GARANZIE UNIVERSALI PER IL BENE DELLA TERRA

Per tutelare i beni comuni, dagli ecosistemi alle risorse naturali, non bastano il diritto penale e le Costituzioni nazionali. C’è bisogno di garanzie che riguardino l’immensa vastità del demanio planetario

Luigi Ferrajoli

Per tutelare i beni comuni, dagli ecosistemi alle risorse naturali, non bastano il diritto penale e le Costituzioni nazionali. C’è bisogno di garanzie che riguardino l’immensa vastità del demanio planetario

Luigi Ferrajoli

1. I principi introdotti dalle modifiche degli artt. 9 e 41 della Costituzione e l’obbligo di attuarli tramite idonee garanzie – E’ sicuramente una conquista del garantismo ecologico la modifica degli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione: il terzo comma, aggiunto all’art. 9, sulla tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi ed anche degli animali, nell’interesse delle generazioni future, e l’integrazione dell’art. 41 con i principi che l’iniziativa economica non può recare danno alla salute e all’ambiente e va indirizzata a fini ambientali, oltre che a fini sociali.

Tuttavia, se non vogliamo che queste nuove norme rimangano solo delle affermazioni di principio, è necessaria la loro attuazione mediante l’introduzione di idonee garanzie. Diciamo subito che il diritto penale a tal fine non basta, essendo del tutto inadeguato rispetto alla gravità e alle dimensioni del problema. Le devastazioni più gravi dell’ambiente, infatti, non sono configurabili come reati. I loro autori, non diversamente dalle loro vittime, che sono popoli interi e talora l’intera umanità, non sono identificabili con singole persone, bensì con i meccanismi del sistema economico e politico. Le azioni da cui sono provocate non consistono di solito in comportamenti determinati, siccome tali prefigurabili come reati, bensì in insiemi complessi di attività politiche ed economiche messe in atto da miliardi di soggetti. Si tratta, in breve, di aggressioni all’ambiente non fronteggiabili con il diritto penale, dato che di questo difettano di tutti i requisiti garantisti: dal principio di determinatezza dei fatti punibili al nesso di causalità tra azioni individuali e cataclismi ambientali, fino al principio della responsabilità personale in materia penale.

Ma queste devastazioni non sono neppure fenomeni naturali. Sono violazioni massicce del diritto e dei diritti fondamentali stipulati in tante carte costituzionali, sia nazionali che sovranazionali. Esse non possono essere ignorate, dato che sono in grado, se non fronteggiate dal diritto e dalla politica con l’introduzione di idonee garanzie, di provocare, in tempi non lunghi, la distruzione dell’abitabilità del pianeta.

C’è dunque una prima questione di fondo che investe la nozione di “crimine” e il ruolo scientifico ed esplicativo della criminologia. Le scienze criminologiche tradizionali e il dibattito pubblico sono sempre stati subalterni al diritto penale, avendo concepito, denominato e stigmatizzato come “crimini” soltanto i comportamenti devianti previsti dal diritto penale come reati. Hanno così svolto e continuano a svolgere un pesante ruolo di legittimazione ideologica dell’esistente. Si è infatti prodotto, soprattutto in questi ultimi anni, un singolare appiattimento, nel dibattito pubblico e nel senso comune, del giudizio giuridico, oltre che di quello politico e morale, sui soli parametri del diritto penale, diventati ormai la sola chiave di lettura delle colpe e delle responsabilità della politica. Solo i fatti previsti e giudicati come delitti, cioè come crimini in senso penalistico, suscitano indignazione e stigmatizzazione morale e politica. Tutto ciò che non è vietato come reato è invece ritenuto permesso. E’ l’odierna banalizzazione del male. Le devastazioni ambientali, incomparabilmente più catastrofiche di tutti i delitti, al pari della produzione di armi sempre più micidiali, dell’omessa garanzia dei diritti umani stabiliti in tante carte internazionali, dello sfruttamento selvaggio del lavoro e delle omissioni di soccorso ai migranti che tentano di penetrare nei nostri paradisi democratici, proprio perché non fronteggiate né fronteggiabili dal diritto penale risultano, di fatto, tollerate con rassegnazione o con indifferenza.

