forti: giacché la Terra, come dice un vecchio slogan del movimento contro l’odierna globalizzazione selvaggia, è l’unico pianeta che abbiamo.
Il vero realismo, la sola risposta razionale alle sfide globali è insomma la costruzione di una sfera pubblica globale che prenda sul serio le promesse formulate in quell’embrione di Costituzione del mondo che è formato dalle tante Carte dei diritti. La nostra iniziativa, il ruolo della nostra scuola avrà successo se solo riuscirà a mettere all’ordine del giorno della riflessione teorica e politica il tema, finora ignorato, della rifondazione garantista delle nostre democrazie: di un processo ricostituente delle democrazie nazionali e costituente della democrazia cosmopolitica. Per questo diffonderemo il nostro appello anche fuori del nostro paese e tenteremo di coinvolgere in quest’opera di riflessione collettiva avviata dalle nostre scuole l’intero mondo della cultura giuridica e politica: giuristi, economisti, teorici della politica di tutto il mondo.
Questa nostra scuola, anzi le nostre scuole – giacché speriamo che altre si aggiungeranno a quella che organizzeremo qui a Roma – dovranno riflettere su tutte le varie questioni e le varie emergenze che mettono in pericolo l’umanità e in ordine alle quali dovranno individuare le tecniche di garanzia più pertinenti. Qui ne indicherò tre, che richiedono tutte un’espansione del paradigma costituzionale a livello globale: a) le catastrofi ecologiche; b) le guerre nucleari e la produzione e moltiplicazione delle armi; c) la fame e le malattie non curate. Ma sono molte altre le questioni e le emergenze su cui dovremo riflettere: lo sfruttamento del lavoro, la questione migranti, le minacce alla democrazia – e non solo gli innegabili benefici – oggi rappresentate dalle tecnologie informatiche. Tutte queste questioni sono tra loro connesse: i cambiamenti climatici, le guerre e la povertà crescente, da cui fuggono centinaia di migliaia di migranti, è il frutto dell’anarco-capitalismo selvaggio e predatorio, a sua volta sorretto dalle politiche liberiste e dalla disgregazione da esse promossa delle soggettività collettive, tramite la precarizzazione dei rapporti di lavoro, a beneficio dei populismi e delle loro campagne identitarie e razziste contro i migranti.
4. A) L’emergenza ambientale, le possibili catastrofi ecologiche e le garanzie della Terra– La prima emergenza, che richiede un costituzionalismo allargato in tutte e tre le direzioni sopra indicate – quale costituzionalismo di diritto privato, quale costituzionalismo dei beni comuni e quale costituzionalismo di livello globale – è l’emergenza ambientale. La nostra generazione ha recato danni irreversibili e crescenti al nostro ambiente naturale. Abbiamo massacrato intere specie animali, avvelenato il mare, inquinato l’aria e l’acqua, deforestato e desertificato milioni di ettari di terra. L’attuale sviluppo sregolato del capitalismo, insostenibile sul piano ecologico, sta avvolgendo come una metastasi il nostro pianeta mettendone a rischio, in tempi non lunghissimi, la stessa abitabilità. Nell’ultimo mezzo secolo, mentre la popolazione mondiale si è più che triplicata, il processo di alterazione e distruzione della natura – le cementificazioni, lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, il riscaldamento globale, gli inquinamenti dell’aria e dei mari, la riduzione della biodiversità, le esplosioni nucleari – si è sviluppato in maniera esponenziale. Contemporaneamente si stanno estinguendo le risorse energetiche non rinnovabili – il petrolio, il carbone e i gas naturali – accumulate in milioni di anni e dissipate in pochi decenni. Lo sviluppo insostenibile sta insomma dilapidando i beni comuni naturali come se noi fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Di qui la necessità di dar vita a una fase nuova del costituzionalismo che riconosca e garantisca, accanto ai diritti fondamentali, anche quelli che possiamo chiamare beni fondamentali perché vitali – come l’acqua, l’aria, i ghiacciai, il patrimonio forestale – sottraendoli al mercato e alla disponibilità della politica e stipulandone lo status inderogabile di beni costituzionali e perciò indisponibili, onde conservarli e renderli accessibili a tutti.
