Gli animali hanno diritti? Gli umani e le altre specie

Per una ecologia integrale

Il tema della crisi ambientale e della salvaguardia della natura e della comunità umana sulla Terra ha riaperto la questione del rapporto tra la specie umana e le altre specie, in particolare riguardo alla condizione fatta agli animali. Il divario delle opinioni giunge fino alla drastica contrapposizione tra antropocentrismo e biocentrismo, includendosi  in questa espressione tutta la realtà vivente. Il testo che segue, del prof. Vittorio Possenti (da una relazione fatta all’Accadenia di san Tommaso d’Aquino a Roma) affronta la questione a partire dalla filosofia tomista, e dalla visione espressa nella “Laudato Sì” di papa Francesco, in contrasto con la tesi “antispecista” e col pensiero animalista, ma anche critico di un antropocentrismo cristiano squilibrato, dimentico della natura e degli altri viventi.  La discussione è aperta, e molte possono essere le argomentazioni in un senso o nell’altro. L’interesse del testo che segue, al di là della netta posizione che prende, sta anche nel fatto che lo status quaestionis vi è esposto con grande chiarezza e negli annessi sono compresi altri testi di riferimento, a cominciare dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale proposta nel 1978 a Bruxelles da diverse Associazioni europee e internazionali.   

“La simpatia dell’uomo
“La simpatia dell’uomo per ogni creatura è ciò che soprattutto fa di lui un uomo”, A. Schweitzer
“Dio ama gli animali più di quanto l’uomo ami Dio”, M. Damien

1. Introduzione. Crescente ma tuttora insufficiente è la consapevolezza che la cura del creato e dell’ambiente, il mantenimento delle specie e degli equilibri naturali e biologici, la riduzione dei livelli di consumo nei Paesi sviluppati rappresentino una delle massime priorità planetarie oggi e domani. Per ciascuno di tali aspetti si possono agevolmente rinvenire molte espressioni nell’enciclica Laudato sì sulla cura della casa comune. Qui mi limito al tema della scomparsa di molte specie: «Ma non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in se stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto» (Laudato si, n. 33).
Con il richiamo al valore delle specie siamo incamminati a riflettere sullo specismo, tema che l’enciclica non affronta direttamente. Siamo indirizzati verso un problema assai spinoso da maneggiare, in cui si confrontano, non di rado polemicamente, posizioni filosofiche e morali contrastanti, e in cui emergono problemi primari della vita, umana e animale, del loro senso e destinazione. In particolare nel mondo anglosassone sono diffuse le ricerche sullo status degli animali, sui loro diritti, sull’animal ethics, con numerosi centri, libri, riviste1.

QUALE TUTELA PER GLI ANIMALI?
2. Specismo ed antispecismo. Se è vero, ed è vero, che la tutela del creato comprende anche gli animali, la domanda centrale suona: tale tutela va perseguita equiparando tutti gli esseri viventi e senzienti? Questo è il delicato interrogativo che specismo e antispecismo con la loro opposizione sollevano. Tutelare qualcosa implica che tale qualcosa possieda un valore intrinseco: non si tutela un sasso; e ciò che merita tutela la esige in un rapporto proporzionato con il suo valore ontologico e assiologico.
Il termine ‘specismo’ (speciesism) fu coniato nel 1970 dallo psicologo britannico Richard Ryder, pioniere del movimento di liberazione animale, come un calco di razzismo e sessismo; l’intento era di descrivere in particolare gli atteggiamenti umani che coinvolgono una discriminazione degli animali, inclusa la concezione che li considera come oggetti o proprietà. Assumendo che lo “specismo” sposi l’idea che la specie umana sia naturalmente sovraordinata alle altre, diversi autori ritengono che lo specismo sia un’altra faccia del razzismo. Lo specismo sarebbe un atteggiamento pregiudizialmente favorevole agli interessi dei membri della propria specie e contro i membri delle altre specie; l’idea cioè che sia giustificabile accordare una preferenza ad esseri semplicemente per il fatto che sono membri della specie Homo sapiens 2. Ryder sostiene l’esigenza di smascherare il più grave errore morale che a suo dire contraddistinguerebbe la società occidentale antropocentrica, ossia il rifiuto di riservare un trattamento egualitario agli esseri viventi non umani solo per ragioni connesse all’assenza di un legame di specie3.
E’ stato poi introdotto il termine “specismo incondizionato” per indicare che gli appartenenti alla specie umana vanterebbero intrinsecamente diritti superiori agli appartenenti alle altre specie animali. Il Movimento Antispecista nega nettamente tale assunto e si ispira ai seguenti principi: Non uccidere, far soffrire o discriminare esseri senzienti; Non utilizzare risorse derivanti dallo sfruttamento di esseri senzienti. Analoghe le posizioni dei transumanisti: “I transumanisti rifiutano lo specismo, la visione (umana razzista) secondo la quale lo stato morale sia fortemente legato all’appartenenza a una particolare specie biologica, nel nostro caso l’homo sapiens”4.

SOSTITUIRE IL BIOCENTRISMO ALL’ANTROPOCENTRISMO?
3. Specismo è dunque un termine ‘polemico’ a carattere peggiorativo – creato dagli avversari – che attribuisce un diverso valore ontologico e un diverso status morale agli individui unicamente in base alla loro specie di appartenenza. L’antispecismo osteggia l’idea della centralità e della superiorità della specie umana sulle altre specie animali, che finirebbe per negare ai non umani la qualità di soggetti di vita senziente, emotiva e cognitiva. L’intento è di descrivere (e poi in vario modo condannare) gli atteggiamenti umani che coinvolgono una discriminazione verso gli animali5. Gli antispecisti radicali intendono sostituire il biocentrismo all’antropocentrismo: in tal modo l’idea stessa di persona come soggetto sostanziale portatore di diritti viene messa da parte, con l’appoggio di dottrine e filosofie evoluzionistiche, e la ‘sacralità della vita umana’ sostituita dalla ‘sacralità della vita come tale’. L’idea che la vita umana, e solo la vita umana, sia inviolabile è ritenuta una forma di specismo, mentre si afferma un diritto al benessere di tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalla loro natura.
L’approccio antispecista afferma che le capacità di sentire (di provare sensazioni come piacere e dolore), di interagire con l’esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative della specie umana. L’attribuzione di tali capacità agli animali di specie non umana comporta dunque un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto agli animali di specie umana.
Gli antispecisti radicali, difendendo un presupposto di eguaglianza tra le specie, assumono non di rado un’istanza materialistica, evoluzionistica e funzionalistica: essere cioè l’uomo un mero animale che differisce dagli altri animali solo per grado, non per essenza. Gli antispecisti ritengono che la morale e l’etica comune, così come gli ordinamenti nazionali ed internazionali, siano ad oggi contraddistinti da una filosofia specista6. Per uscire dalla vibrante opposizione tra specismo e antispecismo, sarebbe necessario elaborare una generale filosofia della vita animale, delle sue forme e del loro rispetto, su cui la teologia e la filosofia cristiane stanno volgendo la loro riflessione.

GLI INIZI DELL’ANIMALISMO
Con l’avvento dell’Illuminismo e di antropologie materialistiche presero corpo due idee. Dapprima che gli esseri umani sono dotati di diritti inalienabili e naturali (ossia provenienti dalla loro stessa natura) di cui si stese l’elenco nel 1789, includendovi in linea di principio le donne e gli schiavi; in secondo luogo nelle antropologie sensistiche si cominciò a sostenere che non fosse possibile riconoscere una netta cesura tra gli esseri umani e gli “animali non umani”. Nel nuovo clima culturale Jeremy Bentham, fondatore dell’utilitarismo, propose un’impostazione etica volta a minimizzare la sofferenza degli esseri senzienti (uomini e animali), dal momento che per l’utilitarismo i canoni morali fondanti sono il piacere e il dolore. In tal modo veniva avanzato un criterio capace di includere tutti gli animali (umani e nonumani) all’interno di una medesima comunità morale7.
L’utilitarismo, che appartiene alle dottrine morali consequenzialiste, poiché ritiene che un’azione debba essere giudicata buona o cattiva in base alle sue conseguenze, cerca “la maggior felicità (materiale soprattutto) per il maggior numero possibile di uomini”. Abbastanza presto il criterio si allargherà a includere la maggior felicità per il maggior numero possibile di esseri senzienti. Bentham era contrario ad infliggere sofferenze agli animali, per quanto non contestasse il nostro diritto di usarli e di ucciderli per fini umani, purché ciò avvenga senza infliggere loro inutili sofferenze.
Per Peter Singer, anch’egli consequenzialista e utilitarista, l’azione moralmente giusta è quella che massimizza la soddisfazione delle preferenze del maggior numero di esseri senzienti. Il suo punto centrale è l’estensione dell’eguaglianza di considerazione tra esseri umani ai non umani. Egli non nega le differenze tra uomini e gli altri animali, ma ciò non impedirebbe di estendere il principio fondamentale di eguaglianza agli animali non umani: “Il principio fondamentale di eguaglianza non prescrive eguale o identico trattamento; prescrive eguale considerazione”8. Pertanto considerare la differenza di specie come moralmente rilevante è per l’autore un pregiudizio al pari del razzismo o del sessismo, in cui si considerano differenze moralmente neutre, quali la razza o il genere sessuale, come capaci di giustificare differenze di trattamento o di considerazione morale. Gli interessi dei soggetti vengono stabiliti solo sulla capacità loro di provare piacere e dolore: “La capacità di provare dolore e piacere è una condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché si possa dire che un essere ha interessi – come minimo assoluto, l’interesse a non soffrire” (p. 23).
Il principio centrale di Singer è la minimizzazione della sofferenza. Egli non sostiene che gli animali siano capaci di agire moralmente, ma che il principio morale dell’uguale considerazione degli interessi si applica a loro quanto agli uomini: uguale considerazione dell’interesse a non soffrire. I loro ‘diritti’ dipendono fondamentalmente da ciò.
Lo scopo di Liberazione animale è denunciare la tirannia che gli ‘animali umani’ esercitano sugli animali non umani (p. 9): è perciò un appello agli ‘animali umani’ in favore degli animali non umani, secondo la terminologia dell’autore. In effetti siamo noi che proclamiamo i diritti degli animali, e noi che prendiamo la loro parte, dal momento che non possono farlo da soli. In questo e in altri sensi gli animali non sono soggetti di azione: “Dobbiamo esser noi a prendere le difese di coloro che non possono farlo da sé” (p. 13). Nulla da eccepire sullo scopo; semmai si dovrebbe riconoscere che ciò consegna all’essere umano una più alta responsabilità (quella di custode del creato) e un maggior valore che il radicale empirismo di Singer non sembra capace di giustificare. Per l’autore occorre che “il fondamentale principio morale di eguale considerazione degli interessi non venga arbitrariamente circoscritto ai membri della nostra specie”. Ciò implica l’identità o la quasi-identità tra etica intraspecifica (interna alla specie umana) e etica interspecifica tra esseri viventi.

