I “VALORI” DELL’OCCIDENTE NON SONO PER TUTTI

Una gran parte dei Paesi della comunità internazionale e la maggioranza della popolazione mondiale, non tutta appartenente alle  “autocrazie” non seguono gli Stati Uniti e i loro alleati nella partecipazione alla guerra in Ucraina. Un saggio dell’ex ministro degli esteri britannico David Miliband

Una gran parte dei Paesi della comunità internazionale e la maggioranza della popolazione mondiale, non tutta appartenente alle  “autocrazie” non seguono gli Stati Uniti e i loro alleati nella partecipazione alla guerra in Ucraina. Un saggio dell’ex ministro degli esteri britannico David Miliband

Riprendiamo da “Other News” del 25 aprile 2023 questo articolo  dal titolo “L’Occidente minoritario”, e a seguire, dalla stessa fonte, la conclusione di un articolo di Matthias S. Regen su “Le prime 24 ore dell’imminente offensiva di primavera potrebbero davvero essere il giorno più lungo per l’Ucraina”. 

La mancanza di senso critico gioca brutti scherzi ai non pochi commentatori che scambiano le riserve sulla politica estera degli Stati Uniti per antiamericanismo ideologico. Significativo il fuoco di giudizi sprezzanti in seguito alle dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron a proposito di autonomia strategica dell’Europa e di «rischio vassallaggio» dei Paesi alleati dell’America. Ma Macron non è il solo a interrogarsi sulle conseguenze di una politica che sta rendendo minoritari nel mondo proprio quei valori di libertà e democrazia che pretende di difendere e diffondere.

È interessante, in proposito, il saggio pubblicato da Foreign Affairs, dell’ex ministro degli esteri britannico David Miliband, una voce certo non sospettabile di antiamericanismo. Non è affatto vero – fa notare Miliband – che la guerra in Ucraina ha unito il mondo. Al contrario, lo ha ulteriormente diviso. E non è nemmeno vero che abbia unito l’Occidente, poiché al di là dell’unanime condanna dell’aggressione russa, i comportamenti e le scelte dei singoli governi sono alquanto differenziati nelle relazioni con Mosca.

«Il divario tra l’Occidente e il resto del mondo va oltre i diritti e i torti della guerra. È invece il prodotto di una profonda frustrazione per la cattiva gestione della globalizzazione da parte dell’Occidente dopo la fine della Guerra Fredda. Da questo punto di vista, la risposta concertata dell’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina ha messo in forte evidenza le occasioni in cui l’Occidente ha violato le sue stesse regole o è stato vistosamente assente nell’affrontare i problemi globali. Queste argomentazioni possono sembrare superflue alla luce della brutalità quotidiana delle forze russe in Ucraina. Ma i leader occidentali dovrebbero affrontarle, non respingerle. Il divario di prospettive è pericoloso per un mondo che deve affrontare enormi rischi globali. E minaccia il rinnovamento di un ordine basato su regole che rifletta un nuovo equilibrio di potere multipolare nel mondo».

All’inizio della guerra, ricorda l’ex ministro, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato 141 a 5, con 47 assenze o astensioni, per condannare l’invasione russa. In una serie di votazioni all’Onu dall’inizio della guerra, circa 40 Paesi, che rappresentano quasi il 50% della popolazione mondiale, si sono astenuti o hanno votato contro le mozioni di condanna dell’invasione russa. Cinquantotto Paesi si sono astenuti dal voto, nell’aprile 2022, per l’espulsione della Russia dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Secondo l’Economist Intelligence Unit, due terzi della popolazione mondiale vivono in Paesi ufficialmente neutrali o favorevoli alla Russia. Questi Paesi non formano una sorta di asse di autocrazia, ma includono diverse democrazie di rilievo, come Brasile, India, Indonesia e Sudafrica.

«Gran parte di questo atteggiamento non è motivato da disaccordi sul conflitto in Ucraina, ma è piuttosto il sintomo di una sindrome più ampia: la rabbia per la percezione di due pesi e due misure da parte dell’Occidente e la frustrazione per lo stallo delle riforme nel sistema internazionale». L’illustre diplomatico indiano Shivshankar Menon ha messo a fuoco il punto in Foreign Affairs all’inizio di quest’anno quando ha scritto: «Alienati e risentiti, molti Paesi in via di sviluppo vedono la guerra in Ucraina e la rivalità dell’Occidente con la Cina come una distrazione da questioni urgenti come il debito, il cambiamento climatico e gli effetti della pandemia».

«La realpolitik ha giocato il suo ruolo nel determinare le posizioni di alcuni Paesi sul conflitto in Ucraina. L’India è tradizionalmente dipendente dalla Russia per le forniture militari. La compagnia paramilitare Wagner, l’organizzazione mercenaria russa ora attiva in Ucraina, ha lavorato con i governi dell’Africa occidentale e centrale per sostenerne la sicurezza e la sopravvivenza. E la Cina, che è una delle principali fonti di sostegno della Russia, è il più grande partner commerciale di oltre 120 Paesi del mondo e si è dimostrata indulgente nei confronti degli sgarbi diplomatici».

Inoltre, il diplomatico britannico fa notare come non pochi Paesi, anche democratici, non condividano la narrazione occidentale sulle cause della guerra, ossia la tesi che tutto sia cominciato l’anno scorso con l’invasione russa. Ad esempio, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, pur avendo descritto l’invasione come un «errore», ha dato credito alla tesi che la Russia abbia subito un torto. «Zelensky è responsabile della guerra tanto quanto Putin», ha affermato Lula la scorsa estate in una dichiarazione che ha evidenziato l’ambivalenza globale sul conflitto.