E’ perciò necessario prendere atto dell’inadeguatezza della nozione corrente di “crimine” e allargarla anche a queste violazioni, non trattabili dal diritto penale, perché non attribuibili a singole persone, e tuttavia contrarie al diritto ed enormemente dannose per popoli interi e, nei tempi lunghi, per l’intera umanità. Ho perciò proposto di introdurre nel lessico giuridico e politico una nozione di crimine più estesa di quella penalistica onde includervi anche quest’ampia classe di violazioni massicce di diritti e di beni fondamentali, non consistenti in atti individuali imputabili alla responsabilità di persone determinate. Ho chiamato queste violazioni giuridiche crimini di sistema[1]. E’ poi evidente che la previsione di questo tipo di crimini ben potrebbe comportare l’istituzione di giurisdizioni internazionali di sola verità, sul modello della Commissione per la verità sperimentato in Sudafrica alla fine dell’apartheid, con il potere di accertarli, insieme alle responsabilità politiche per la loro commissione, e di disporre le misure necessarie a impedirli.

Ciò che conta è superare l’idea pan-penalistica che il diritto penale sia la sola o anche la principale tecnica di garanzia dei beni comuni e vitali dell’ambiente: in primo luogo per sollecitare la riflessione teorica e il dibattito pubblico, alla ricerca di un più ampio e più efficace ventaglio di garanzie dell’ambiente, della pace e dei diritti umani al di là del diritto penale; in secondo luogo per proteggere il diritto penale dall’ossessione punitiva, cioè dal pericolo che le risposte alla sfida ecologica e alle altre catastrofi globali siano ricercate nell’ennesima espansione del diritto penale, in questo caso del tutto inadeguata ed illusoria, oltre che inevitabilmente orientata alla restrizione delle garanzie della determinatezza dei fatti punibili e della colpevole responsabilità personale.

2. Quali garanzie a tutela dell’ambiente? Garanzie deontiche e garanzie costitutive, di rango costituzionale e di livello globale – La distinzione qui proposta tra crimini in senso penalistico e crimini di sistema suggerisce una differenziazione illuminante circa la diversa struttura che possono avere le garanzie dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi di cui il nuovo art. 9 impone la tutela. E’ la distinzione tra quelle che chiamerò “garanzie deontiche” e quelle che chiamerò “garanzie costitutive”. Sono garanzie deontiche gli obblighi di tutela e i divieti di lesione dei beni ambientali che l’ordinamento intende garantire contro atti di distruzione o danneggiamento, configurandoli come atti illeciti. Sono garanzie costitutive gli status ontici costituiti in capo a tali beni, onde sottrarli alla possibilità stessa di atti lesivi del tipo appena indicato[2].

Rientrano tra le garanzie deontiche tutte le garanzie consistenti in divieti e in sanzioni penali. E’ l’ampio sistema di figure di reato in materia ambientale di cui è dotato il nostro ordinamento e che, anche grazie alle nuove norme che hanno integrato gli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, va continuamente aggiornato per far fronte alle sempre nuove e diverse aggressioni all’ambiente rese possibili dalle innovazioni tecnologiche. Ma la “tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi” disposta dal nuovo comma 3 dell’art. 9 della Costituzione non può certo essere attuata soltanto con il diritto penale, attraverso la proibizione e la punizione delle violazioni individuali e colpevoli previste dalla legge come reati. Benché necessari, i divieti di utilizzazione di energie fossili, di emissione di gas serra o di altri tipi di inquinamento sono infatti, a tal fine, del tutto insufficienti.

Le aggressioni all’ambiente più gravi e distruttive sono quelle, non trattabili penalmente, che ho sopra chiamato crimini di sistema. La più grave è il cambio climatico che, se non arrestato, raggiungerà presto il punto di non ritorno. Ogni anno l’umanità immette nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica superiore a quella immessa l’anno precedente. Parti crescenti del pianeta sono così destinate a diventare inabitabili a causa della distruzione delle condizioni di vita provocata dallo sviluppo industriale ecologicamente insostenibile. Ebbene, contro questi processi distruttivi, le garanzie più efficaci dei beni ambientali sono quelle che ho appena chiamato garanzie costitutive. E’ una garanzia costitutiva, in particolare, la vecchia figura del demanio, in forza della quale taluni beni vitali naturali, come l’acqua potabile, l’aria, le grandi foreste, i grandi ghiacciai, i fiumi, i laghi e i mari, dalla cui tutela dipende la sopravvivenza del genere umano, possono essere sottratti al mercato attraverso la loro qualificazione come beni demaniali[3]. E’ questa la garanzia più efficace dei beni ambientali, incomparabilmente maggiore delle garanzie deontiche offerte dal diritto penale. Il suo ruolo garantista dipende peraltro da due condizioni, relative l’una al rango e l’altra al livello delle norme costitutive dello status demaniale dei beni ambientali da esse protetti.

