha una certa età ricorda le prime statistiche che ci spaventavano, quelle sulla fame nel mondo. Sono passati decenni e si sono succedute molte assemblee della FAO, ma la fame è sempre lì.
Ora ci sono le statistiche dei migranti perduti in mare, ma perfino i decreti Salvini riformati, come ha denunciato in un’audizione alla Camera Luigi Ferrajoli, le hanno “normalizzate”, hanno omologato la continuità dei respingimenti e la morte annunciata.
Nella sua ricerca Francesco Carchedi ci ha messo invece la vita. Ci ha messo i viaggi quasi settimanali dal Nord al Sud, la fatica, la lontananza da casa, e soprattutto la compassione, “l’empatia”, come dice un altro sociologo, Enrico Pugliese. Non descrive la condizione degli immigrati, compatisce, soffre con loro.
Il libro intende dare conto della condizione di vita e di lavoro di quanti lavorano nei campi, oggetto della cura sindacale della FLAI-CGIL; ma qui i lavoratori agricoli sono gli stranieri, gli immigrati, i sans papier, gli scartati, gli sfruttati, gli esclusi, i non emersi, gli innominati, i semischiavi, quelli che ricolmano le nostre tavole di ogni prodotto agricolo a poco prezzo, dominati da caporali senza scrupoli e padroni senza pietà.
Ne viene un lungo viaggio nell’inferno delle agromafie, del caporalato, del lavoro schiavo e sfruttato: sfruttato fino a essere pagato 1 euro all’ora per 15 ore al giorno e tutti i giorni; un viaggio nei territori per interrogare e per informarsi; in Calabria, in Puglia, nella Piana del Sele, ma anche in Toscana, anche nel civilissimo Veneto della Lega, a Verona, Vicenza, Rovigo, da cui emerge una realtà che gronda lagrime e sangue.
Al di là delle statistiche nelle interviste, negli incontri, vengono fuori le persone reali, ma non se ne sa il nome, non se ne può sapere il nome, perché se si viene a sapere perdono il lavoro, e se viene loro tolto o negato il permesso di soggiorno che al lavoro è legato, la loro vita è finita e fallita. Così non solo il loro nome è cancellato dal potere, come fecero i decreti Salvini, ma è cancellato da loro stessi, è nascosto, occultato, perché solo se non ci sono, se non esistono, possono sussistere, possono in qualche modo rimanere in Italia che nonostante tutto è il Paese che ora amano e da cui non vogliono essere distaccati: in questo più patrioti dei sovranisti con la mascherina tricolore.
E qui viene fuori una mostruosa struttura di ricatto e di schiavitù che non è imputabile solo ai padroni cattivi, i padroni immorali o “amorali”, come li chiama gentilmente il rapporto, ma è architettato e messo in atto dallo Stato stesso. Succede infatti che per ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno l’immigrato con un permesso umanitario o reduce dalla clandestinità, deve dimostrare di avere un lavoro ed esibire un certificato di lavoro. Questo vuol dire mettere in mano al padrone un’arma implacabile di ricatto: se non accetti tutte le condizioni di lavoro, di salario, la paga decurtata, le trattenute, le privazioni di diritti in cui ti trovi, non ti do il certificato di lavoro oppure dichiaro una paga talmente bassa che la richiesta di soggiorno è repinta dall’autorità “per reddito insufficiente”: e non è vero, è che molte giornate non sono pagate e gran parte della paga è in nero; un gioco perverso, ti nego di che vivere e poi ti dico che non ti posso accogliere perché non hai di che vivere.
Così il lavoratore, il bracciante, l’operaio agricolo è interamente nelle mani del padrone, lo teme, deve mentire per compiacerlo, non può ricorrere né ai sindacati né alla polizia per la truffa e il furto che subisce del lavoro e della vita. “Come ti chiami? domanda l’intervistatore. Non lo posso dire. Da dove vieni? Diciamo dal Ghana (ride, perché non è ghanese). Perché non dici il nome? Non lo posso dire a nessuno. Perché? Perché se si viene a sapere che sono stato al sindacato a parlare della mia situazione sarò licenziato immediatamente. Siamo sempre ossessionati dal rinnovo del contratto di lavoro perché ci permette di stare in regola. È ciò che ci condiziona maggiormente, ed è la cosa che più ci umilia”.
Così la schiavitù è tutelata e garantita in Italia. e il lavoro, che è la cosa più bella del mondo, diventa la cosa più turpe, degradante, e distruttiva che ci sia. Togli il nome a una persona e sarà tua. Questa è la nuova democrazia, la nuova società. Nelle guerre moderne non c’è più il Milite Ignoto. C’è il Bracciante Ignoto, il Lavoratore Inesistente, lo Sfruttato Innominato.
Di tutto questo nessuno sa niente. I sociologi lo sanno. I sindacalisti lo sanno. Le organizzazioni di solidarietà lo sanno. Francesco Carchedi lo scrive. Ma il libro in cui sta scritto è di 500 pagine scritte in piccolo e pesa quasi un chilo. Chi lo leggerà?
Dunque la verità c’è ma resta ignota, innominata anch’essa. E allora qui nasce un compito per noi. Ciò che la sociologia scopre deve diventare giornalismo, deve diventare cinema, deve diventare politica. Occorre tornare al neorealismo, alla militanza politica, al giornalismo di denuncia e d’inchiesta, oggi sommerso dagli interminabili vacui e fatui talk-show televisivi, gli interminabili bla bla che ti raccolgono la mattina e ti depositano attraversando il nulla la sera, anzi oltre la linea-notte.
Occorre che la verità sia gridata sui tetti. Papa Francesco non può essere l’unico a farlo, non può essere lasciato solo. L’Italia nel dopoguerra è cambiata così, perché la realtà è stata sdoganata, la verità è stata gridata sui tetti. Se non cambia ora, è per colpa nostra.

Raniero La Valle

Be the first to comment “Il Bracciante Ignoto: TOGLI IL NOME A UNA PERSONA E SARÀ TUA”