La Biblioteca di Alessandria

La Biblioteca di Alessandria ha alimentato una tradizione storica e una leggenda, una realtà concreta di testi filologicamente fondati e il mito della biblioteca universale e perenne, poi rovesciato nel mito della distruzione e della perdita di incomparabili fonti delle antiche civiltà

Paola Paesano

La biblioteca di Alessandria, modello e sogno di ogni biblioteca dell’Occidente, al contrario del mito costruito ad arte delle origini greco-ateniesi dell’Europa, riposiziona quelle stesse origini greche sulle sponde africane del Mediterraneo.
Con il portare l’attenzione alla Biblioteca di Alessandria, e al Mediterraneo sul quale si affacciava, non si intende qui tornare alla nostalgia di un “paradiso perduto”, ma si vuole evidenziare una prova storica per chi è alla ricerca di nuove identità per i cittadini europei.
Eugenio Lanzillotta nella Presentazione alla più documentata monografia sulla biblioteca di Alessandria si dice convinto che la «si possa definire come “biblioteca della modernità: cioè non solo come luogo di raccolta e conservazione del sapere, ma anche come centro generativo di nuova conoscenza e nuove sfide» .
Da qui, dai sopraffini, ma reali bibliotecari alessandrini come Callimaco e Apollonio Rodio deriva la scienza filologica che ha permesso all’Europa di riconnettere la sua civiltà tardomedievale alle acquisizioni filosofiche, politiche, letterarie del pensiero e dell’arte classica, oltrepassando le pareti dei monasteri, riconoscendo la storicità di quelle acquisizioni, favorendo, per l’appunto, l’umanesimo.
Più facile, quindi, alla luce di circostanze storiche accertate, intravedere le origini dell’identità europea non solo nel mare leggendario di avventurose odissee, o nei paesaggi dei miti greci, ma anche in un bacino di convivenze pacifiche e conflittuali, di scambi secolari di culture, di religioni, di merci.
Ecco dunque profilarsi, attraverso la realtà – sia mitica sia reale – della Biblioteca di Alessandria, una identità di tutte le biblioteche. È da lì che viene latraduzione latina della Bibbia ebraica attribuita per tradizione a san Girolamo.Senza la traduzione greca della Bibbia da parte dei Settanta chiamati ad Alessandria dai Tolomei , sarebbe stato difficile, se non impossibile, finanche per san Girolamo, consegnare al mondo il testo biblico in latino. Come è noto, la tradizione cattolica attribuisce a Girolamo la traduzione dell’Antico Testamento direttamente dall’ebraico, nonostante l’arduo compito di dominare la lingua ebraica al di fuori del rabbinato e per di più da parte di un dalmata, come Girolamo era, e nonostante l’opinione del suo contemporaneo africano, vescovo di Ippona, Agostino, che riteneva la versione greca l’unica da potersi definire realmente “ispirata”.
Esiste una tradizione nota a Galeno (circa 130-200 a. C. Galeno era di Pergamo, ora in Turchia) che riporta come Tolomeo II, il Filadelfo (285-246 a.C.) avesse ordinato che venissero ricopiati tutti i libri che per caso si trovassero nelle navi che facevano scalo ad Alessandria, che gli originali venissero trattenuti e ai possessori venissero restituite le copie. Sempre a lui viene attribuita l’iniziativa di aver lanciato un appello “a tutti i sovrani e governanti della terra” a cui il re chiedeva che gli inviassero le opere di ogni genere di autori.
Ma ciò che definisce la realtà straordinaria della biblioteca alessandrina e che dà luogo al mito è l’impegno riversato nella traduzione di testi in lingue diverse dal greco. “I libri raccolti non erano soltanto dei Greci, ma di tutti gli altri popoli, ed anche degli stessi Ebrei” si legge in uno scritto erudito, molto tardo, che costituisce la più ricca fonte riguardante la biblioteca di Alessandria, i Prolegomena di Giovanni Tzetze (circa 1110-1185) al commento di tre commedie di Aristofane. Tzetze inquadra l’opera dei Settanta nell’ambito di questa sistematica opera di traduzione. Furono impiegati specialisti provenienti da vari Paesi, esperti non soltanto nella propria lingua, ma anche nella lingua greca.

Scrive Giusto Lipsio, uno dei maggiori trattatisti moderni delle biblioteche antiche nel suo “Sistema” dedicato al museo di Alessandria:
“Non ho molte altre cose che valgano la pena di essere raccontate a proposito delle biblioteche; una ancora è quella sul loro uso. Se queste rimangono deserte, o vi è soltanto qualche raro lettore, se non ci sono persone che le frequentino né consultino i libri, a cosa servirebbe questa raccolta? E cosa sarebbero se non quella studiosa voluttà, come dice Seneca? I sovrani alessandrini previdero anche ciò, e vicino alla biblioteca costruirono un Museo (così lo chiamarono, quasi fosse una casa delle muse), nel quale era possibile dedicarsi alle muse, liberi da altri impegni. Erano liberi perfino dalle incombenze della vita quotidiana e dal procacciamento del cibo, essendogli qui forniti i pasti a spese pubbliche. Che nobilissima istituzione!”

Si potrebbe aggiungere che quelli che vivevano qui non conducevano una vita vuota e oziosa (e come avrebbero potuto farlo uomini nati per il bene pubblico?), ma scrivevano, ricopiavano e correggevano libri (cioè fondavano la filologia), dissertavano e recitavano.
Questo è il senso, anche per oggi, della Biblioteca d’Alessandria.

Paola Paesano
Direttore della Biblioteca Vallicelliana