Assistiamo invece al processo opposto: alle privatizzazioni e alla mercificazione di questi beni. Il caso esemplare è quello di quel bene vitale che è l’acqua potabile, sottoposta a una duplice aggressione: dapprima la sua trasformazione, ad opera delle pratiche predatorie del capitalismo selvaggio – deforestazioni, sperperi, inquinamenti delle sorgenti e delle faglie acquifere – in un bene scarso e non più accessibile a tutti, al punto che circa un miliardo di persone non possono accedervi; poi, proprio per questo, la sua paradossale privatizzazione e trasformazione in merce, nel momento in cui se ne richiederebbe, per la sua scarsità, la garanzia come bene fondamentali di tutti.
Ma non solo l’acqua, ma tutti i beni comuni – l’atmosfera, i mari e i grandi fiumi, le grandi foreste, la biodiversità – sono oggi minacciati dallo sviluppo industriale insostenibile. Parafrasando il preambolo della Carta dell’Onu, una Costituzione della Terra volta a garantire i beni fondamentali del pianeta in aggiunta ai diritti fondamentali, delle persone, potrebbe aprirsi con queste parole: “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le generazioni future dal flagello dello sviluppo ecologicamente insostenibile che nel corso di una generazione ha provocato indicibili devastazioni al nostro ambiente naturale, conveniamo” le seguenti, urgenti misure a garanzia dei seguenti beni fondamentali dell’umanità.
La riflessione teorica promossa dalla nostra scuola dovrà identificare questi beni e queste misure: l’istituzione di autorità mondiali di garanzia dell’ambiente, deputate alla sorveglianza sull’intangibilità dei beni fondamentali, all’imposizione di limiti e controlli in ordine all’emissione di gas serra, alla deliberazione di sequestri e sanzioni nei confronti di quanti violano le regole e le garanzie poste a tutela di tali beni vitali. La più importante di queste garanzie è una vecchia figura, nota fin dal diritto romano: quella del demanio, cioè della sottrazione al mercato dei beni comuni attraverso la loro qualificazione come beni demaniali. Con due correttivi. In primo luogo la costituzionalizzazione del loro status di beni demaniali. Oggi i beni demaniali sono definiti dalla legge: in Italia dal Codice civile, che qualifica come tali una lunga serie di cose (le spiagge, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le strade statali e simili). Ma la legge può disporne, come è avvenuto in Italia, la privatizzazione e la trasformazione in beni patrimoniali che solo la loro costituzionalizzazione può impedire. In secondo luogo è necessaria l’istituzione di più tipi di demanio: oltre agli odierni demani comunali, regionali e statali, anche, i demani sovra-statali, europei o anche globali, onde porli al riparo dalle aggressioni provenienti dall’industria e dal mercato globale. Di un futuro demanio planetario dovrebbero far parte l’acqua potabile, i ghiacciai, i mari, i litorali marini e la foresta amazzonica, vittima da anni di incendi criminali.
Va aggiunto che una politica razionale diretta alla tutela dei beni ecologici richiede oggi una lotta contro il tempo. C’è infatti una terribile novità rispetto a tutte le catastrofi del passato. Sempre, dalle altre catastrofi, anche le più terribili – dalle guerre mondiali ai genocidi – la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando contro il loro ripetersi nuovi patti costituzionali, nuovi “mai più”. Diversamente da tutte le altre catastrofi passate della storia umana, la catastrofe ecologica è in larga parte irrimediabile, e forse non faremo a tempo a trarne le dovute lezioni. Per la prima volta nella storia c’è il pericolo che si acquisti la consapevolezza della necessità di cambiare strada e di stipulare un nuovo patto quando ormai sarà troppo tardi. Ma possiamo anche dire che per la prima volta nella storia l’emergenza ambientale può offrire, forse più di qualunque altra, l’occasione per costringere la popolazione del pianeta a mettere da parte i tanti conflitti e interessi meschini e per unificarla intorno a una battaglia comune, contro una minaccia comune, per una causa comune.