La prima condizione riguarda il rango delle norme costitutive del demanio. Nell’ordinamento italiano queste norme sono gli articoli 822-825 del codice civile, che hanno il valore di norme ordinarie e perciò non sono in grado di imporre nessun limite, a garanzia dell’ambiente, nei confronti del legislatore ordinario: tanto è vero che molti beni demaniali, come le ferrovie e le autostrade, sono stati sdemanializzati da privatizzazioni avvenute con legge ordinaria. Se davvero vogliamo proteggere l’ambiente e gli ecosistemi dai mercati e dalle loro pressioni sul ceto politico, il carattere demaniale di tali beni vitali della natura deve essere stabilito nella Costituzione e reso inderogabile grazie alla sua rigidità.

La seconda condizione riguarda il livello delle garanzie. Questo livello non può essere soltanto quello statale. L’ambiente, la biosfera e le aggressioni che li stanno devastando non conoscono confini. Le loro garanzie, quindi, devono essere globali, e questo può avvenire soltanto sulla base di un patto stipulato tra tutti gli Stati del mondo. Occorrerebbe perciò istituire un demanio europeo e, soprattutto, un demanio planetario di rango costituzionale, mediante trattati rigidamente vincolanti che sottraggano i beni vitali della natura – ripeto, l’acqua potabile, l’atmosfera, i grandi ghiacciai, i fiumi, le grandi foreste – alle appropriazioni e alle devastazioni cui essi sono oggi sottoposti dai mercati globali, di fatto sovrani.

Insomma, le integrazioni degli artt. 9 e 41 della Costituzione svolgeranno un effettivo ruolo garantista solo se interpretate come regole che richiedono concrete norme di attuazione, cioè l’introduzione di idonee garanzie. Senza l’introduzione di tali garanzie, prima tra tutte il rango costituzionale e il livello globale del demanio dei beni vitali della natura che si vogliono sottrarre alla disponibilità del mercato e alla discrezionalità della politica, queste pur importanti riforme hanno una ben limitata capacità vincolante.

3. La prospettiva di un costituzionalismo globale. Realismo volgare e realismo razionale – Purtroppo il costituzionalismo odierno è del tutto inadeguato a fronteggiare le sfide che oggi provengono dalle aggressioni globali all’ambiente. La sua inadeguatezza dipende dal livello globale e non locale sia di tali aggressioni che delle garanzie in grado di impedirle. A causa dei loro limiti spaziali, i governi nazionali e le loro costituzioni sono impotenti di fronte alle catastrofi planetarie in atto, destinate tutte ad aggravarsi. Non è solo una questione di malgoverno, o di egoismi nazionali o di sopraffazione politica o economica. E’ una questione drammaticamente oggettiva. Anche volendo, nessun attore della politica o dell’economia mondiale, per quanto potente – nessuno Stato, nessuna grande impresa multinazionale – potrà mai affrontare, da solo, i problemi del riscaldamento climatico. Solo una rifondazione della carta dell’Onu, diretta a colmare il vuoto di di­ritto pub­blico prodotto dall’asimmetria tra il carattere planetario degli odierni poteri selvaggi dei mercati e degli Stati più potenti e il carattere ancora prevalentemente locale della politica e del diritto, può introdurre, in forma vincolante, le garanzie universali dei beni vitali della natura, oltre che della pace e dei diritti fondamentali di tutti[4].

E’ in questa rifondazione che consiste il progetto di una Costituzione della Terra[5], promosso dal movimento “Costituente Terra”. I suoi tratti distintivi sono due: la rigidità, garantita dalla previsione di una Corte costituzionale globale e, soprattutto, l’introduzione delle garanzie dei diritti e dei beni fondamentali in essa stabiliti e delle relative funzioni e istituzioni globali di garanzia. In tema di beni, le garanzie più efficaci sono garanzie costitutive del loro status di beni demaniali o, al contrario, di beni illeciti, a seconda che si tratti di beni vitali, come sono i beni comuni della natura, o di beni micidiali, come sono tutte le armi da guerra.