ANCHE GLI ANIMALI SOFFRONO PAURA DOLORE E ANGOSCIA
Sul piano morale gli antispecisti manifestano ripulsa verso il dominio sugli animali, e sottolineano che la specie umana aggredisce le altre specie, esercitando violenza contro la vita. Aggiungono che centinaia di altre specie animali soffrono la paura, il dolore e l’angoscia, proprio come gli esseri umani, e pertanto domandano se vi sia giustificazione morale nell’ignorare la sofferenza quando è presente nelle altre specie. Risale al 1985 l’uso del termine painismo, una teoria morale che sostiene i diritti degli animali affermando che l’azione morale deve essere basata sulla riduzione del dolore (pain) di tutti gli esseri senzienti: la sofferenza non può essere accettata in nome di principi utilitaristici9. La domanda rilevante non è Possono ragionare?, né Possono parlare?, ma Possono soffrire?. I nostri doveri verso gli animali sarebbero dunque fondati sui loro diritti morali fondamentali, quali il diritto a non soffrire, a vivere e (almeno sotto certi aspetti) alla libertà, che ogni essere dotato di valore inerente possiede.
In ordine alla sofferenza vi sono due rapporti da considerare; quello che gli uomini infliggono agli animali e quello intercorrente tra animali (il pesce grosso che mangia il pesce piccolo). Nel primo l’essere umano riconosce di aver degli obblighi verso gli animali, ed es. di non infliggere loro sofferenze evitabili; nel secondo non vi sono regole ‘morali’, in quanto opera la regola dell’istinto, e il leone sbrana l’agnello, infliggendogli una sofferenza che sarebbe considerata inammissibile se fosse inflitta da un uomo10.
LA POSTA IN GIOCO
4. Nuclei dottrinali: persona e natura umana. La posta in gioco nello specismo e antispecismo è alta e chiama in causa nozioni filosofiche e antropologiche centrali: concetto di natura, di persona, di animale, di vita, di differenza specifica, di discriminazione, di considerazione morale, di valore etico, di diritti e doveri. L’urgenza del problema è manifesta a tutti, e un’accettabile via d’uscita può esservi solo se l’impianto dottrinale di base è valido: questo elemento risulta invece abbastanza compromesso in numerose impostazioni, per cui appare urgente una ripresa di consapevolezza teoretica del tema, che agevoli la valutazione morale su taluni importanti temi in gioco.
Sappiamo quanto gravido di conseguenze sia il problema della persona, vero crocevia di tanti cammini, e la domanda se la nozione di persona possa applicarsi agli animali. In caso di risposta negativa si chiede se saremmo soggetti alla critica di essere specisti e fautori dell’antropocentrismo. Mantenere ferma la nozione di persona implica che gli esseri umani sono più perfetti ontologicamente degli animali, ma da ciò non consegue che dobbiamo senza motivo far soffrire gli animali.
Strettamente connessa alla nozione di persona è quella di essenza o di natura, largamente in difficoltà nella costellazione culturale odierna: in omaggio all’empirismo e alla postmetafisica vigenti le differenze di essenza sono semplicemente ricondotte a differenze di grado in un continuum che non ammette salti qualitativi o ontologici: l’antiessenzialismo della cultura dominante è sotto gli occhi di tutti11. Con il rifiuto empiristico e scientistico del concetto di natura o di essenza specifica si approda ad una situazione incerta in cui vale statisticamente la sola normalità di funzionamento, onde un animale normale potrebbe vantare maggiori ‘diritti’ di un essere umano gravemente menomato (così sostiene Singer). Dall’antiessenzialismo deriva la frequente e miserevole confusione in filosofia e nel diritto tra natura come physis e natura umana come essenza umana12.
Kant ha enunciato l’imperativo categorico secondo cui la persona è fine e mai solo mezzo; ancor prima l’Aquinate ha stabilito che la persona è l’essere più perfetto nell’universo, in quanto è un essere sussistente in una natura intellettuale13. Il problema verte sulla domanda di chi sia persona e chi no, su chi sia un altro reale e chi no, e se vi siano diversi gradi di alterità. Per combattere le vere o supposte rigidità dello specismo, l’antispecismo tende a diluire sino ad annullarla la nozione di persona umana, dissolta in quella di essere animale vivente e senziente.
 5. Ecologia ed antropologia. La Laudato sì ha colto la verticale antropologica con chiarezza e con richiami preziosi: “Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, «si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità»”14. L’importanza del tema è ribadita in vari altri passaggi dell’enciclica, in cui si difende la preminenza dell’essere umano senza dimenticare il criterio di responsabilità da mettere in atto verso gli animali: “Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni di altri”15.
Antropocentrismo e biocentrismo illimitati si oppongono frontalmente e non rappresentano una soluzione attendibile. Importante è osservare che noi attribuiamo status ontologico e considerazione morale primariamente agli individui invece che alla specie, a partire dagli esseri umani. Il genere e la specie sono entità astratte che non possono avere esperienze né commettere errori, come invece accade agli esseri senzienti e intelligenti. Il problema dovrebbe essere affrontato a partire da una determinazione adeguata delle nozioni di genere e di differenza specifica. Su quest’ultimo problema, che non attira negli antispecisti l’attenzione dovuta, l’Aquinate è esplicito: “la differenza è più nobile del genere come il determinato all’indeterminato”16. In coloro che trascurano la differenza specifica alto è l’impatto del prevalente orientamento postmetafisico della cultura. E’ la nozione di essere umano come animal rationale dotato di logos che viene attaccata, di modo che il rationale sfuma ed in primo piano emerge l’animalitas. Di fatto alla differenza specifica si sostituisce una attenzione indifferenziata alla Vita per la quale lo specismo è un crimine contro la Vita: la categoria universale di Vita vale di per se stessa ed è propria di ogni vivente a prescindere dalle sue ben differenti forme e specie. Così si esprime la “Dichiarazione universale dei diritti dell’animale” (1978) e i suoi commenti accreditati, riportati nel secondo Annesso.
La concezione processuale così lungamente in voga tra gli evoluzionisti (lo è ancor oggi) per cui l’evoluzione è ascendente, è respinta dall’antispecismo radicale: non esistono specie diversamente evolute: quella evoluta dell’uomo e quella non sufficientemente evoluta degli altri viventi. Siamo una sola, unica specie di esseri viventi, ognuno perfetto nella sua semplice esistenza. La perfezione, in sostanza, non è parametrabile a quella dell’uomo, ma solo al fatto di esistere. L’antispecismo equalizzante può generare un doppio esito: assegnare la qualità di persona a buona parte degli animali superiori; negarla a tutti. Gli antispecisti radicali sostengono che le differenze tra umani e non umani sono soltanto biologiche; il fatto che l’intelligenza degli animali non è pari a quella umana non è dirimente; la capacità di avere esperienze positive e negative, come il piacere, la soddisfazione e la sofferenza è analoga tra animali umani e non umani. Pertanto i diritti dell’uomo sono solo un’opzione egoista dovuta al maggior potere degli ‘animali umani’.
 6. L’impatto del darwinismo, l’oblio della creazione, la dissoluzione della persona. Il tema ecologico subisce oggi l’influsso del materialismo ilozoistico e di forme di panteismo in cui tutti i viventi sono parte di Gea, la madre terra. Questo atteggiamento si fonda da un lato su una filosofia molto problematica su cui rifletteremo tra poco, e dall’altro su preoccupazioni giustificate, e rivolte contro l’estrema oggettivazione e sfruttamento del cosmo, praticati dal complesso tecnoscientifico e dalla nostra avidità. A tanti appare la necessità di passare da una concezione tecnico-quantitativa della natura ad una sua considerazione qualitativa, combattendo la distruzione delle differenze e diversità, ed esprimendosi contro il processo di equalizzazione prodotto dalla scienza per cui tutto sta sullo stesso livello.

