Nel ciclo “Attualità del mito del superuomo” organizzato dalla Pastorale Familiare, al Centro Cardinal Urbani di Zelarino (Venezia), Daniela Turato e Veronica Zanini, esperte in bioetica, hanno parlato dei rischi connessi alle nuove tecnologie di manipolazione dell’umano: la prima a proposito del ricorso degli adolescenti alla chirurgia estetica e a farmaci lesivi, la seconda riguardo la ricerca “cyborg” verso l’automa transumano e postumano.
La biologa e bioeticista Daniela Turato ha spiegato come, inseguendo la perfezione dell’apparire e le prestazioni migliori in ambito scolastico e sportivo, sempre più ragazze e ragazzi fanno ricorso al bisturi, a trattamenti estetici e a “smart drugs”.
Ricerca di canoni di bellezza irraggiungibili e perfezione nel rendimento, sono stati i temi trattati durante l’incontro. Genitori ed educatori oggi si trovano a fare i conti con l’idea sempre più radicata negli adolescenti del superuomo, tanto che molti sono i giovani che chiedono o desiderano un ritocchino estetico.
«Il fenomeno nel 2021 è aumentato del 19,3% e interessa sia ragazze che ragazzi. Principalmente, ha detto Daniela Turato, vengono richieste iniezioni di botulino e acido ialuronico, per proseguire con labbra pompate, zigomi squadrati, addominoplastiche, rinoplastiche, interventi a palpebre, orecchie e seni». Oggi è sempre più facile veder entrare negli studi dei chirurghi estetici quindicenni che non hanno alcun bisogno di interventi estetici ma che considerano la chirurgia la via maestra per realizzarsi: «Chiedono interventi spropositati rincorrendo quella perfezione proposta dagli idoli sui social e dai filtri sempre più ingannevoli e distanti dalla realtà».
Gli interventi estetici sono in aumento tra i giovanissimi. I numeri infatti sono in aumento: «In America sono oltre 30 mila i minorenni che si sottopongono ad interventi estetici. Uno studio condotto dalla Società Italiana di Medicina Estetica in collaborazione con l’Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro rivela poi che su un campione di 2265 giovani italiani tra i 13 e i 18 anni il 49,2% sarebbe disposto a ricorrere alla medicina estetica e il 31% anche alla chirurgia» continua l’esperta in bioetica. Ad oggi hanno già fatto ricorso alla chirurgia il 15,8% delle ragazze e il 3,3% dei ragazzi e gli interventi spesso sono consigliati proprio dai genitori: «Il 12,6% avrebbe infatti suggerito ai figli la medicina estetica, così la seduta dal chirurgo diventa il regalo di compleanno». Spesso il desiderio di migliorarsi è accompagnato da disturbi del comportamento e alimentari che però andrebbero approfonditi prima di sottoporsi ad un intervento estetico: «Il rischio è che i ritocchi non siano sufficienti a risolvere un malessere interiore, tanto da cercare poi interventi sempre più pericolosi» spiega Turato.
C’è poi la ricerca delle performance sportive e scolastiche. Il mito del superuomo non è solo estetico, c’entra anche con la performance a livello scolastico e sportivo. Troppi sono i casi di suicidio negli studenti universitari che sentono la pressione di aspettative asfissianti in una continua ricerca dell’eccellenza. Negli Stati Uniti uno studente di medicina su 7 ha considerato almeno una volta l’idea del suicidio. L’8% poi ricorre a sostanze per migliorare attenzione e prontezza mentale. Anche in Italia in ambito scolastico e universitario si sta sempre più affermando il ricorso alle smart drugs, i cosìddetti farmaci “furbi” usati per iperattività, Parkinson e narcolessia, che se presi da persone sane provocano un generale incremento delle capacità cognitive e di concentrazione, aumentando l’efficienza e la resistenza alla fatica. «Tutte sostanze che però a lungo andare portano ad effetti collaterali quali disturbi cardiaci, allucinazioni, insonnia, psicosi, paranoie e comportamenti suicidari».
L’eccellenza è poi richiesta anche nelle performances in campo sportivo, un ambito in cui oltre a puntare al raggiungimento di un obiettivo si dovrebbe anche imparare il valore della sconfitta: «Il 20% degli atleti soffre di attacchi di panico e ansia. Ne hanno sofferto i nuotatori Michael Phelps e Federica Pellegrini e i tennisti Naomi Osaka e Andre Agassi, spiega Turato, ricordando il recente caso della ginnasta statunitense Simon Biles. “Quando si ritirò dalle Olimpiadi di Tokio fu criticata perché si era mostrata debole e considerata una vergogna per il suo Paese». È proprio in questo contesto allora che bisogna educare i ragazzi all’importanza di accogliere l’umana fragilità: «Nell’epoca del superuomo – conclude la Turato – i ragazzi sono come vasi fragili affidati alle nostre mani e ogni volta che per qualche motivo cadono e si rompono dobbiamo essere con loro a rimettere insieme i cocci della loro delicata esistenza».