Naturalmente l’obiezione più ovvia a tale progetto è il suo carattere “utopistico”: si tratterebbe di un sogno, che non potrà mai realizzarsi perché, secondo una massima oggi imperante, a ciò che di fatto accade non ci sono alternative. E’ il realismo volgare che naturalizza la realtà sociale – la politica, il diritto, l’economia – che invece è il frutto del nostro agire o della nostra inerzia, e insieme ignora la realtà naturale delle catastrofi da esso tollerate o provocate. Contro questo realismo, che legittima come inevitabile l’esistente, occorre quanto meno distinguere ciò che è improbabile da ciò che è impossibile. E’ il primo passo in direzione dell’espansione a livello globale del paradigma costituzionale. Il secondo passo è che si cominci a parlarne e a progettarla, a promuoverla nel dibattito pubblico e a mostrarne non solo la possibilità ma anche la necessità e l’urgenza. E’ insomma necessario che la prospettiva di un costituzionalismo globale divenga un obiettivo politico per tutte le forze progressiste.

Si tratta infatti della sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che fu affrontato quasi quattro secoli fa da Thomas Hobbes: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica sulla base del divieto della guerra e della garanzia della vita. Con due differenze drammatiche tra la società naturale dell’homo homini lupus ipotizzata da Hobbes e lo stato di natura nel quale si trovano tra loro 193 Stati sovrani e i grandi poteri economici e finanziari globali. La prima è che l’attuale società internazionale è una società popolata non più da lupi naturali, ma da lupi artificiali – gli Stati e i mercati – sostanzialmente sot­trat­tisi al con­trollo dei loro creatori e dotati di una capacità distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato. La seconda è che, di­versamente da tutte le altre catastrofi pas­sate – le guerre mondiali e gli orrori dei totalitarismi – la ca­tastrofe ecologica e quella nucleare sono in larga par­te ir­reversibili, e forse non faremo in tempo a formulare nuovi “mai più”. C’è infatti il pericolo che si acquisti consapevolezza della necessità di un nuovo patto quando sarà troppo tardi. Sono due differenze che rendono non solo razionale e realistico, ma necessario ed urgente l’allargamento a livello globale del paradigma costituzionale. Che è l’ultimo e decisivo passo che dev’essere compiuto dal costituzionalismo: l’introduzione delle garanzie universali dei principi di pace e di giustizia stabiliti in tante carte internazionali che da tali principi, se presi sul serio, è logicamente implicata e giuridicamente dovuta.

Purtroppo la politica è ben lontana dal compiere questo passo. L’aspetto più insidioso e drammatico della sua inerzia di fronte alle catastrofi in atto consiste nella sua cecità, cioè nell’indisponibilità dei nostri governi, condivisa dalle nostre opinioni pubbliche, a percepirle come tali. Questa cecità è dovuta al fatto che abbiamo la fortuna di vivere nella parte ricca del mondo, dove si può rispondere ai cambiamenti climatici adeguando i termostati. Soprattutto i ceti benestanti, e più che mai i titolari di funzioni politiche o di grandi poteri economici, non avvertono tale catastrofe perché da essa non sono toccati. pur essendone i principali responsabili. E’ su questa cecità che si fonda il realismo volgare espresso dall’idea che a quanto accade non esistono alternative.

L’alternativa, al contrario, esiste sempre, e dipende dalla politica costruirla. E’ stata un’alternativa all’ancien regime e all’assolutismo regio la Déclaration des droits del 1789 e il successivo sviluppo dello Stato di diritto. E’ stata un’alternativa al nazifascismo la costruzione, in Italia e in Germania, della democrazia costituzionale sulla base di costituzioni rigide. E’ stata un’alternativa – sia pure solo promessa e non attuata – l’istituzione dell’Onu e delle tante carte dei diritti umani. E’ nella progettazione dell’alternativa alle ingiustizie e alle catastrofi determinate dal gioco naturale dei rapporti di forza che consiste il realismo razionale di tutte le costituzioni avanzate; le quali, di fronte a tali ingiustizie e catastrofi, prefigurano e prescrivono i principi della pace, dell’uguaglianza, dei diritti e della dignità di tutti gli esseri umani in quanto persone e le relative garanzie.