5. B) L’emergenza nucleare. Le guerre e la produzione e la vendita delle armi. Le garanzie della pace – La seconda emergenza, che parimenti richiede l’espansione del costituzionalismo a livello globale è costituita dalle guerre e dalle minacce alla pace generate dalla produzione e detenzione di armi sempre più micidiali. Dopo la caduta del muro di Berlino, nuove guerre di aggressione, pur previste come crimini dallo Statuto della Corte penale internazionale approvato a Roma il 17.7.1998, sono state scatenate dall’Occidente: in Iraq nel 1991, nella ex Jugoslavia nel 1999, in Afghanistan nel 2001, di nuovo in l’Iraq nel 2003, contro la Libia nel 2011.
Oggi le guerre sono assai più micidiali e spaventose di quelle del passato, se non altro per l’incomparabile potenziale distruttivo degli attuali armamenti e per il loro carattere asimmetrico, quali guerre dal cielo le cui vittime sono sempre più tra le sole popolazioni civili dei Paesi aggrediti. Per loro natura sono anti-costituzionali. Equivalgono infatti alla rottura di quel patto di convivenza pacifica che fu stipulato con la Carta dell’ONU e rispetto al quale si configurano come eversione violenta.
Ebbene, la prima garanzia elementare contro l’incubo della guerra – ma anche contro il terrorismo e la grande criminalità –, a tutela dei diritti alla pace a alla vita, dovrebbe consistere nella rigida messa al bando di tutte le armi come beni illeciti e perciò il divieto senza deroga alcuna, quali crimini, della loro detenzione e, ancor prima, del loro commercio e della loro produzione.
Innanzitutto la messa al bando degli armamenti nucleari, che pesano come una permanente minaccia sul futuro dell’intera umanità. Oggi, nel mondo, ci sono 14.525 testate nucleari, in possesso di nove paesi: 6.850 in Russia, 6.450 negli Stati Uniti, 300 in Francia, 280 in Cina, 215 nel Regno Unito, 150 in Pakistan, 140 in India, 80 in Israele e 60 nella Corea del Nord. E’ stato solo per un miracolo che taluna di queste testate nucleari non sia ancora caduta nelle mani di una banda terroristica o che, in qualcuno degli Stati che ne sono in possesso, il potere non sia stato conquistato da un pazzo. Ma il miracolo può cessare. Il 2 agosto 2019 un presidente americano irresponsabile, a dispetto del Trattato sul disarmo votato due anni prima da 122 Paesi, cioè dai due terzi dei membri dell’ONU, ha ritirato ufficialmente gli Stati Uniti dal Trattato del 1987 sulla non proliferazione degli armamenti atomici, così riaprendo la corsa generale al riarmo nucleare
Ma una Costituzione della Terra dovrebbe mettere al bando tutte le armi, anche quelle non da guerra. Ogni anno, nel mondo, muoiono milioni di persone a causa della diffusione delle armi: nel solo 2017 si sono consumati 464.000 omicidi, per la maggior parte con armi da fuoco, e sono morte centinaia di migliaia di persone nelle tante guerre, quasi tutte civili, che infestano il pianeta; senza contare i numeri altissimi dei suicidi e degli infortuni causati dall’uso di armi.
Ebbene, questo assurdo massacro è in gran parte dovuto alla facilità di acquisto e all’enorme diffusione delle armi. Basti pensare alla differenza abissale tra il numero degli omicidi all’anno in Paesi nei quali il possesso di armi da fuoco è generalizzato e tutti si armano per paura e quello nei quali quasi nessuno va in giro armato: sempre nel 2017, 63.000 in Brasile, 29.168 in Messico, 17.284 negli Stati Uniti e 357, di cui 123 femminicidi, in Italia, dove quasi nessuno è in possesso di armi e dove la percezione dell’insicurezza e la paura, incomparabilmente maggiori che in passato quando il numero degli omicidi era enormemente maggiore, sonouna costruzione politica e mediatica che si spiega solo con il fatto che quasi tutti i fatti di violenza vengono raccontati in televisione, generando la sensazione che viviamo nella giungla.