CHE DIRE DELLA CREAZIONE
Diventa ancor più urgente adottare un atteggiamento di fruizione e di contemplazione, compresa la contemplazione o esperienza del bello, al posto dell’atteggiamento utilitaristico di dominio e di sfruttamento. Recuperare il senso del creato come massimo dono di Dio e con esso il suo significato teologico e teleologico, mentre l’uomo contemporaneo vede solo ciò che egli ha prodotto17. L’uomo vede che tutto quello che lo circonda è stato fatto da lui, e pertanto si ritiene al principio di tutto, viceversa la fede gli dice che tutto viene da Dio18. Aderire alla verità della creazione come dono divino favorisce la contemplazione e il distacco da una concezione prometeica dell’uomo e tecnica della natura come serbatoio da sfruttare. Ora si deve con rammarico riconoscere che il senso autentico della creazione come creatio ex nihilo del cosmo e della creatura spirituale è da tempo assai evanescente nella cultura, nella scienza e in misura minore nella teologia: se vi è un terreno bisognoso di un vigoroso lavoro filosofico e teologico è proprio questo. Mi si scuserà se dedicherò qualche attenzione in proposito.
Una autentica ecologia non può emergere se non ponendosi sotto la tutela della verità della creazione, e di un rapporto più profondo con Dio. La triade ‘Dio-uomo-mondo’ in cui si racchiude il nostro destino, si è ridotta nella modernità avanzata al solo secondo termine nel segno dell’antropocentrismo segnalato; e solo da poco si avverte un qualche recupero del nesso uomo-cosmo e uomo-terra, sotto la spinta delle scoperte fisiche e cosmologiche. Positivismo, nichilismo, tecnicismo, antropocentrismo, scientismo hanno in vario modo cancellato la creazione e la presenza di Dio in essa.

SAN TOMMASO E LA CREAZIONE
Ciò comporta un impoverimento dello stessa nozione di Dio. La crisi ecologica ripropone e impone la necessità di indagare i nessi tra l’uomo, la sfera della vita e Dio creatore. In tal senso l’enciclica Laudato sì apre nuovi spazi e richiama filosofi e teologi a riprendere la riflessione sulla creatio ex nihilo e sul rapporto tra Dio e il mondo19.
Creare è fondamentalmente donare l’essere, e non vi è nulla che non sia creato da Dio20. L’apporto maggiore dell’Aquinate alla questione cosmologica e creazionistica è l’idea ontologica, metafisica e non fisica di creazione, mentre nel contesto culturale contemporaneo la cosmologia filosofica e scientifica non sembrano riuscire ad evadere dall’ambito della fisica: cercano una spiegazione fisica ad un problema che a tale livello non ne ha. “Creare è fare qualcosa a partire dal nulla”; “ creare non è altro che produrre nell’essere qualcosa senza alcuna materia preesistente” 21. Uno dei massimi contributi di Tommaso e della filosofia dell’essere al pensiero universale è appunto la determinazione del concetto di creazione, illustrato sul piano metafisico e non su quello fisico e temporale22.
Su questi nuclei decisivi, compreso quello della persona, influisce poderosamente e negativamente la filosofia ricavata dal darwinismo, che rimane il punto di riferimento di tanti scienziati e di non pochi filosofi. Secondo J. Rachels “il darwinismo conduce inevitabilmente all’abbandono della dottrina della dignità umana e alla sua sostituzione con un genere differente di etica”, in cui gli esseri umani e gli altri animali non appartengano a categorie morali differenti23. Orbene, la dottrina della dignità dell’uomo si radica in due asserti, non necessariamente tra loro congiunti: l’idea che l’uomo sia l’unico essere dotato di ragione nell’universo, e l’idea che l’uomo sia fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Secondo Rachels la teoria darwiniana presa sul serio rende irragionevole la tesi dell’uomo fatto a immagine di Dio, e conduce al rifiuto dell’assunto che l’essere umano sia l’unico ragionevole. Dunque non vi sono veri motivi per sostenere la speciale dignità dell’uomo e perciò l’umanesimo. Rachels ammette che la sua critica non ha prodotto una vera e propria dimostrazione. Il suo intento è quello di minare, di decostruire, di esercitare il metodo della critica e del sospetto verso le tesi tradizionali, assumendo la piena verità della dottrina darwiniana.
Nell’intento di Rachels di mettere da parte la dottrina della dignità dell’uomo, si legge anche la volontà di escludere ogni riferimento alla creazione: il titolo del volume Creati dagli animali (non dunque da Dio) è esplicito e manifesta una vis anticreazionistica, che sarebbe avvalorata dalla “filosofia prima” dell’evoluzionismo. Negli ultimi decenni sono stati numerosi gli studi volti a sostenere una “creazione senza Dio”24. In varie forme di specismo e in genere nell’antispecismo è arduo leggere il riconoscimento dello statuto creaturale del cosmo, e l’implicazione che gli enti creati portino in sé qualche modalità di essere a immagine e somiglianza del Creatore. Scompaiono così i livelli diversi e ascendenti di somiglianza a Lui: somiglianza comune procedente dal fatto che gli enti creati vengono da Dio ed esistono; somiglianza in quanto vivono; somiglianza in quanto sono dotati di intelligenza. Il sensismo pone in confronto gli enti standosene solo al livello della sensazione di piacere-dolore, e dunque escludendo l’esame del loro variato rapporto col Creatore. In Rachels la critica rivolta alla differenza specifica e alla dignità dell’uomo conduce alla dissoluzione del concetto di persona: esso rimane come termine che però, svuotato di ogni significato reale, è nominalistico25.
7. L’uomo e gli animali. “Brulichino le acque d’un brulichio di esseri viventi, e volatili volino sopra la terra, sullo sfondo del firmamento del cielo” (Gen, 1, 20): i rettili e i volatili vengono dall’acqua e dalla terra, non l’uomo, creato direttamente da Dio. L’Aquinate osserva: “Nell’essere umano si riscontra il grado più perfetto della vita. E perciò la Scrittura non insegna che la vita umana sia prodotta dalla terra o dall’acqua, come per la vita degli altri animali, ma da Dio”26 .Viceversa “creati dagli animali” significa esattamente che l’essere umano non proviene dalla mano di Dio. Nella filosofia dell’evoluzionismo l’essere umano è interpretato alla luce dell’evoluzione fisica, non l’evoluzione alla luce e entro il finalismo che conduce all’uomo.

TUTTO È NATURA E FISICA? IL DOMINIO DELLA TECNICA
Mentre sarà possibile giustificare la dignità dell’uomo che discende da Dio creatore, come sarà possibile mantenerla se il Creatore è allontanato? L’Aquinate osserva che l’uomo “è orizzonte e linea di confine tra la natura spirituale e quella corporale, quasi medio tra le due”27. Ora, se Dio e il regno degli spiriti è negato, l’uomo non potrà più ‘stare in mezzo’, ma verrà respinto solo nel mondo dei corpi, corpo anch’esso. In base alla teoria dell’evoluzione e al suo senso materialistico immanente, l’uomo non è più confine tra due regni, ma ricompreso completamente in quello della corporeità e della mortalità: potremmo chiamare panfusismo (da physis) la posizione in cui tutto è natura e fisica. E in tal modo la necessaria ecologia dell’uomo, in cui questi deve rispettare la sua propria natura, verrà confinata al momento corporeo dell’umano dove non esiste differenza specifica e logos, e la tecnica cercherà di spadroneggiare28.
Cerco di riassumere il discorso svolto. Le posizioni darwiniane e neodarwiniane escludono ogni filosofia che possa andar oltre la fisica e l’evoluzionismo contemporanei, e si appropriano della nuova ‘filosofia prima’ dell’evoluzionismo, elevandola a paradigma di ogni possibile conoscenza. Molto spesso alla base di tale posizione vi è un rifiuto, o forse meglio una inconsapevolezza, dell’approccio metafisico della filosofia dell’essere e della metafisica della creazione. La postura intellettuale in cui prendono forma le dottrine suddette assume, forse senza neanche sospettarlo, che un divenire mondano senza Causa prima sia possibile e intelligibile. Non è solo la questione della creatio ex nihilo che è scomparsa, ma anche quella di rendere intelligibile il divenire o la mutatio nella dialettica in cui giocano l’atto, la potenza, la causa e il soggetto del mutamento accidentale e/o sostanziale.
 Dimenticando la Causa prima, viene svalutata la causalità reale delle creature e là dove ancora ne sussiste una pallida forma, essa viene ridotta alla causa efficiente del meccanicismo. L’Aquinate ha difeso la realtà delle cause seconde e la loro provenienza dalla causa prima: “E’ dunque necessario che le cose da Lui create ricevano da Lui la loro perfezione. Sottrarre qualcosa alla perfezione delle creature equivale a sottrarre qualcosa alla perfezione della virtù divina. Ora, se nessuna creatura  possiede qualche azione capace di produrre un qualche effetto, si toglierebbe molto alla perfezione della creatura; infatti alla sovrabbondanza della perfezione appartiene che la perfezione che qualcosa possiede possa essere comunicata ad altri” 29.
 8. Antropocentrismo secolarizzato e paradigma teocentrico-biblico. La questione dello specismo e dell’antispecismo è posta in un clima spirituale in cui in Occidente ha dominato lungamente un acuto antropocentrismo, non di rado secolarizzato e ateo, per il quale il creato quale primo dono di Dio all’uomo ha cessato di avere senso. La questione è primaria anche per l’opus theologicum, in quanto al necessario interesse della teologia del ‘900 per le realtà terrestri se ne è accompagnato uno alquanto scarso verso la natura e l’universo. Scrive il teologo anglicano A. Linzey: “La creazione esiste per il suo creatore. Secoli di antropocentrismo hanno quasi completamente oscurato questo punto fondamentale. […] Dal momento che la natura di Dio è amore, e dal momento che Dio ama la sua creazione, ne deriva che ciò che viene genuinamente donato e finalizzato da questo amore deve acquisire un qualche diritto relativamente al Creatore stesso”30.

