IL BISOGNO DI ISTITUZIONI, MA GIUSTE

Newsletter n. 9 del 27 marzo 2020 IL BISOGNO DI ISTITUZIONI, MA GIUSTE Cara Amica La situazione eccezionale nella quale ci troviamo induce fra l’altro a farci più che mai […]

Newsletter n. 9 del 27 marzo 2020

IL BISOGNO DI ISTITUZIONI, MA GIUSTE

Cara Amica

La situazione eccezionale nella quale ci troviamo induce fra l’altro a farci più che mai delle domande sulle istituzioni che governano la società, sul loro funzionamento, su ciò che ad esse chiediamo e dobbiamo chiedere.
La prima riflessione è sul “bisogno” di istituzioni pubbliche giuste, funzionanti ed efficienti. Se in tempi “normali” qualcuno può, a torto, pensare che le istituzioni pubbliche siano quasi solo una presenza fastidiosa ed eccessiva, idonea solo a intralciare il libero dispiegarsi delle iniziative individuali, e così alimentare la richiesta di uno “Stato minimo”, e di riduzione al minimo delle risorse che le istituzioni pubbliche esigono e prelevano dai privati (“meno tasse per tutti”), in tempi di emergenza anche i liberisti più sfrenati devono prendere atto del “bisogno” di istituzioni forti, efficaci e che dispongano delle risorse necessarie per realizzare le finalità di interesse generale.
In questi giorni tutti plaudono, giustamente, all’allentamento dei vincoli finanziari per consentire alle istituzioni pubbliche di apprestare le misure e le risorse necessarie per far fronte nel modo migliore possibile agli effetti e ai rischi dell’epidemia. In situazioni di emergenza la spesa pubblica non può non aumentare. E non possono certo bastare a coprirla le pur generose donazioni spontanee che da tante parti giungono alla Protezione civile o ad altri enti pubblici. Ma dovremmo anche domandarci come ci comporteremo quando (speriamo presto) l’emergenza sarà rientrata, e però continuerà ad essere necessario disporre di risorse pubbliche, anche per restituire il maggior debito pubblico che nel frattempo si sarà formato. Sarà allora inevitabile riconoscere la necessità di ulteriori sacrifici e prelievi tributari a carico di tutti, in proporzione, come dice la Costituzione, alla capacità contributiva di ognuno, e rispettando i criteri di progressività.
In altri tempi, per fortuna lontani, si è arrivati a chiedere ai singoli (trovando non piccola risposta più o meno forzata) perfino di offrire “oro alla patria”, cedendo allo Stato oggetti preziosi del proprio patrimonio per contribuire – purtroppo – a imprese belliche e coloniali, in nome di quel funesto nazionalismo che ha caratterizzato nel Novecento tanta parte della politica nazionale e internazionale. Quel nazionalismo che solo l’”evento epocale” della seconda guerra mondiale, con i suoi milioni di morti, le sue tragedie immani e le sue distruzioni apocalittiche sembrava aver relegato definitivamente al passato, ma che sotto varie forme risorge, come se anche gli obblighi di solidarietà umana che la situazione sollecita fossero solo obblighi di “solidarietà nazionale” e non globale.
Con ben altro fondamento, di fronte ad esigenze come quelle che ci si prospettano per il futuro, sarà necessario riconoscere l’esigenza di alimentare la “macchina” delle istituzioni con risorse adeguate. Se in tempi “normali” tante critiche si rivolgono (giustamente o meno giustamente) agli “sprechi” pubblici, oggi si sente rimpiangere per esempio il fatto che il Servizio sanitario nazionale e le strutture sanitarie pubbliche non sono stati sufficientemente alimentati con le risorse necessarie per far fronte ai bisogni che oggi si manifestano in maniera particolarmente stringente.
Insomma, puntare sulla futura sperata “crescita” o ricrescita dell’economia va bene, ma si dovrà altresì porre attenzione, anche per combattere le eccessive disuguaglianze, ad una corretta distribuzione delle risorse fra l’aumento dei consumi o dei patrimoni privati (non da oggi si sente dire che in Italia c’è una elevata misura della ricchezza privata) e le esigenze collettive, a cui provvedono le istituzioni pubbliche.
Valerio Onida

P. S. Aggiungiamo qui di seguito una lettera aperta del 26 marzo dell’Associazione “Laudato Sì” di Milano in cui si denuncia una grave decisione delle Istituzioni che hanno consentito che continuasse la produzione di armi, in particolare nei reparti dell’industria bellica di Aermacchi e Agusta in provincia di Varese, nonostante gli impegni che il governo aveva preso con i sindacati. Questa la lettera:

Sabato 21 marzo abbiamo sottoscritto la lettera aperta lanciata da alcuni membri dell’associazione “Laudato sì” per dare voce e sostenere la giusta rivendicazione di sospendere l’attività, portata avanti da molti lavoratori – alcuni dei quali già scesi in sciopero – costretti a lavorare fianco a fianco in aziende e processi produttivi non indispensabili e a ritrovarsi ammassati nei mezzi di trasporto utilizzati per andare e tornare dal lavoro. Questo appello ha riscosso adesioni assai significative.