Una campagna contro le armi dovrebbe perciò muovere dal riconoscimento di un fatto elementare: la diffusione delle armi e il terribile pericolo che ne consegue per la pace e la sicurezza sono il segno che non si è compiuto, neppure all’interno degli Stati nazionali– non, certamente, in quelli nei quali chiunque può acquistare un’arma micidiale, e meno che mai nella comunità internazionale – il disarmo dei consociati e il monopolio pubblico della forza teorizzati da Thomas Hobbes, quasi quattro secoli fa, come le condizioni del superamento dello stato di natura e del passaggio allo stato civile. In breve, la produzione, il commercio e la detenzione delle armi – di armi incomparabilmente più distruttive che quattro secoli fa – sono il segno di una non compiuta civilizzazione delle nostre società e il principale fattore dello sviluppo della criminalità, dei terrorismi e delle guerre.
Certamente il disarmo generalizzato e il monopolio pubblico della forza possono oggi apparire un’utopia e richiederebbero comunque tempi lunghissimi. Ma è essenziale che la questione sia dalla nostra Costituzione della Terra posta all’ordine del giorno, affinché la messa al bando delle armi nella vita sociale divenga l’obiettivo politico distintivo e unificante di qualunque forza democratica e di qualunque mobilitazione e battaglia progressista.
Infine, una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre un’ultima garanzia della pace che varrebbe realmente a fare dell’ordinamento internazionale un vero ordinamento giuridico. Questa garanzia dovrebbe consistere nell’attuazione del monopolio giuridico della forza in capo all’ONU, già prefigurato dal capo VII della Carta delle Nazioni Unite. Si realizzerebbe così il progressivo superamento degli eserciti nazionali, già auspicato da Immanuel Kant più di due secoli fa. Solo così si realizzerebbe – contro l’illusoria e insensata volontà di potenza degli Stati, collusa con gli interessi delle industrie di armi che delle spese miliari sono i soli beneficiari – l’effettivo passaggio della comunità internazionale dallo stato di natura allo stato civile.
6. C) Un apartheid mondiale. I morti per fame e per malattie non curate. Per un garantismo sociale globale – La terza emergenza che la Costituzione della Terra dovrà affrontare, è costituita dalla crescita nel mondo delle disuguaglianze, della povertà, della fame e delle malattie non curate. I dati statistici sono terribili. Sono 821 milioni, le persone che nel 2017 hanno sofferto la fame e la sete, e oltre 2 miliardi 770 milioni, in prevalenza donne, sono analfabeti e oltre 2 miliardi quelle che non hanno accesso ai 460 farmaci essenziali o salva-vita che fin dal 1977 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che siano accessibili a tutti. Le conseguenze di questi flagelli sono spaventose: più di 8 milioni di persone – 24.000 al giorno – in gran parte bambini, muoiono ogni anno per mancanza dell’acqua e dell’alimentazione di base. Altrettante persone muoiono per la non disponibilità dei farmaci salva-vita, vittime del mercato oltre che delle malattie, dato che taluni di questi farmaci sono brevettati, o peggio non prodotti per difetto di domanda nei paesi ricchi, riguardando malattie infettive – infezioni respiratorie, tubercolosi, Aids, malaria e simili – in questi paesi debellate e scomparse.
Queste tragedie non sono catastrofi naturali. Sono il risultato della mancata attuazione delle garanzie che avrebbero dovuto essere introdotte in attuazione delle tante Carte internazionali dei diritti umani. Tutti i diritti stabiliti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stipulato a New York il 16 dicembre 1966 – il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, i diritti alla sussistenza – sono rimasti sulla carta, ineffettivi e violati, come provano le decine di milioni di morti ogni anno per fame, per mancanza di acqua e per malattie non curate.