4. La cecità e l’irresponsabilità della politica e il ruolo della scienza giuridica – Il vero problema che pesa sul nostro futuro è dunque la cecità della pubblica opinione, dei media, della politica e dell’economia, pervenuta fino a forme esplicite di negazionismo. I cataclismi ogni anno più gravi e devastanti, il mutare delle stagioni, i grandi caldi e i grandi freddi, le siccità e le alluvioni, gli incendi e le grandini, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari e il prosciugarsi dei fiumi e dei laghi ci stanno dicendo che stiamo comportandoci come se fossimo l’ultima generazione che vive sulla terra; mentre quanti potrebbero accordarsi per impedire le catastrofi non fanno nulla, se non varare leggi punitive contro i giovani che con le loro denunce tentano di aprire i loro occhi.

Eppure una lezione avremmo dovuta trarla da una grave emergenza che proprio in questi anni ha colpito tutto il mondo ed ha mostrato tutta la nostra comune fragilità e interdipendenza: la pandemia del covid 19, improvvisamente esplosa nel febbraio 2020 e non ancora cessata. Il virus non conosce confini e in poche settimane ha invaso tutto il mondo, senza distinzione di nazionalità e di ricchezze. Ha paralizzato e sconvolto l’economia, ha alterato la vita quotidiana di tutti gli abitanti della terra, ha reso evidente, con il suo terribile bilancio quotidiano di contagiati e di morti, la mancanza di istituzioni globali di garanzia della salute. Avremmo dovuto ricavare due insegnamenti, entrambi vitali: il valore insostituibile della sanità pubblica e del suo carattere universale e gratuito, che è la sola garanzia dell’uguaglianza nel godimento del diritto alla salute quale diritto fondamentale di tutti, e il carattere globale delle risposte che avrebbero dovuto essere date all’emergenza sanitaria ad opera di istituzioni sanitarie di garanzia a loro volta mondiali. Solo istituzioni pubbliche e globali possono infatti garantire l’uguale soddisfazione del diritto alla salute di tutti gli esseri umani. Rispetto a questo ruolo l’attuale Organizzazione mondiale della sanità è del tutto inadeguata. Per garantire cure e vaccini a tutti gli esseri umani, essa dovrebbe disporre di un bilancio migliaia di volte superiore a quello attuale: non i 4 miliardi di dollari ogni due anni, oltre tutto di provenienza prevalentemente privata, ma 4.000 miliardi ogni anno, e forse più, onde finanziare la costruzione di ospedali e la presenza di medici, di infermieri e di farmaci in tutto il mondo.

Invece non abbiamo imparato nulla. Nessuno di questi insegnamenti è stato appreso dalla politica e dalla pubblica opinione. Al contrario si è sviluppata una generale rimozione, o peggio una diffusa negazione della pericolosità del virus e della necessità di misure di difesa – dall’obbligo delle mascherine alle restrizioni della libertà di circolazione – e poi perfino dei vaccini. Immediatamente i populismi di tutto il mondo, sia al governo che all’opposizione – in Italia e in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Brasile – hanno dapprima alimentato diffidenza e ostilità alle misure prescritte dalla scienza medica ed hanno poi dato voce e rappresentanza ai negazionisti per raccattarne i voti. Si è rivelata, in questa vicenda, l’alto tasso di irrazionalità – la sfiducia nella scienza e nella ragione e la diffidenza e l’ostilità per la sfera pubblica – che forma l’oscuro sottofondo dell’antipolitica su cui fanno leva tutti i populismi.