LE DEBOLEZZE DELLA TEOLOGIA CRISTIANA
La teologia cristiana tradizionale moderna, occupata a difendere la persona umana dagli attacchi dei totalitarismi, delle biotecnologie, e dagli araldi di un postumano rivestito di volontà di potenza, ha faticato a correggere il marcato antropocentrismo secolarizzato di tante culture moderne, che riduceva il divino a predicato dell’umano, e che ovviamente innalzava a vette insuperabili la differenza uomo-animale; ma ha anche faticato e tuttora fatica a moderare le pretese di forme diffuse di antropocentrismo cristiano. La più alta necessità in cui versiamo attualmente è di elaborare un’ermeneutica della differenza specifica umana, che rifiuti la soluzione empirista e continuista che la annienta, e che congedi la versione antropocentrica di tale differenza, vincente per secoli. Il tema ecologico pullula di problematiche religiose, antropologiche e teologiche, e non si potrà che essere d’accordo con papa Francesco e la Laudato si’ per l’attenzione rivolta nella direzione giusta. Essi ci ricordano che la debolezza dei viventi e la loro cura dovrebbero avere priorità morale31.

I “TEODIRITTI” DEGLI ANIMALI: CHE COSA è LORO DOVUTO SECONDO GIUSTIZIA
In Animal Theology Linzey argomenta in favore dei diritti degli animali da un punto di vista teologico, sostenendo che la giustizia richiede una completa revisione del nostro modo di trattarli: “nel campo dei diritti dei non-umani il tempo è più che maturo per un cambiamento nel cuore della teologia stessa che conduca ad una rivalutazione etica globale” (p. 8). L’autore sostiene che vi sia un fondamento cristiano per i “teodiritti” degli animali, e che si leghi alle nozioni di rispetto e responsabilità che la migliore tradizione ha sostenuto, a partire da una visione teocentrica della creazione, la quale esiste per Dio: “Ne deriva che gli animali non possono più esser visti come dei mezzi per i fini dell’uomo” (p. 23). Alludere ai “diritti teologici degli animali” significa che “Dio gioisce delle vite di questi esseri differenti da noi, nella creazione vivificata dallo Spirito” (p. 24); diventa perciò necessario stabilire che cosa è loro dovuto secondo giustizia, in virtù del diritto del loro Creatore. A motivo della loro situazione di debolezza nei confronti dell’uomo, gli animali devono essere da questo tutelati come porzione più fragile nel contesto della creazione divina.
Di conseguenza le nozioni di rispetto e di responsabilità assumono il massimo rilievo: l’uomo è responsabile verso gli animali per esercitare nei loro confronti un dominio non dispotico, ma clemente e caritatevole, e si ripresenta la necessità di rivedere il nostro rapporto con loro. Merita ribadire che per “tradizionale concezione antropocentrica” Linzey non intende solo quella che si è imposta nella modernità secolarizzata, ma quella lungamente presente nella dottrina ecclesiale e nella teologia32.
Significative sono le riflessioni dell’autore a favore del vegetarianesimo: “Scegliere uno stile di vita vegetariano è fare un passo concreto verso il vivere in pace con il resto della creazione” (p.142), un passo verso la realizzazione dei «nuovi cieli e nuova terra» (Is 66,22) in cui, secondo il profeta Isaia, non vi sarà più violenza tra uomini e animali, né tra animali e altri animali (11,6-8)33, con un ritorno all’originario disegno espresso da Dio prima del Diluvio (Gn1,29-30).
Questo punto merita attenzione. Nel luogo appena citato Dio disse: “Ecco, io vi do ogni tipo di graminacee produttrici di semenza, che sono sulla superficie di tutta la terra, e anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: essi saranno il vostro nutrimento. E a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e che hanno l’alito di vita, io do come nutrimento ogni tipo di erba verde”. L’indicazione divina sembra volgere verso il vegetarianismo. Dopo il diluvio la prescrizione divina muta: “Ogni essere che si muove ed avrà vita sarà vostro cibo; come vi diedi le piante verdi, ora vi do tutto” (Gn 9,3). Manifesta è la difficoltà di comporre i due brani. Rileggendoli alla luce del loro contesto originale dovrebbero significare che il mondo in cui l’essere umano vive è stato corrotto. Ma Dio ha voluto una nuova relazione, una nuova alleanza con il genere umano, nonostante la sua violenza. Una parte di questa alleanza implica una nuova regola circa l’alimentazione umana. Ciò che precedentemente era proibito, può – nelle circostanze attuali – essere concesso. Solo dopo il diluvio il consumo di animali fu permesso, e più tardi venne inteso come concessione, sia alla debolezza umana che alla supposta scarsità di vegetazione commestibile. D’altro canto la comparsa dell’arcobaleno attesta l’alleanza sancita da Dio “con i volatili, con il bestiame e con tutte le fiere della terra…da tutti gli animali che sono usciti dall’arca a tutte le fiere della terra” (Gn 9,10).
A maggior ragione occorre rivitalizzare la questione dei doveri e della responsabilità verso il creato: un principio responsabilità che si affianchi al principio-persona, resi ancora più urgenti dall’impatto delle biotecnologie sulla vita e dall’era dell’antropocene34. Si può ritenere che esista un nostro dovere verso gli animali a non farli soffrire inutilmente a causa nostra, e forse a non impedire in vari casi l’unione tra maschio e femmina. Altri sottolineano che noi non abbiamo il diritto di ucciderli.
Sembra inoltre ragionevole ammettere un diritto all’esistenza di tutte le specie, nel quadro dell’equilibrio naturale, non invece un diritto all’esistenza dei singoli individui di specie non umane.

 INTEGRARE TOMMASO
9. La creazione, il discorso biblico, gli animali. Nella tradizione cristiana si è riflettuto lungo i secoli su temi quali il comportamento da tenere verso gli animali e le altre specie viventi; come intendere la portata del comandamento ‘non uccidere’; la destinazione delle piante agli animali e degli animali all’uomo; la conservazione delle specie animali e non anche dei singoli individui di ciascuna specie.
 In merito ho raccolto alcune posizioni dell’Aquinate che sono coerenti con il mainstream della tradizione teologica ma che andrebbero rilette e affinate in ordine ai nuovi problemi:
a) Sull’uccisione degli animali: “Nessuno pecca per il fatto che si serve di un essere in vista del fine per cui è stato creato. Ora, nella gerarchia degli esseri, i meno perfetti sono fatti per i più perfetti: come anche nell’ordine genetico si procede dall’imperfetto al perfetto. Come dunque nella generazione dell’uomo abbiamo prima il vivente, poi l’animale e finalmente l’uomo, così gli esseri che sono solo viventi, ossia le piante, sono fatte ordinariamente per gli animali, e gli animali sono fatti per l’uomo. Se quindi l’uomo si serve delle piante per gli animali e degli animali per gli uomini, in ciò non vi è nulla di illecito, come il Filosofo stesso dimostra. E il più necessario dei servizi è appunto quello di dare le piante in cibo agli animali, e gli animali in cibo all’uomo: il che è impossibile senza distruggere la vita. Quindi è lecito sopprimere le piante a uso degli animali, e gli animali a uso dell’uomo in forza dell’ordine stesso stabilito da Dio; infatti in Gen 1 [29] è detto: Ecco che io ho dato come cibo a voi e a tutti gli animali ogni erba e ogni albero da frutto. E in Gen 9 [3]: Quanto si muove e ha vita sarà per voi cibo” (in questo secondo brano si allude all’alleanza noachica).
  Nelle risposte alle obiezioni si aggiunge: “Secondo l’ordine stabilito da Dio, la vita degli animali e delle piante non viene conservata per se stessa, ma per l’uomo. Per cui Agostino scriveva: Secondo l’ordine sapientissimo del Creatore la loro vita e la loro morte sono subordinate al nostro vantaggio». Le piante e gli animali non hanno la vita razionale, in modo da autogovernarsi, ma sono sempre come governati dall’esterno mediante un istinto naturale. E in ciò abbiamo il segno che essi per natura sono subordinati e ordinati all’uso di altri esseri“35.
b) Sul rapporto uomo-animale: “Tutti gli animali sono soggetti all’uomo, o completamente come i mansueti, o in parte per gli altri”36.
c) Sulla conservazione delle specie o anche degli individui: Secondo Tommaso l’intenzione della natura è di conservare le specie animali, non i singoli individui, mentre ciò non vale per l’uomo in cui ciascuno è irripetibile. L’assunto dell’autore è che le specie siano in qualche modo eterne, destinate a durare per sempre: “Quindi, poiché nelle cose corruttibili nessuna è permanente e capace di durare per sempre eccetto le specie, ne segue che lo scopo principale della natura è il bene della specie alla preservazione della quale è ordinata la generazione naturale. D’altro canto le sostanze incorruttibili sopravvivono non solo nelle specie ma anche negli individui; e perciò anche gli individui sono inclusi nello scopo principale della natura”37. Un pensiero analogo è sostenuto da G. Leopardi nello Zibaldone (20 agosto 1821), secondo cui la natura non si occupa degli individui, ma solo dei generi e delle specie.
 Dall’insieme si coglie che l’etica intraspecifica e quella interspecifica sono in buona misura diverse, e che anzi all’uomo è assegnato un primato che andrebbe ulteriormente articolato e determinato. Non sembra emergere la questione della sofferenza animale.
 