L’idea del superuomo abbraccia anche i campi tecnoscientifici del transumano e del postumano dove il cyborg propone un’idea del mondo sempre più ibrida e neutra.
Di questo ha parlato l’esperta in bioetica Veronica Zanini nel corso dello stesso ciclo. I concetti di Transumanesimo e Postumanesimo hanno a che fare con tutto ciò che riesce a potenziare l’uomo dal punto di vista neurobiologico grazie alle nuove frontiere tecno-scientifiche.
Un progetto transumanista ad esempio è Neuralink di Elon Musk: «Questo progetto punta ad innestare un chip nella scatola cranica così da lenire gli effetti delle malattie neurodegenerative come Parkinson, Alzheimer o epilessia, ma il vero obiettivo è ampliare la memoria del cervello umano» spiega Zanini.
Il cyborg poi, automa umano e artificiale insieme, supererebbe la questione di genere in quanto ibrido per eccellenza. Diverse sono le teorie cyberfemministe che vanno appunto in questo senso: come quella di Judith Butler che nel 1990 pubblica il libro “Questione di genere” in cui sostiene la necessità di destrutturare il linguaggio per arrivare a parole più inclusive e neutre, mentre Donna Haraway l’anno successivo nel Manifesto Cyborg parla del vizio del metodo binario che funziona per elementi contrapposti, come maschio e femmina appunto, dove è sempre uno a prevalere sull’altro: si pensi alle società patriarcali di un tempo.
Teorie queste che oggi interpretano quella che molti filosofi identificano come società liquida, che ha distrutto tutti gli assoluti. Non è un caso se da diversi anni c’è la tendenza a dare ai propri figli nomi tratti dalla tecnologia e dall’informatica, dai quali non trapela il sesso del soggetto: «Primo fra tutti Elon Musk che nel 2020 ha chiamato suo figlio X AE A XII, dice Zanini Non mancano nel mondo nomi quali Apple, Mac o Siri, Html, Like, Facebook e Twitter. A cui si aggiungono nomi come Rose Wireless o Router Thomas. Una tendenza – dice l’esperta in bioetica – che mina la nostra cultura latino ebraica». La tendenza a dare ai figli nomi neutri si lega ai casi sempre maggiori di disforia di genere, ovvero quando il soggetto non si riconosce nel suo essere maschio o femmina.
Oggi in campo medico quando si parla di disforia di genere viene impiegata la Triptorelina, un farmaco solitamente prescritto dai ginecologi per i casi di pubertà patologica a sei anni. «Dal 2019 però l’Aifa ha inserito il farmaco a carico del sistema sanitario nazionale affinché possa essere usato per quei casi in cui già a 12 anni – spiega la bioeticista – viene diagnosticata la disforia di genere da una équipe multidisciplinare. Questo farmaco blocca di fatto lo sviluppo sessuale del soggetto, evitando la comparsa dei tratti tipicamente maschili e femminili, così che a 18 anni sia più facile cambiare sesso. Una cultura dell’ibrido che di fatto frena il passaggio tra essere bambino e adulto» avverte Zanini, dicendo che il 12 gennaio scorso la Società Psicoanalitica italiana ha sottolineato che solo una parte dei giovani che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso poi conferma questa posizione dopo la pubertà.
In questo contesto la nuova frontiera del cyberfemminismo risolve il problema pensando alla dematerializzazione del corpo: «Dmitry Itskov entro il 2045 prospetta di liberarsi del corpo dopo aver fatto una mappatura del cervello. Tre sono i luoghi in cui poi andrebbe a caricarlo, superando così la mortalità: un cervello artificiale, un ologramma o sul Metaverso». E proprio sul campo del Metaverso si sofferma la bioeticista. Un concetto ancora per molti astratto ma che presto coinvolgerà i settori della moda, dell’arte e della cultura, della medicina e della scuola: «Per quest’ultima dalla semplice lezione frontale si passerà a strumenti sempre più immersivi che permetteranno di far vivere una battaglia anziché spiegarla». Questo per i ragazzi rischia di compromettere le capacità immaginative e creative, ma non solo: «La tecnologia infatti porta sempre più verso problemi di tecnoidiozia e fuga dalla realtà con aumenti di psicosi e depressione e non da ultimo – conclude Zanini – la perdita dei contatti con l’umano».
Francesca Catalano
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