Siamo dunque in presenza di una gigantesca, criminale omissione di soccorso, che si aggiunge alle politiche criminali che hanno creato le condizioni di indigenza nelle quali vivono e muoiono, a causa delle politiche di rapina e sfruttamento promosse dal capitalismo sregolato, milioni di persone. Se prendiamo il diritto e i diritti sul serio, dobbiamo riconoscere che questi crimini sono dovuti a una colpevole carenza di garanzie e delle relative funzioni e istituzioni di garanzia. E’ una carenza insensata, se si pensa ai terribili effetti dell’apartheid mondiale che ne consegue: i crescenti flussi migratori, l’odio crescente per l’Occidente, il discredito dei suoi valori politici, lo sviluppo della violenza, del crimine organizzato, delle guerre civili, dei razzismi, dei fondamentalismi e dei terrorismi. Ma ancor più evidente è l’insensatezza di queste inadempienze se si considera la facilità con cui questa assenza di garanzie e la povertà estrema di masse sterminate potrebbero essere superate con vantaggio di tutti, inclusi i Paesi ricchi. Non costerebbe molto, infatti, impedire queste stragi. La maggior parte dei farmaci salva‐vita, come i vaccini contro la poliomelite, il morbillo e la difterite, che provocano ogni anno più di un milione di morti, non costano quasi nulla. Più in generale, la spesa necessaria a soddisfare i minimi vitali sarebbe bassissima.“La povertà nel mondo”, ha scritto Thomas Pogge, “è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo… La sua eliminazione non richiederebbe più dell’1,13% del PIL mondiale, 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti (Povertà mondiale e diritti umani. Responsabilità e riforme cosmopolite [2008], tr. it. di D. Botti, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 304).
Basterebbe dunque una modesta redistribuzione della ricchezza a livello globale per levare dalla miseria metà della popolazione mondiale e per porre termine, nell’interesse di tutti, a queste catastrofi umanitarie e, insieme, per promuovere lo sviluppo economico dei Paesi poveri, con conseguente beneficio – la pace, la stabilità politica, la riduzione e la sdrammatizzazione delle migrazioni, una crescita economica equilibrata – anche per i Paesi ricchi.
Contro questa emergenza umanitaria, sono molte le istituzioni di garanzia internazionali che una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre o rifondare. Andrebbero anzitutto riformate le attuali istituzioni internazionali di governo dell’economia – la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio – funzionalizzandole allo scopo, opposto a quello da esse fino ad oggi perseguito, dello sviluppo economico dei Paesi poveri. Andrebbero organizzate, di fronte ai giganteschi problemi sociali della fame e della miseria, istituzioni deputate alla soddisfazione dei diritti sociali previsti dai Patti del 1966. Talune di queste istituzioni, come la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità, esistono da tempo, e si tratterebbe di dotarle dei mezzi e dei poteri necessari alle funzioni di erogazione delle prestazioni alimentari e sanitarie. stabilendo per esempio, come prevede la Costituzione brasiliana del 1988, quote annuali del prodotto interno mondiale da destinarsi al loro finanziamento. Altre istituzioni – in tema di garanzia dell’ambiente, dell’istruzione, dell’abitazione e di altri diritti vitali – dovrebbero invece essere istituite.
Infine, una Costituzione della Terra dovrebbe prevedere, a sostegno di queste istituzioni di garanzia, l’introduzione di un fisco globale di carattere progressivo. E’ questa una proposta avanzata da Thomas Piketty e da Anthony Atkinson. Essa avrebbe, tra l’altro, il vantaggio di dar vita a una sorta di catasto dei capitali e così di assicurare la trasparenza e di impedire l’evasione fiscale.
Il finanziamento delle istituzioni di garanzia dovrebbe poi provenire, oltre che da questa imposta globale, dalla cosiddetta Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, della quale si parla da decenni e che avrebbe anche l’effetto di ridurre le transazioni puramente speculative sui mercati valutari e, inoltre, dalla tassazione dell’uso e dell’abuso di beni comuni dell’umanità, come le linee aeree o le orbite satellitari o le bande dell’etere.