IL CANTICO DELLE CREATURE
10. Il Cantico delle creature, il libro di Daniele, lo starec Zosima.
Il Cantico delle creature di san Francesco è diventato l’emblema dell’ecologia creazionistica e il riferimento primario dell’enciclica Laudato sì. Leggendo il Cantico ci accorgiamo che le “figure” cui san Francesco si rivolge sono: sole, luna, stelle, terra, vento, acqua, fuoco, frutti, fiori, erba. Non appaiono espressamente gli animali. Francesco ribadisce il carattere divino della creazione in ogni suo aspetto: tutte le creature nominate, anche le minime, sono chiamate fratello o sorella, un’uguaglianza derivante dalla comune origine divina. Non tutti gli uomini però sono ugualmente degni di lode, ma solo quelli capaci di perdonare il male, di conquistare la pace e la serenità dello spirito. La gioia e la benedizione pervadono il cantico, dove non compare l’opera umana, il lavoro: forse l’uomo che lavora non congiunge le mani nella preghiera, ma manipola e si affanna per produrre nuovi beni. Qui Francesco sembra distanziarsi dalla mentalità mercantile che andava crescendo.
La mente si volge anche al brano del libro di Daniele (Dn 3, 52-90), in cui si proclama una benedizione universale dell’intera creazione verso il Signore: il firmamento del cielo, il sole e la luna, il vento, il freddo e il caldo ed ogni altra creatura animata e inanimata benedicono il Creatore. La lode a Dio include quella per la sua provvidenza. Basti qui richiamare le immagini dei leoncelli e dei piccoli corvi che attendono da Dio il loro pasto (Sal 104,21; Gb 38,41). Nel Salmo 148 sole e luna, cetacei e abissi del mare, lampi e grandini, nevi e piogge, monti, colli, alberi, belve feroci e animali domestici, rettili e uccelli pennuti sono chiamati a unire le loro voci in un coro di lodi al Signore.
Pensieri che si ritrovano nello starec Zosima in I fratelli Karamazov: “Amate tutta la creazione divina nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Per ogni minima foglia, per ogni raggio del sole di Dio, abbiate amore. Amate gli animali, amate le piante, amate le cose tutte. Se amerai tutte le cose, penetrerai nelle cose il mistero di Dio…Gli animali abbiano l’amor vostro; ad essi il Signore ha donato un germe di pensiero e una gioia imperturbabile. Non turbatela voi, non li fate soffrire, non togliete loro la gioia, non contrastate il disegno di Dio. Uomo, non ti fare grande di fronte agli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insudici la terra dal tuo apparire, lasci dietro di te la tua sudicia traccia, e questo purtroppo è vero quasi per ognuno di noi”38.
 

DISCRIMINAZIONE E DIFFERENZA
11. Discriminazione, differenza e sfruttamento: un chiarimento. Sul tema della discriminazione, chiamato in causa ad ogni angolo di strada e non di rado più a sproposito che a ragione, occorre riflettere con chiarezza, dal momento che non ogni differenza o differenziazione implica di per sé discriminazione, come spesso si sostiene nella polemica politica e mediatica contemporanea. L’accusa di discriminazione e sfruttamento viene sollevata dagli antispecisti con grande frequenza: “negare agli animali ogni rispetto perché non appartengono alla nostra specie, oppure perché non hanno un’intelligenza simile alla nostra, è discriminazione. Se fossimo realmente imparziali dovremmo rifiutare qualunque tipo di discriminazione, anche quella di specie”. E’ fondamentale dunque stabilire in che cosa consista una discriminazione. Secondo il suo significato immanente, che ha a che fare con la giustizia, vi è discriminazione quando si trattano in modo diverso soggetti umani, uguali per la loro dignità, in ordine ai temi del lavoro, del sesso, della religione, etc. Non vi è discriminazione quando si trattano diversamente realtà e atti diversi, come quando si riconosce una paga maggiore a chi ha contribuito di più nel lavoro. Appare infondato sostenere che realtà e azioni diverse debbano essere trattate ugualmente e che il non farlo sarebbe discriminatorio; non ogni differenziazione è una discriminazione.
Non si potrebbe allora dire che tutti gli organismi senzienti meritino la stessa considerazione morale, né che il differenziare tra le specie sia una forma di discriminazione verso chi non appartiene a una certa specie: differenza e discriminazione non sono la stessa cosa. Si può discriminare solo tra eguali, non tra diversi o differenti: non vi è discriminazione tra cavallo e cane se il cavallo viene nutrito diversamente dal cane. Esistono diverse classi di “alterità” che vanno esaminate per stabilire il loro statuto ontologico e parallelamente la considerazione morale che meritano.
Il tema della discriminazione viene evocato non solo in merito al rapporto generale tra uomini e animali, ma anche riguardo al trattamento da riservare alle singole specie animali. Il modo in cui ciò accade e l’intensità variano di luogo in luogo e, in alcune zone, certi animali sono trattati peggio di altri: i cani, le mucche e i maiali vengono considerati in modo diverso a seconda della società in cui ci si trova. La carne di gatto in genere non viene mangiata, quella dei polli o dei pesci sì. Vi sarebbe dunque una seconda discriminazione, quella per cui gli esseri umani avrebbero un rispetto differenziato secondo le specie animali: si può avere più rispetto per un cane che per un maiale, o per i mammiferi rispetto agli altri animali.
Problema analogo a quello della discriminazione è quello dello sfruttamento. Secondo gli antispecisti gli esseri umani sfruttano gli animali durante tutta la loro esistenza, adoperandoli come forza o risorsa per numerosi lavori, consumandoli come cibo, utilizzandoli per il vestiario, e dunque attribuendo loro una considerazione morale differenziata o anche nulla.
L’ambiguità e l’incoerenza insite nel ricorrere al criterio di non-discriminazione nel rapporto uomo-animale non implicano che non esistano doveri verso gli animali, tra cui massimo quello di non farli soffrire inutilmente39. Non solo gli esseri umani soffrono, ma anche gli animali patiscono sofferenza: del loro soffrire possiamo avere qualche idea volgendoci verso gli animali domestici, in specie i cani, animale domestico per eccellenza e dotato di uno psichismo particolarmente evoluto. Il fatto che per millenni i bambini siano stati severamente castigati non è un lenitivo per la sofferenza dei cani bastonati. Sostenere l’unicità dell’essere umano e la sua non riducibilità al livello animale non implica far soffrire gli animali, né un suo dominio dispotico sugli altri viventi.
Particolarmente sentiti sono i temi della macellazione e della sperimentazione animale. Alcuni ritengono che esista un rapporto tra macellazione e sfruttamento degli animali, e quelli degli esseri umani: secondo Ch. Patterson prima gli esseri umani sfruttano e macellano gli animali, poi trattano gli altri esseri umani come animali e si comportano nei loro confronti allo stesso modo. Quando si diffamano le persone come animali – chiamandole topi, maiali, cani, scimmie, insetti parassiti – si apre la porta al loro sfruttamento e alla loro distruzione40. Patterson adduce varie citazioni di autori antichi e moderni. Ovidio: “La crudeltà verso gli animali è il tirocinio della crudeltà verso gli uomini”; Montaigne: “Le nature sanguinarie nei riguardi degli animali rivelano una naturale inclinazione alla crudeltà”; Pitagora: “Coloro che uccidono gli animali e ne mangiano le carni saranno più inclini dei vegetariani a massacrare i propri simili”. Tra i moderni Tolstoj in Il primo gradino sostenne che l’uomo, il quale cerca seriamente e sinceramente di progredire verso il bene, dovrà privarsi per prima cosa dell’alimentazione carnea.
 12. Ateismo, specismo, antispecismo. Una domanda intrigante chiede se l’ateismo e l’umanesimo antropocentrico siano stati specisti nel senso di elevare una differenza tra uomo e animale. Secondo i canoni degli antispecisti Sartre era specista quando dichiarava: “Noi vogliamo istituire il regno umano come un insieme di valori distinti dal regno animale”42. L’ateismo a base scientista non mostra una chiara inclinazione animalista, forse neanche nel caso della sperimentazione animale. In effetti varie associazioni atee e razionaliste danno grande importanza alla ricerca scientifica e al progresso tecnologico, e non sono in genere contrarie alla sperimentazione animale: in fin dei conti per loro è la scienza che ha sostituito la religione dimostrando di essere quella che alla lunga mostra di raggiungere veri risultati.

