Newsletter n. 124 del 5 luglio 2023 – IL DIRITTO E LA STRAGE

Cari amici, un appello al governo perché la smetta di inviare armi e imbocchi invece la via della pace è stato fatto da quanti hanno partecipato a un incontro su […]

Cari amici,

un appello al governo perché la smetta di inviare armi e imbocchi invece la via della pace è stato fatto da quanti hanno partecipato a un incontro su “Guerra o pace?”- da Domenico Gallo ad Alfiero Grandi, da Barbara Spinelli al generale Fabio Mini, dall’ex ambasciatore Cassini  alla vice-presidente del Senato Mariolina Castellone –  tenutosi il 30 giugno alla  Biblioteca del Senato. Nello stesso tempo “la Repubblica”  pubblica oggi “a caratteri di scatola”, come si diceva una volta: “Bombe italiane per Kiev”.

Ma qui nasce un problema. Qual è la natura di queste  bombe? E come si definisce il fatto di mandarle? Trattandosi di bombe e proiettili, e non di armi antiaeree, si tratta di arnesi non ordinati a sventare una minaccia, ma di armi di combattimento, intese all’annientamento, alla ritorsione o vendetta sul nemico. Il loro scopo è ovviamente di distruggere e uccidere. E come si qualifica questa azione? Non poniamo qui  la questione sul piano morale, estraneo purtroppo all’attuale discorso comune, ma sul piano fattuale e giuridico.

Sul piano fattuale si tratta ovviamente di una violenza indiscriminata, comunque motivata, contro cose e persone. Sul piano giuridico, fino alla Carta dell’ONU che ha messo fuori legge la guerra, era un’azione perfettamente legittima, perché il distruggere e l’uccidere – a parte gli eccessi configurabili come crimini di guerra, di cui però non sempre si tiene conto, come per esempio fu a Hiroshima e Nagasaki – era giustificato e promosso dallo stesso diritto di guerra. Ma anche oggi molti Stati si comportano come se quel diritto ancora esistesse e considerano le guerre che fanno come legittime, eroiche e salutari, e  su loro istigazione anche le opinioni pubbliche purtroppo se ne fanno persuase. Tuttavia perché questo distruggere e uccidere possa ancora essere pensato come eroico e legittimo, bisogna che la guerra ci sia, che vi si sia effettivamente e pubblicamente coinvolti, se non addirittura che sia “dichiarata”. Altrimenti, come è stabilito fin dalla nascita del diritto pubblico e dello Stato moderno, l’uso non autorizzato della violenza e della forza è un crimine, un reato di lesioni, di omicidio o di strage. Dunque è una ignominia e un peccato grave anche se commesso da persone giustissime e miti, di cui la guerra è il grande lavacro. È così che lo racconta Joseph De Maistre, il mistico della guerra: “al primo segnale, il giovane più amabile, educato all’orrore per la violenza e per il sangue, lascia la casa paterna e corre, armi alla mano, a cercare sul campo di battaglia colui che egli chiama ‘nemico’, senza neppur sapere cos’è un nemico. Il giorno prima si sarebbe sentito in colpa se avesse schiacciato per caso il canarino della sorella; il giorno dopo lo vedete salire su un mucchio di cadaveri ‘per vedere più lontano’, come diceva Charron. Il sangue che sgorga da ogni parte gli serve da sprone per spargere il suo e quello altrui, egli si infiamma gradatamente fino a raggiungere ‘l’entusiasmo per il massacro’”. Per questa ragione i soldati americani che combatterono in Vietnam, anche se autori della strage di Mỹ Lai sono circonfusi di gloria e sepolti nel cimitero di Arlington, mentre i ragazzi che comprano il fucile e uccidono nel cortile della scuola sono assassini, e Biden si indigna perché il congresso non proibisce che si vendano loro le armi.

Dunque è la guerra che “giustifica”. Ma l’Italia non è in guerra, anzi, secondo il politicamente corretto “la Russia non è il nemico”. Dunque se mandiamo le armi per uccidere siamo mandanti di omicidio e di strage, ai sensi del diritto vigente, come i capomafia che ordinano i delitti a distanza. Certo, la nostra presidente del Consiglio, nonostante qualche tono alto, non ha entusiasmo per il massacro, ma l’Italia e mezzo mondo che senza guerra concorrono alle reciproche stragi in Ucraina (si parla già di 330.000 morti, 200.000 russi e 130.000 ucraini) anche senza entusiasmo il massacro lo fanno.

Se poi si dice che a legittimare il massacro, anche senza guerra, è la politica (o una maggioranza eletta in buona e debita forma) vuol dire che non c’è più differenza tra guerra e politica, non si può più distinguere tra tempo di pace e tempo di guerra; ma allora è tutto il mondo sbagliato, e anzi gloriosamente perverso.

Nel sito pubblichiamo l’appello del Convegno romano su “Guerra o pace?”, e un intervento sui protagonisti del conflitto in Ucraina pronunciato in tale convegno.

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