Si sostiene inoltre che l’Occidente ha mostrato molta più compassione per le vittime della guerra in Ucraina che per le vittime di altre guerre. L’appello delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari all’Ucraina è stato finanziato all’80-90%. Nel frattempo, gli appelli delle Nazioni Unite per le popolazioni colpite dalle crisi in Etiopia, Siria e Yemen sono stati finanziati a malapena per metà. Già prima della pandemia Covid-19, il mondo era fortemente in ritardo nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che gli Stati membri avevano fissato con grande clamore nel 2015. Nel 2018, quattro Stati fragili e in conflitto su cinque non hanno raggiunto gli obiettivi di sviluppo sostenibile. I dati della Banca Mondiale per il 2020 mostrano che le persone nate in questi luoghi avevano dieci volte più probabilità di finire povererispetto a quelle nate in Paesi stabili, e il divario stava crescendo.

«Più di 100 milioni di persone – scrive l’ex ministro – stanno attualmente fuggendo per salvarsi la vita da guerre o disastri. Le Nazioni Unite riferiscono che oggi 350 milioni di persone sono in stato di bisogno umanitario, rispetto agli 81 milioni di dieci anni fa. Più di 600 milioni di africani non hanno accesso all’elettricità. Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite riferisce che 25 Paesi in via di sviluppo spendono oltre il 20% delle entrate statali per il servizio del debito, e 54 Paesi hanno gravi problemi di indebitamento. La disparità di accesso ai vaccini per combattere la pandemia – un divario particolarmente evidente durante le prime fasi del lancio del vaccino nel 2021 – è diventata un manifesto delle promesse vuote.

La richiesta di maggiore solidarietà ed equità nella gestione dei rischi globali è fondamentale nel momento attuale. Ma «la competizione tra grandi potenze sta esacerbando le sfide globali a danno dei Paesi più poveri». «La crisi alimentare derivante dalla guerra in Ucraina e la risposta inadeguata a livello globale ne sono un esempio. Il sostegno ai rifugiati rappresenta un ulteriore esempio di come i costi globali siano condivisi in modo ineguale. Sebbene molti Paesi occidentali lamentino l’afflusso di rifugiati, i Paesi poveri e a reddito medio-basso ne ospitano oltre l’80%. Bangladesh, Etiopia, Giordania, Kenya, Libano, Pakistan, Turchia e Uganda accolgono un gran numero di rifugiati. La Polonia, che attualmente ospita oltre 1,6 milioni di ucraini, e la Germania, con 1,5 milioni di siriani, sono i Paesi ricchi che fanno eccezione».

 

Molti Paesi infine non sopportano la natura squilibrata del potere globale nelle attuali istituzioni internazionali. Attualmente, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti – hanno il diritto di porre il veto su qualsiasi risoluzione, mettendo di fatto da parte gli altri dieci membri, molti dei quali sono Paesi a basso e medio reddito. Per difendere lo Stato di diritto, i Paesi occidentali devono rispettarlo e sottoscriverlo.

«Anche se la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris ha lanciato un forte appello alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco per il perseguimento dei crimini di guerra in Ucraina, sarebbe stato molto più efficace se gli Stati Uniti avessero ratificato lo Statuto di Roma che ha creato la Corte penale internazionale nel 1998. I critici e gli avversari delle potenze occidentali citano senza sosta questi due pesi e due misure. E non è difficile capire perché».

Da Massimo Nava – Corriere della Sera

Le prime 24 ore dell’imminente offensiva di primavera potrebbero davvero essere il giorno più lungo per l’Ucraina

(Fonte: “Ukraine’s Longest Day. The first 24 hours of the expected counteroffensive will likely be decisive”)

A lungo termine, le forze armate ucraine avranno difficoltà a sfuggire al crogiolo di logoramento di questa guerra terrestre incentrata sull’artiglieria. Gli ucraini potrebbero ottenere un successo tattico se riuscissero a provocare la paralisi nella leadership militare russa e il panico tra le truppe, innescando una disfatta nella fase iniziale della controffensiva. Se questo sarà sufficiente per l’Ucraina per ottenere guadagni strategici a lungo termine – figuriamoci vincere la guerra – è tutta un’altra questione.

Non scommetterei che l’offensiva di primavera si farà! E se si farà, non sono certo che la leadership ucraina non abbia già deciso di far morire altre migliaia di uomini nella speranza vana di un successo militare. Il problema è che l’Ucraina ha già perso più di 750.000 uomini (tra morti e feriti) e rimpiazzarli non è certamente facile.

Magari se avesse più carne da macello riuscirebbe a far qualcosa, grazie anche all’appoggio incondizionato della NATO e di tutti i paesi di questa coalizione che combattono unitamente la Russia, ma sembra che proprio il fattore “uomo” è quello che peserà di più in questo conflitto.

Forse vedremo migliaia di combattenti NATO sul campo!? Chi sarà il primo che manderà i propri uomini a morire in un paese straniero per interessi di pochi d’oltreoceano?

Ma le speranze guidate dai sentimenti sono una cosa che, purtroppo, la realtà dei fatti schiarisce, e diventa tutta un’altra storia.

Vedremo!

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