 LA CRISI ECOLOGICA RIMETTE IN GIOCO IL PENSIERO
Conclusioni
A) La questione ecologica ha richiamato tutti all’urgenza di occuparsi del degrado del creato come di un problema grave e incalzante. Tutto questo richiede un cambiamento di mentalità. Da tempo risulta che il progetto di dominio tecnologico della natura esplicatosi nella modernità include il dominio della natura umana: la conquista della natura esige quella dell’uomo. Ne segue che l’idea di una natura umana essenziale e stabile, in quanto pone limiti alla suddetta conquista, deve essere negata: tutto è trasformabile completamente, anche la natura o essenza umana; a mio parere transumanesimo e postumanesimo mirano verso questo esito senza averne piena coscienza, perché  una cosa è il potenziamento umano, un’altra il tentativo di mutare l’essenza umana. Questa persuasione è ad un tempo causa ed effetto dell’assunto che tra esseri umani ed animali non esista una differenza ontologica invalicabile.
Tre fattori primari di ordine filosofico e teologico influiscono più di altri: le difficoltà che incontra un’idea integra di persona a causa dell’atteggiamento generale della cultura a favore del sensismo, del materialismo, del funzionalismo (ossia la persona ridotta ad un insieme di funzioni); la marginalità della dottrina della creazione e l’intento di fare a meno di Dio, considerato un’ipotesi non necessaria; l’assunto che la teoria dell’evoluzione non sia solo una posizione scientifica ma anche una sorta di concezione filosofica fondamentale, alla cui luce pensare il tutto. La crisi ecologica ripropone la necessità di indagare i nessi tra l’uomo, la sfera della vita e Dio creatore. L’enciclica Laudato sì apre nuovi spazi e richiama necessità un poco dimenticate. Tra queste vi è la cura della biodiversità: la diversità e la distinzione tra le cose è un segno di ricchezza e di completamento reciproco tra gli enti, che ha all’origine Dio creatore41.
La cura della casa comune è urgente eppure deve rispondere ad alcune condizioni primarie, tra cui: mantenere il valore della differenza specifica, intesa in senso creaturale e non antropocentrico; sviluppare un’etica di rispetto verso il creato e gli animali, prendendo sul serio la minimizzazione delle loro sofferenze e dello sfruttamento, un loro impiego che non li riduca a meri strumenti dell’uomo, e avendo verso di loro un atteggiamento responsabile e non dominativo. Il riposo sabbatico concerne anche l’animale che nel settimo giorno non deve esser fatto lavorare (cfr. Es 20, 8-11).
B) In genere il pensiero animalista si muove tra due orientamenti diversi: una posizione libertaria, e una ecologica. La prima, che trae origine da una filosofia perlopiù non personalista dei diritti umani, si propone di promuovere l’allargamento dei diritti di eguaglianza anche agli animali non umani. La seconda elabora una prospettiva imperniata sul rapporto tra esseri umani e ambiente, e sulla questione degli animali non umani.
In entrambi i casi, quando la sfera della vita comprende tutti gli esseri biologicamente viventi, la nozione stessa di diritto diventa sfuggente e perde buona parte del suo significato. Non perde invece senso la chiara responsabilità degli esseri umani verso la sfera della vita e i viventi: il legame di specie di per sé non implica una posizione specista in senso peggiorativo, ossia che escluda o maltratti le altre specie.
Fa parte della dignità umana e della sua vocazione il poter sviluppare una simpatia verso le altre specie e allargare la considerazione morale verso una solidarietà ampliata, in cui si riconosca che gli animali sono anch’essi creature e che verso di loro vi è una giustizia da praticare. Per camminare verso questi esiti non vi è bisogno di attribuire lo statuto di persona anche agli animali, né di negarlo anche all’uomo, ma di far sorgere in lui il senso del rispetto e della cura della vita.
C) Non è pensabile che la questione ecologica sia risolubile affidandosi al mito del progresso secondo cui essa sarà gestita semplicemente con nuove applicazioni tecniche, senza considerazioni etiche né cambiamenti di fondo. Al motto olimpico – che per A. Langer simboleggia l’economia competitiva moderna – Citius, Altius, Fortius (più veloce, più alto, più forte), egli ha contrapposto i valori che dovrebbero fondare un diverso modello di sviluppo: Lentius, Profundius, Suavius (più lento, più profondo, più dolce). E’ segno di saggezza sollecitare un impegno di vita che si realizzi nel rifiuto del consumismo, dello spreco, dello sfruttamento e nella gestione equa delle risorse e di beni essenziali nel rispetto dell’equilibrio biosferico. La terra, le piante, gli animali non hanno bisogno di noi, mentre noi abbiamo bisogno di loro, e per questo non dobbiamo far loro guerra. Inoltre noi apparteniamo alla terra, mentre questa non appartiene a noi. Esistere è coesistere43.

(Università di Venezia)
Relazione tenuta alla Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino (Roma, 16-18 giugno 2017):
“God the Creator in saint Thomas and the Care of Common House”

Annesso I. Classificazione degli organismi senzienti
L’annesso è tratto da: BBC – Ethics – Animal ethics: Moral status of animals, www.bbc.co.uk/…s/animals/rights/moralstatus_1.shtml. Lo riproduciamo in quanto include una significativa classificazione degli organismi senzienti, ponendo alla base i criteri di autocoscienza, coscienza, e capacità di sentire dolore e piacere. La classificazione appare empirica e forse vuole presentarsi come tale, eppure in essa è soggiacente un’intera filosofia del senziente in cui non vi sono confini ontologici chiari tra i diversi organismi, e la nozione di persona non è evocata: il primo gruppo include la maggior parte degli esseri umani ma non tutti. Ciò sembra significare che a coloro che non ne fanno parte sarebbe possibile riconoscere una considerazione morale minore.
Sentient organisms that are self-aware
Sentient organisms that are aware of their own existence and would prefer to continue to exist deserve full moral consideration because:
They experience pain and pleasure
They are aware of their own existence and context
They prefer to experience pleasurable lives
They prefer to stay alive
This group includes most human beings and the higher animals.
Sentient organisms that are not self-aware
Sentient organisms that are not self-aware and don’t have any idea of continuing to exist in the future deserve some moral consideration because:
They can feel pain and pleasure
They prefer to avoid pain
They prefer to experience pleasure
It is wrong to cause pain to members of this group
Killing and replacing individuals in this group is not significant, because one individual is not significantly different from another
This group includes animals like fish and rodents.
Inanimate objects and insentient organisms
These deserve no moral consideration because it doesn’t make sense to talk of treating them badly or well. This is because:
They can’t feel
Nothing can matter to them
Self-aware organisms
Sentient organisms (see above) can be divided into two groups:
those that are merely conscious
those that are aware of themselves as
beings that are alive
beings that have been alive in the past
beings that would prefer to stay alive
The first group experience pain and pleasure but don’t think about themselves in any meaningful way.

Annesso II – Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale (DUDA)
Nel 1978, il 26 gennaio a Bruxelles e il 15 ottobre a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, molte associazioni europee e internazionali presentarono e proclamarono la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale”, proponendo l’etica del rispetto verso l’ambiente e tutti gli esseri viventi, scevra di antropocentrismo.
 Ne riporto qui il testo ed il commento che ne propone la LIDA (Lega Italiana per i Diritti dell’Animale), senza a mia volta avanzare annotazioni, che in alcuni punti sarebbero opportune in rapporto alle posizioni espresse nel mio contributo.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale
PREMESSA
Considerato che ogni animale ha dei diritti;
considerato che il disconoscimento e il disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l’ uomo a commettere crimini contro la natura e contro gli animali;
considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto all’esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo;
considerato che genocidi sono perpetrati dall’ uomo e altri ancora se ne minacciano;
considerato che il rispetto degli animali da parte degli uomini è legato al rispetto degli uomini tra loro;
considerato che l’educazione deve insegnare sin dall’infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali.
SI PROCLAMA:
Articolo 1
Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza
Articolo 2
a) Ogni animale ha diritto al rispetto; b) l’uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali o di sfruttarli violando questo diritto. Egli ha il dovere di mettere le sue conoscenze al servizio degli animali; c) ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell’uomo.
Articolo 3
a) Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli; b) se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, né angoscia.
Articolo 4
a) Ogni animale che appartiene a una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi; b) ogni privazione di libertà, anche se a fini educativi, è contraria a questo diritto.
Articolo 5
a) Ogni animale appartenente ad una specie che vive abitualmente nell’ambiente dell’ uomo ha diritto di vivere e di crescere secondo il ritmo e nelle condizioni di vita e di libertà che sono proprie della sua specie; b) ogni modifica di questo ritmo e di queste condizioni imposta dall’uomo a fini mercantili è contraria a questo diritto.
Articolo 6
a) Ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità; b) l’abbandono di un animale è un atto crudele e degradante.
Articolo 7
Ogni animale che lavora ha diritto a ragionevoli limitazioni di durata e intensità di lavoro, ad un’alimentazione adeguata e al riposo.
Articolo 8
a) La sperimentazione animale che implica una sofferenza fisica o psichica è incompatibile con i diritti dell’ animale sia che si tratti di una sperimentazione medica, scientifica, commerciale, sia di ogni altra forma di sperimentazione; b) le tecniche sostitutive devono essere utilizzate e sviluppate.
Articolo 9
Nel caso che l’animale sia allevato per l’alimentazione deve essere nutrito, alloggiato, trasportato e ucciso senza che per lui ne risulti ansietà e dolore.
Articolo 10
a) Nessun animale deve essere usato per il divertimento dell’ uomo; b) le esibizioni di animali e gli spettacoli che utilizzano degli animali sono incompatibili con la dignità dell’animale.
Articolo 11
Ogni atto che comporti l’uccisione di un animale senza necessità è un biocidio, cioè un delitto contro la vita.
Articolo 12
Ogni atto che comporti l’uccisione di un gran numero di animali selvaggi è un genocidio, cioè un delitto contro la specie; b) l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente naturale portano al genocidio.
Articolo 13
a) L’animale morto deve essere trattato con rispetto; b) le scene di violenza di cui gli animali sono vittime devono essere proibite al cinema e alla televisione a meno che non abbiano come fine di mostrare un attentato ai diritti dell’animale.
Articolo 14
a) Le associazioni di protezione e di salvaguardia degli animali devono essere rappresentate a livello governativo; b) i diritti dell’ animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo.

