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Una sentenza iniqua

“Non è solo una dura lex sed lex. Questa sentenza colpisce un modello, quello dell’accoglienza, e non si spiega in alcun modo”

“Qui non ci troviamo davanti alla mera applicazione del principio dura lex, sed lex. Questa sentenza colpisce un modello, quello dell’accoglienza, e non si spiega in alcun modo”. È netto e radicale Luigi Ferrajoli – filosofo del diritto, professore emerito all’Università di Roma 3 ed ex magistrato – mentre commenta con Huffpost la sentenza nei confronti dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Una pena pesantissima: 13 anni e 2 mesi. “Tutto il mondo giuridico si aspettava una condanna mite, o addirittura l’assoluzione. Questo dispositivo è incredibile. Ma da un punto di vista tecnico non deve stupire che sia potuto arrivare”, aggiunge il professore, che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo Diritti umani e diritto disumano, durante un convegno organizzato da Magistratura democratica e dall’Associazione studi giuridici per l’immigrazione.

Con Lucano il diritto è stato disumano?

Sì, anche se il tema – ci risponde – è stato pensato molto prima di questa sentenza. Il termine disumano si riferisce alla nostra legislazione sull’immigrazione. Che dimentica che migrare è un diritto universale.

Professore, possiamo dire che, nel caso della sentenza su Mimmo Lucano, ci troviamo di fronte a un caso di conflitto tra legge e morale, tra legalità e giustizia?

Ma per carità. Questa sentenza è vergognosa, direi scandalosa. Non si spiega in alcun modo se non con la volontà di attaccare questa forma di integrazione sociale dei migranti, il modello Riace, appunto. Io trovo che da questo dispositivo, espressione di una forma di settarismo giudiziario, possa derivare anche un danno al senso morale del Paese,
A questa affermazione, però, il giudice potrebbe tranquillamente rispondere che ha solo applicato la legge.

Non è questo il caso, non c’era solo un modo per interpretare ed applicare le norme. Chiunque abbia una qualche minima esperienza di processi sa benissimo che i giudici dispongono di un’enorme discrezionalità giudiziaria, sia nell’interpretazione della legge che nella valutazione dei fatti e delle prove; e che dunque era ben possibile una pronuncia diversa, quanto meno nella determinazione della pena: quasi il doppio della pena già incredibilmente alta chiesta dal pubblico ministero. Si poteva, tanto per cominciare, concedere come circostanza attenuante l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, del resto Lucano ha solo aiutato della povera gente. Invece la scelta è stata un’altra.
Ma allora come è stata possibile una condanna tanto dura?

Non dobbiamo essere sorpresi per il fatto che tecnicamente, da un punto di vista burocratico, sia possibile. La legislazione italiana è così confusa, contraddittoria, pletorica, che è facile far ricadere su un cittadino un’accusa molto pesante. Nel caso specifico non è stato fatto valere il vincolo della continuazione tra reati e ciò ha comportato il fatto che le pene per ciascun illecito siano state sommate. Ma al di là degli aspetti tecnici, la cosa più grave è che questo tipo di decisioni rischiano di produrre un consenso di massa nei confronti della disumanità quando, invece, uno dei principi fondanti di una democrazia è il rispetto reciproco, la solidarietà.
La portata sociale di questa decisione è enorme. Dobbiamo però ricordare che delle irregolarità nella gestione nel modello Riace – celebrato in tutto il mondo – ci sono state. Le ha ammesse lo stesso Lucano.

Certo, è immaginabile che la mancanza di cultura giuridica lo abbia portato a commettere degli illeciti. Però, vede, la decisione di un giudice deve basarsi anche sulla comprensione del fatto, deve tenere conto del suo contesto. Sotto questo aspetto, la sentenza di ieri è decisamente iniqua, oltre che un segno dei tempi orrendi che stiamo vivendo. Mi lasci dire che i giudici hanno espresso la personale volontà di penalizzare quel modello d’accoglienza.
Luigi Manconi su La Stampa sostiene che la giustizia con questo verdetto si è mostrata scollata dalla realtà. Condivide?

Ovvio. E aggiungo una cosa: qui ci stiamo giocando l’identità democratica del nostro Paese. Anzi, di tutta l’Unione europea. Da un lato riempiamo le Carte di principi sulla dignità della persona, dall’altro facciamo morire la gente in mare e, con una sentenza del genere, è come se volessimo dire che è sbagliato accogliere i migranti e integrarli. Ecco perché io spero che questa decisione, che sta già producendo indignazione e sconcerto, sia modificata in appello.

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