Nel frattempo, anche le confederazioni CGIL, CISL e Uil hanno deciso in modo unitario di chiedere al Governo la chiusura temporanea di tutte le lavorazioni non essenziali. Al termine dell’incontro, il Presidente del Consiglio ne annunciava il fermo, ma questa decisione ha incontrato, prima e dopo il suo annuncio, la netta opposizione di Confindustria che, anche con una lettera del suo Presidente, anteponeva la salvaguardia della continuità produttiva a quella della salute dei lavoratori, delle loro famiglie e della collettività tutta. Così il decreto governativo – pubblicato a distanza di un giorno – consente la prosecuzione delle attività nella quasi generalità dei settori, fino ad includervi persino l’industria bellica. Il fatto che l’industria delle armi continui ad essere promossa e mantenuta in attività è uno scandalo al cospetto degli ammalati e delle vittime, del mondo ospedaliero, delle lavoratrici e dei lavoratori chiamati a rischiare il contagio pur di non fermare la produzione di strumenti di morte.

Non sappiamo attraverso quali meccanismi si sia arrivati a una conclusione che contraddice gli impegni presi con i sindacati (non esistono verbali del confronto), tanto che questi si sono detti pronti a mettere in atto uno sciopero generale; ma tutto il processo decisionale appare viziato da una grave mancanza di trasparenza e da un insufficiente rispetto della salute dei lavoratori e della collettività. Trasparenza e rispetto che dovrebbero accompagnare tutte le procedure attraverso cui il governo e le sue agenzie decidono i provvedimenti di contenimento della pandemia, che avvengono invece senza il parere di un organismo di controllo tecnico-scientifico indipendente, in presenza di un sistema sanitario spogliato dai successivi tagli subiti negli ultimi decenni, fino a giungere all’attuale mancanza di ogni possibilità di dotarsi per tempo degli indispensabili presidi a tutela della salute pubblica.
Contro le “maglie” decisamente troppo larghe del decreto governativo, gli scioperi in fabbriche e aziende si sono moltiplicati per iniziativa diretta delle lavoratrici e dei lavoratori con i loro rappresentanti. Esprimiamo loro la nostra solidarietà e diamo sostegno alla loro rivendicazione di avere voce in capitolo nel decidere che cosa è essenziale e che cosa no delle produzioni e delle attività in cui sono impegnati in ogni azienda. Auspichiamo che questa iniziativa sia la premessa perché sin da ora l’economia possa imboccare un percorso radicalmente diverso da quello che ci ha condotto all’attuale catastrofe, grazie a una riconquistata capacità dei lavoratori di far valere le loro ragioni insieme a quelle della collettività, sia nelle aziende che nella società. La ricomposta unità nella lotta per la sicurezza e la salute – dai rider senza tutele ai nuclei più organizzati di metalmeccanici, chimici e tessili – lascia sperare in un fronte attorno cui possa crescere la presa di coscienza di tanti movimenti, associazioni e corpi sociali alla ricerca di un diverso rapporto con la natura anche per contrastare il cambiamento climatico e promuovere una vera riconversione ecologica.

Associazione “Laudato Sì”

Sullo stesso argomento della continuità della produzione nelle fabbriche delle armi pubblichiamo sul sito Costituente terra.it un intervento del giornale “Avvenire” con la protesta di numerose associazioni, e una lettera di Virginio Colmegna, della Casa della carità di Milano, sul rischio di una frattura sociale nelle misure per rispondere al virus.

Nella sezione “Il principio femminile” pubblichiamo un estratto dal capitolo “Il principio femminile” tratto dal libro di Italo Mancini “Filosofia della prassi”, un “classico” pubblicato dalla Morcelliana nel 1986. Richiamare in vita questo scritto ci pare particolarmente appropriato nel momento in cui dalle dolenti statistiche italiane di questi giorni emerge che le donne sono colpite dal virus assai meno degli uomini: due donne contro otto uomini. È una scienziata che ne ha fatto una notizia, la virologa Ilaria Capua. Non se ne conosce la ragione, ma forse le tracce dello sguardo meno distratto che, nel tempo, la cultura ha dedicato alla differenza femminile, può aprire piste di ulteriore riflessione; e forse nell’attuale momento potrebbe suggerire, come è stato scritto, che dopo la crisi toccherà alle donne «ridare ricchezza alla vita, ripartire dal profondo, dire di sì al compito di far dono alla terra dei “nati da donna”».

Con la più viva cordialità

Costituente Terra

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