Lo spirito della DUDA
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale costituisce una presa di posizione filosofica riguardo ai rapporti futuri tra la specie umana e le altre specie. All’alba del XXI secolo essa propone infatti all’uomo le norme di un’ETICA che dovrebbe essere fermamente e chiaramente espressa nel mondo attuale, già così turbato, minacciato di distruzione e nel quale violenza e crudeltà esplodono in ogni istante.
L’EGUALITARISMO della “Dichiarazione” deve essere ben compreso: l’affermazione dell’art. 1: “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza ” non esprime un’eguaglianza di fatto tra le specie, ma un’eguaglianza di diritti, non nega cioè le evidenti differenze di forme e di capacità esistenti tra gli animali, ma afferma il diritto alla vita di tutte le specie nel quadro dell’EQUILIBRIO NATURALE.
L’ uomo, nel corso del tempo, ha stabilito un codice di diritti relativi alla propria specie; ma, nei confronti dell’universo, non dispone di alcun particolare diritto. L’uomo è, in effetti, una delle specie animali terrestri, e una delle più recenti comparse sulla terra. La Vita non appartiene alla specie umana, l’uomo non è né il creatore né il detentore; la vita appartiene tanto all’insetto che al pesce, tanto al mammifero che all’uccello.
L’ uomo ha invece creato nel mondo vivente una gerarchia arbitraria che non esiste in natura, tenendo conto solamente della propria utilità.
Questa gerarchia antropocentrica ha condotto allo SPECISMO, che consiste nell’adottare un atteggiamento differente secondo le specie, nel distruggerne alcun proteggendone altre, nel dichiarare che certe specie sono “utili”, altre “nocive”, o “crudeli”. Per causa dello SPECISMO alcuni proteggono il cane e il gatto, mentre non si preoccupano degli animali selvatici imprigionati negli zoo, oppure proteggono le aquile e perseguitano le talpe.
Come il “razzismo”, che nega a certi uomini quei diritti che altri uomini si attribuiscono, si può definire un CRIMINE CONTRO L’UMANITA’, così lo “specismo”, che stabilisce una gerarchia di diritti nel mondo, è un CRIMINE CONTRO LA VITA .
L’uomo ha il dovere di rispettare la Vita in tutte le sue forme:
– rispetto per gli habitat e per gli animali selvatici (quindi rinuncia o riduzione di caccia e pesca);
– rinuncia all’uso di animali per divertimento o pseudocultura (zoo e circhi);
– rinuncia all’addomesticamento autoritario di alcune specie:
a) per fini alimentari (allevamenti intensivi, trasporti, macellazioni)
b) per fini commerciali e sportivi (cani, gatti, cavalli e altri animali)
c) per l’abbigliamento (animali da pelliccia);
– rinuncia all’uso di animali per la ricerca biomedica, industriale, cosmetica, didattica,ecc.;
– rinuncia ai maltrattamenti, alle crudeltà, agli abbandoni di animali domestici;
– rinuncia all’uso, alla tortura, all’uccisione di animali a scopi di divertimento (corride, combattimenti di cani, rodei, corse, feste sadiche, ippica)
Ciò significa che la specie umana deve modificare il suo modo di pensare per rinunciare progressivamante alla sua attitudine antropocentrica, come ad ogni comportamento zoolatrico, per adottare un comportamento BIOCENTRICO fondato sulla tutela della Vita. In questo senso la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale è una tappa importante della cultura umana.
Alla luce dei più recenti studi della moderna biologia la “Dichiarazione” propone le norme di un’ etica fondata sul diritto all’esistenza di tutte le specie, nel quadro dell’equilibrio naturale. Ne deriva per l’uomo il dovere di rispettare la Vita in tutte le sue forme nel rispetto dell’UNITA’ e, al tempo stesso, della DIVERSITA’ degli esseri viventi; ne deriva ancora l’impegno ad una lotta pacifica ma ferma per ridurre ed eliminare la sofferenza, la tortura, la distruzione nell’ambito della comunità biologica a cui l’uomo appartiene e dalla quale dipende.

NOTE
1 In Italia sono vivaci le ricerche di Biodiritto. Ne fa fede tra le altre cose il Trattato di biodiritto, a cura di S. RODOTÀ e M. TALLACCHINI, Giuffrè Editore, Milano 2010, in 8 volumi.
2 E’ bene ricordare che razzismo e specismo non sono sovrapponibili in quanto il primo si rivolge a membri dell’unica specie umana entro cui cerca di elevare differenze, mentre lo specismo pone alcune specie sopra le altre.
3 R.D. RYDER, Victims of Science: The Use of Animals in Research, Davis Poynter, London 1975 e ID., Animal Revolution: Changing Attitudes towards Speciesism, Basil Blackwell, Oxford 1989.
4 Si veda http://humanityplus.org/philosophy/transhumanist-faq/#answer_37.
5 Il concetto di discriminazione, oggi impiegato in modo ubiquo e non di rado retorico, richiede chiarificazioni necessarie e cautele su cui mi soffermerò più avanti, e senza le quali diventa un termine per tutte le stagioni.
6 L’antispecismo ha dato vita a numerose rivendicazioni per l’uguaglianza animale, tra cui l’estensione alle scimmie antropomorfe di alcuni diritti umani.
7 J. BENTHAM, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, W. Pickering, London 1823, cap. 17. Un atteggiamento analogo si riscontra nel pensiero di Schopenhauer che, partendo dalla pietà verso tutti gli esseri viventi, assume la difesa degli animali, “ai quali negli altri sistemi morali europei si provvede così imperdonabilmente male”,  Il fondamento della morale, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 245. Alla base della sua posizione sta l’assunto che l’essenza principale dell’uomo e dell’animale sia la stessa (il volere), mentre la differenza secondaria si riporta alla facoltà conoscitiva che nell’uomo è più alta a motivo del maggiore sviluppo cerebrale (p. 248). Anche in questo caso viene negata la differenza specifica.

