Pubblichiamo il racconto di un incontro tra Agnese Moro e il terrorista Bonisoli, fattone da Riccardo Freni della “Fraternità degli Anawim”
ll 16 maggio scorso, presso la Cappella universitaria di Tor Vergata abbiamo assistito all’incontro fra Agnese Moro e Franco Bonisoli: lo sfondo ovviamente era il sequestro e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro avvenuto nel 1978 ad opera delle Brigate Rosse. Ha parlato per prima Agnese Moro che ci ha detto come pur avendo ricevuto piena giustizia istituzionale per la morte del padre (infatti tutti i colpevoli sono stati individuati, condannati ed hanno scontato la loro pena), tuttavia per anni ed anni continuava a soffrire, non aveva ricavato alcuna riparazione al male ricevuto da questa “giustizia”, ogni ricordo del padre era sempre legato ad un dolore insanabile. Dopo più di 25 anni riceve una telefonata da Franco Bonisoli, che vive a Milano e le chiede di poter venire ad incontrarla a Roma. Quasi tutti i parenti e gli amici la sconsigliano, ma ciò nonostante lei decide di accettare sperando di poter superare questo continuo dolore del ricordo legato al padre. Franco, pur essendo stato condannato a quattro ergastoli, dopo pochi anni di carcere duro ha profondamente compreso che non può esistere una violenza cattiva (quella del potere) e una violenza buona di chi come lui voleva abbattere questo potere, la violenza è sempre e solo violenza e quindi male soltanto. Non ha denunciato i suoi ex compagni, ma ha capito di aver sbagliato l’impostazione di tutta la sua vita e si è quindi dissociato dalla lotta armata, beneficiando secondo la legge di alcune riduzioni di pena, per cui ha telefonato ad Agnese da uomo libero, avendo scontato tutto. Un episodio che ha rafforzato questa “conversione”, a quanto ci ha detto, è legato al cappellano del carcere sardo che mentre lui ed altri compagni protestavano contro il carcere duro con uno sciopero della fame molto prolungato, ha annunciato pubblicamente che non avrebbe potuto celebrare la messa di Natale mentre sei fratelli stavano morendo. All’incontro con Agnese, Franco si è presentato con una piantina in vaso, che lei ha interpretato come un segnale di vita dopo tante morti; l’incontro è avvenuto pacatamente, da essere umano ad essere umano, senza rivangare astiosamente il passato, ma guardando al presente ed al futuro delle loro vite. A quell’incontro ne sono seguiti diversi altri negli anni successivi con un piccolo gruppo di persone in condizioni analoghe alla loro, in una località di montagna, sotto la guida del cardinal Martini. In questi incontri ciascuno vedeva nell’altro soltanto una persona, un essere umano simile a se stesso: per poter odiare dobbiamo ridurre l’altro ad uno schema, ad una nostra idea che ci siamo fatti di lui. Se riusciamo a vedere nell’altro una persona come noi ci è impossibile odiarlo. Ci ha colpito anche la semplicità e la sincerità di Agnese e di Franco, si capiva che parlavano di una loro esperienza che li aveva toccati nel profondo. Il pregio della giustizia riparativa è che a differenza della giustizia retributiva prende in seria considerazione la sofferenza della vittima e insieme i più profondi sentimenti del colpevole . Quando funziona , riesce appunto a riparare le profonde ferite che la violenza lascia nell’animo delle persone coinvolte , vittima e colpevole. Il problema principale che vedo è che la giustizia riparativa non può essere applicata in modo meccanico e automatico, ma richiede un coinvolgimento profondo delle persone, che può essere facilitato da operatori ben preparati e sensibili.
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