7. L’alternativa possibile: costituzionalizzare la globalizzazione, globalizzare il garantismo costituzionale. Ottimismo metodologico – Una Costituzione della Terra – la costituzionalizzazione della globalizzazione o, che è lo stesso, la globalizzazione del costituzionalismo – sono insomma possibili. Naturalmente i potenti interessi che ad esso si oppongono non consentono facili ottimismi. Ma occorre distinguere tra improbabilità politica e impossibilità teorica; tra le ragioni politiche che rendono improbabile la prospettiva di un costituzionalismo globale e le ragioni teoriche che ad essa si opporrebbero. Una cosa, infatti, è dire che questa prospettiva è improbabile, a causa dei potenti interessi che ad essa si oppongono. Altra cosa è dire che essa è sul piano teorico impossibile.
Di solito le due cose vengono confuse. Uno dei compiti della nostra Scuola per una Costituzione della Terra dovrà invece consistere nel mostrare che l’improbabilità politica della prospettiva di una Costituzione della Terra fornita di adeguate garanzie non equivale affatto alla sua impossibilità teorica, e che perciò non dobbiamo confondere, se non vogliamo occultare le responsabilità della politica, tra conservazione e realismo, squalificando come “irrealistico” o “utopistico” ciò che semplicemente contrasta con gli interessi e con la volontà dei più forti. Un simile atteggiamento equivarrebbe a un’abdicazione della ragione. E varrebbe, di fatto, a confortare come inevitabile, e perciò a legittimare e ad assecondare, i processi decostituenti in atto.
Non è affatto vero, infatti, che a quanto accade, come troppo spesso si ripete, non ci sono alternative. Le alternative ci sono e si realizzerebbero se solo ci fosse la volontà politica di attuarle e a tale volontà non si opponessero potenti interessi privati. I problemi non sono affatto di carattere teorico o tecnico ma, purtroppo, solo di carattere politico: legati all’indisponibilità dei poteri più forti – le superpotenze militari, le grandi imprese multinazionali e i mercati finanziari – a sottostare al diritto e ai diritti. Ma si tratta di un’indisponibilità miope, che non tiene conto del fatto che nell’odierno mondo globalizzato la costruzione di una sfera pubblica internazionale garante della pace e dei diritti rappresenta oggi, non diversamente dalla formazione degli stati nazionali alle origini del capitalismo, la sola alternativa razionale a un futuro di guerre e di violenze in grado di travolgere gli interessi di tutti.
C’è poi un altro compito che vogliamo affidare alla nostra Scuola: mostrare come le emergenze planetarie e la possibilità di affrontarle e di risolverle hanno anche generato una grande, positiva novità: Per la prima volta nella storia esiste un interesse pubblico e generale assai più ampio e vitale di tutti i diversi interessi pubblici del passato: l’interesse di tutti alla sopravvivenza dell’umanità e all’abitabilità del pianeta, assicurato dalle garanzie dei beni comuni e dei diritti fondamentali di tutti quali limiti a tutti i poteri, sia politici che economici. Esiste inoltre un’interdipendenza crescente tra tutti i popoli della terra, idonea a generare una solidarietà senza precedenti tra tutti gli esseri umani e a rifondare la politica come politica interna del mondo
Questa consapevolezza della globalità dei problemi e delle loro possibili soluzioni grazie all’espansione a livello globale del paradigma garantista e costituzionale, consente dunque una nota di ottimismo: all’attuale deriva esiste un’alternativa possibile pur se ostacolata da interessi e pregiudizi, tanto potenti quanto miopi. Una scuola “Costituente Terra” dovrà anzitutto mostrare la necessità di non confondere i problemi teorici con i problemi politici e di evitare la fallacia realista consistente nella naturalizzazione e perciò nella legittimazione di ciò che di fatto accade. Dovrà inoltre contrastare il pessimismo disfattista e paralizzante destinato a convertirsi nella rassegnata accettazione dell’esistente. Senza la “speranza di tempi migliori”, scrisse Kant, “un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano”. Giacché la speranza del progresso forma il presupposto sia dell’impegno morale che di quello politico.
Lascia un commento