8 Cfr. P. SINGER, Liberazione animale, Il saggiatore, Milano 2003, p. 18. Diversa è la tesi fondamentale di Tom Regan per il quale gli animali non-umani sono soggetti di vita, esattamente come gli esseri umani, e che, se si accetta l’idea di dare valore alla vita di un essere umano a prescindere dal grado di razionalità che questi dimostra, allora si deve dare un valore simile anche a quella degli animali non-umani. Gli esseri viventi hanno valore intrinseco. Regan conclude quindi che tutte le pratiche che implicano l’utilizzo degli animali come mezzi per un fine sono sbagliate: allevamento di qualsiasi tipo, caccia, esperimenti di qualsiasi tipo, a prescindere da possibili risultati importanti. Cfr. T. REGAN, I diritti animali (The Case for Animal Rights, 1983), Garzanti, Milano 1990.
 9 Le posizioni del “Painismo” (Pain in inglese significa dolore o sofferenza) sono esposte in “Proposte per un manifesto antispecista” (http://www.manifestoantispecista.org/web/painismo-una-teoria-morale-del-dolore/). Esso è una teoria morale che aiuta a stabilire se un’azione che crea dolore è moralmente giusta o sbagliata, e a decidere se compiere o no quell’azione. Il Painismo dichiara che la capacità di sentire dolore è il solo interesse moralmente rilevante – non fattori come il grado di coscienza, razionalità o intelligenza, come in un topo in rapporto ad un cane, o un cane in rapporto ad un essere umano – e che l’azione morale giusta dovrebbe essere basata sulla diminuzione della sofferenza di quegli individui che soffrono di più. Il Painismo è una risposta all’Utilitarismo: quest’ultimo è una teoria morale che afferma che un’azione è moralmente giusta se ne beneficia il più grande numero di esseri. Il Painismo afferma che la giustezza delle azioni non dipende dal numero di individui che guadagnano da tali azioni contro il numero di individui che perdono a causa di queste. Al contrario dell’Utilitarismo, il Painismo non permette a una minoranza di soffrire per il bene della maggioranza.
 10 Il cristianesimo riconosce la sofferenza animale. Eloquente è la frase di Paolo ai Romani in cui la creazione geme e soffre unitamente le doglie del parto (Rm 8, 22). Essa smentisce il meccanicismo cartesiano e postcartesiano (si pensi a Malebranche) che negano agli animali l’anima sensitiva e ogni capacità di esperire piacere e dolore. Purtroppo nell’era moderna ha prevalso largamente l’atteggiamento meccanicistico verso gli animali.
 11 Sull’antiessenzialismo dominante cfr. H. JONAS, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1990, e il mio Il Nuovo Principio Persona, Armando, Roma 2013.
12 Su questi aspetti rinvio a V. POSSENTI, Diritti umani. L’età delle pretese,Rubbettino, Soveria 2017.
 13 S. Th., I, q. 29, a. 4.
 14 Enciclica Laudato sì, n. 118.
 15 “Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti”, Ibid., n. 90.
“Questa situazione ci conduce ad una schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano. Ma non si può prescindere dall’umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo…. Un antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità”, Ibid., n. 118.
 16 S. Th., I, q. 50, a. 4, 1m. Cfr. anche: “Ora, l’elemento da cui si desume la differenza costitutiva della specie sta sempre in rapporto all’elemento da cui si desume il genere come l’atto alla potenza”, I, q. 3, a. 5; q. 50, a. 2, 1m.
17 Cfr. R. SPAEMANN e R. LÖW, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico, Ares, Milano 2013.
 18 « La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto », BENEDETTO XVI, Discorso al Reichstag, Berlino, 22 settembre 2011.
 19 Per quest’ultimo aspetto vedi V. POSSENTI, Sul rapporto tra Dio e il mondo, “Per la filosofia”, n. 84, gennaio-aprile 2012, pp. 33-51.
 20 Cfr. De Potentia, q. 3, a. 5.
 21 Cfr.  S. Th., I, q. 45, a. 1; CG, , l. II, c. 16.
22  Per un’elaborazione approfondita di questo nucleo decisivo rinvio al cap. VII (“Creazione dal nulla e big bang”) del  mio Ritorno all’essere. Addio alla metafisica moderna, Armando, Roma 2019.
23 J. RACHELS, Creati dagli animali, Ed. di Comunità, Milano 1996, p. 202 (il corsivo è mio). La negazione esplicita della differenza tra uomo e animale è sostenuta da P. Singer in Liberazione animale, cit., e La vita come si dovrebbe, Il saggiatore, Milano 2001. Rachels ha cercato di oltrepassare la tesi della differenza conoscitiva tra scienza e saperi di altro tipo, in base alla quale la teoria dell’evoluzione non dovrebbe avere implicazioni al di fuori delle scienze naturali. Lasciandosi alle spalle la cosiddetta ‘legge di Hume’ secondo cui non si possono derivare conclusioni etiche dalla semplice osservazione dei fatti, egli analizza i fondamenti della morale tradizionale, cristiana ed occidentale, alla luce della teoria darwiniana. Rachels presenta un universo antibiblico e un ‘creazionismo al contrario’, con conseguente destituzione dell’uomo.
 24 Per l’Italia vedi T. PIEVANI, Creazione senza Dio, Einaudi, Torino 2006, in cui è ribadito l’assunto della non necessità di ipotesi trascendenti, in quanto il darwinismo è sufficiente a spiegare la storia naturale dell’uomo. Nulla si dice sul fatto che, esistendo l’uomo e l’universo, sorgono domande come: da dove sono provenuti? Vi sono sempre stati o sono creati? L’insufficienza di questo tipo di pensiero consiste in ciò: ponendosi deliberatamente sul piano della fisica e del divenire (mutatio), ed escludendo il piano metafisico della creatio e delle cause del divenire, pretendere di trarre da considerazione fisiche una teoria metafisica volta verso la non-necessità del Creatore. Il metodo è analogo a quello di Rachels: insinuare dubbi ed elevare obiezioni, pur mantenendo una certa consapevolezza, più o meno esplicita, di non aver prodotto dimostrazioni.
 25 Sulla dissoluzione dell’idea di persona e quanto si può chiamare il “nichilismo del Neutro” cfr. V. POSSENTI, Nichilismo e metafisica. Terza navigazione, Armando, Roma 2004 e ID., Il Nuovo Principio Persona, cit., 2013.
 26 S. Th., I, q. 72, a. 1, ad 1.
 27 TOMMASO D’AQUINO, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, l. 3, Prologo.
 28 Sulla potenza e impotenza della tecnica, vedi V. POSSENTI, La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino 2013.
 29 Contra Gentes, l. 3, c. 69.
30 A. LINZEY, Animal theology, University of Illinois Press, Urbana-Chicago, IL 1995. Trad. it., Teologia animale. I diritti animali in prospettiva teologica, Edizioni Cosmopolis, Torino 1998, p. 23, da cui trarremo pure le successive citazioni.
 31 Cf. anche T. REGAN – A. LINZEY, Gli animali e il cristianesimo. Per un’etica compassionevole (Animals and Christianity: A Book of Readings, 1989), Sonda, Casale Monferrato 2012; M. DAMIEN, Gli animali, l’uomo e Dio (1978), trad. it. di N. NERI, Casale Monferrato, Piemme 1994.
 32 Linzey esamina e critica la posizione dell’Aquinate sugli animali, diventata prevalente nella Scolastica ed oltre sino ai nostri giorni, ritenendola poco biblica ed eccessivamente dipendente dall’aristotelismo. Un punto notevole concerne la possibilità di nutrire amicizia e carità verso gli animali. Secondo Tommaso “L’amicizia della carità non è possibile verso le creature prive di ragione. Tuttavia possiamo amare queste creature come beni da volere ad altri: poiché la carità ci fa volere che esse si conservino a onore di Dio e a vantaggio dell’uomo. E in questo senso anche Dio le ama con amore di carità”, S. Th., II II, q. 25, a. 3. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica risultano rilevanti i nn. 2014-2018, in cui si richiede il rispetto dell’integrità della creazione e degli animali e si sostiene che farli soffrire inutilmente è contro la dignità umana.
 33 «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà». Espressioni analoghe in Osea: “In quel tempo…farò un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con tutti i rettili del suolo, arco e spada e guerra eliminerò dal paese” (Os 2,20)
 34 Lo sconvolgimento dell’ecologia umana e dei rapporti umani fondamentali provocato dalle biotecnologie e dall’ingegneria genetica non sembra tuttora esser stato valutato in modo appropriato e coerente dall’insegnamento sociale e morale della Chiesa. In merito vedi V. POSSENTI, “Sinodo 2015: interrogativi irrisolti sulle biotecnologie”, “La Società”, n. 4, luglio-agosto 2015, pp. 144-151.
 35 S. Th., II II, q. 64, a, 1.
 36 S. Th., I, q. 96, a. 1.
 37 S. Th., I, q. 98, a.1.
38 F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, P. II, libro VI, Gherardo Casini edit., Roma 1954, p. 391.
39 Molteplici e crescenti sono i problemi dell’etica animale sia generale sia applicata. Essi riguardano se sia lecito deprivare della vita un animale, i modi diversi di macellazione (dissanguamento, proiettile), le modalità di impiego degli animali per evitarne lo “sfruttamento” che per la maggior parte è a fini alimentari, ludici e per il vestiario. Gli antispecisti radicali sostengono che l’uomo può nutrirsi per tutto il corso della sua vita con una dieta vegetariana e la sua sopravvivenza non è legata agli spettacoli che utilizzano animali o all’uso di materiali di origine animale per l’abbigliamento. Crescente rilievo assume l’allevamento industriale degli animali destinati all’alimentazione umana e il loro trattamento-sfruttamento, reso ancor più acuto dal costante aumento del consumo di carne.
Questione importante è quella della sperimentazione medica sugli animali. La Legge (italiana) 12 ottobre 1993, n. 413 prevede l’obiezione di coscienza in ordine alla sperimentazione animale. Ne riportiamo il primo art: Art. 1- Diritto di obiezione di coscienza:
1. I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi, possono dichiarare la propria obiezione di coscienza ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale.
 40 CH. W. PATTERSON è un difensore dei diritti degli animali, noto a livello internazionale come autore di un volume su Eternal Treblinka: Our Treatment of Animals and the Holocaust (2002), in cui esplora le somiglianze tra le violenze dispiegate dall’uomo sull’uomo, specialmente nella seconda guerra mondiale, e le violenze perpetrate contro gli animali.
 41 J. P. SARTRE, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1986, p. 84. Sulla crisi e disumanizzazione degli umanesimi vedi La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, cit.
42 Vedi S. Th., I, q, 47, a.1.
 43 Un grande problema tuttora alquanto trascurato è la necessità di recuperare un equilibrio naturale della terra e delle sue specie viventi, che includa la procreazione umana. Ed è a questo crocevia che sorge il problema dell’incremento demografico a livello planetario che avanza in maniera accentuata (la popolazione mondiale che era nel 1900 pari a 1650 milioni, nel 2000 è salita a 6070 milioni). Si dice che madre terra è in grado di nutrire un numero di esseri umani superiore non di poco ai circa 7 miliardi attuali, e c’è del vero in questo. Si tace però su due nuclei fondamentali: lo sfruttamento sempre più intenso della biosfera che ciò comporta (in tal modo ci si muove in senso lontano dalla preoccupazione ecologica), e la difficoltà antropologica a convivere pacificamente quando il numero di esseri umani che vivono in un determinato spazio aumenta costantemente, moltiplicando i rapporti – positivi e negativi – e scatenando l’aggressività reciproca e la violenza che sorgono quando si sta ‘troppo stretti e ci si pesta i piedi’. Sembra allora mancare lo ‘spazio vitale psichico’. Le megalopoli contemporanee sono un esempio plastico della situazione: un ramo dell’ecologia è oggi destinato al tema della “città sostenibile”. Su questo tema molto resta da indagare e da comprendere.

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