Se questa è stata la reazione del nostro ceto politico e di una parte non piccola della pubblica opinione a un fenomeno clamorosamente evidente come è stata la pandemia, che per due anni ci ha chiusi tutti in casa e ha minacciato la vita di tutti, è facile comprendere la cecità e l’imprevidenza di fronte alle altre ben più gravi catastrofi globali, assai meno visibili e impellenti, che incombono sul nostro futuro[6]. Sono perciò l’irrazionalità della pubblica opinione e la cecità della politica i principali nemici del costituzionalismo e, in ultima analisi, dell’umanità[7]. Ma proprio  questa irrazionalità e questa cecità conferiscono ai giuristi un compito insostituibile. Le costituzioni rigide hanno disegnato il dover essere del diritto. Hanno indicato orizzonti e progetti alti, difficili ma possibili, alla politica e alle battaglie civili per i diritti. Hanno perciò capovolto l’antica funzione sociale del diritto e della scienza giuridica: non più la mera conservazione, bensì la critica e la trasformazione dell’assetto dei poteri e delle relazioni sociali, in attuazione dei principi costituzionalmente stabiliti. Di qui un ruolo e un fascino nuovi che possono suscitare il diritto e la cultura giuridica. La prospettiva di un costituzionalismo e di un garantismo globale fa di essi il luogo privilegiato di un rilancio della riflessione teorica su temi e problemi globali altrimenti trascurati.

Pisa, 24.11.2023

[1] Ho introdotto questa nozione in Crimines de sistema, in “Revista de derecho penal y

criminologia”, abril 2019, n. 3, pp. 7-12, poi in Crimini di sistema e crisi dell’ordine internazionale, in “Teoria politica”, n. 9, 2019, pp. 401-411, in La costruzione della

democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari 2021, §§ 8.4-8.8, pp. 411-438 e in Per una Costituzione della Terra. L’umanità a un bivio, Feltrinelli, Milano 2022, cap. II, pp. 40-47.

[2] Questa distinzione, che introduco qui per la prima volta, ricalca la classica distinzione delle norme giuridiche in norme deontiche e norme costitutive, che ho ridefinito in Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2007, vol. I, §§ 8.2 e 4.5, pp. 422-424 e 236-239, con le definizioni D8.5, D8.6, D4.8 e D4.9: sono norme deontiche le norme consistenti in regole deontiche, cioè che dispongono o predispongono obblighi o divieti o aspettative positive o negative; sono norme costitutive le norme consistenti in regole costitutive, cioè che dispongono o predispongono status (di soggetti o di oggetti). E’ chiaro che le garanzie deontiche sono disposte da norme deontiche, come sono tipicamente i divieti penali, mentre le garanzie costitutive sono disposte da norme costitutive come sono, tipicamente, le norme che conferiscono a un bene lo status di bene demaniale. Si veda anche, sulla distinzione tra norme deontiche e norme costitutive, La costruzione della democrazia cit., § 1.5, pp. 51-53.

[3] Sono quelle che fin dal diritto romano furono chiamate “res publicae”, in quanto tali “extra patrimonium” ed “extra commercium”, dette da Gaio e da Marciano “res communes omnium”. “Quaedam enim naturali iure communia sunt omnium”, scrisse Gaio; “et natura­li iure omnium communia sunt illa: aer, aqua profluens, et mare, et per hoc litora ma­ris” (Inst., 2, 1 pr.; D 1, 8, 2, 1).

[4] Si ricordino le parole di Kant: “Certo non basta a questo scopo la volontà di tutti gli uomini singolarmente presi di vivere secondo i principi di libertà in una costituzione legale…, ma occorre che tutti assieme vogliamo questo stato” (Per la Pace perpetua, (1795), Appendice, I, in Id., Scritti politici e di filosofia della sto­ria e del diritto, tr. it. di G. Solari e G. Vidari, ediz. postuma a cura di N. Bobbio, L. Firpo e V. Mathieu, Utet, Torino 1965, cit., p. 318).

[5] Da me proposto nel volume Per una costituzione della Terra cit., pp. 139-197.

[6] Nel paese più potente del mondo, ha scritto Noam Chomsky, il negazionismo in tema ambientale accomuna l’intero partito repubblicano (Internationalism or Extinction [2020], tr. it. di V. Nicolì, Insieme per salvare il pianeta, Ponte alle Grazie, Milano 2023, pp. 25-27).

[7] E’ quanto afferma un documento di scienziati del 1983 citato da N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, 2^ edizione, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 16-17: “La soluzione ultima del problema della guerra può venire dal riconoscimento da parte di tutti che nel nostro tempo ‘l’umanità appartiene a un solo mondo e ha un solo comune nemico: la nostra irrazionalità, che ci impedisce di affrontare insieme i problemi globali’ che affliggono l’umanità, primo fra essi la prevenzione della guerra nucleare”. “Anch’io”, aggiunse Bobbio, “credo che il solo nemico sia la nostra irrazionalità. Ma è un nemico vincibile?

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