Come lo era stato in vita, così Berlusconi è stato segno di contraddizione in morte. Non è mancato né il servo encomio né il giudizio più severo, si è discusso sull’opportunità dei funerali di Stato, e si è ostentato di non prenderne il lutto, si è detto che “a cadavere caldo” ci si dovesse astenere dalla critica e se ne è fatta per contro l’apologia. È rimasta dunque aperta la domanda su chi veramente egli sia stato, angelo o fiera, quale risuona l’antica domanda sull’uomo. E su questo dilemma si è snodata l’omelia funebre dell’arcivescovo Delpini nel duomo di Milano, suscitando anch’essa un fiume di polemiche.
Si è detto che egli ha cambiato l’Italia, ma è più probabile che l’Italia sia cambiata da sé, persino la deriva politica di cui soffriamo sarebbe forse la stessa anche se lui non ci fosse stato.
Non è vero che con le televisioni commerciali ha innovato la cultura popolare del Paese; molto di più lo ha fatto Ettore Bernabei dando vita alla televisione pubblica, inventandosi un linguaggio televisivo né ignorante né dotto, inaugurando il ruolo politico di quell’ ”elettrodomestico” di largo consumo, come, demitizzando, egli chiamava la TV.
Nemmeno è vero che Berlusconi sia stato l’ “arcitaliano”, cioè assimilato alla nuova identità dell’italiano medio, Interno agli umori e alle mode dei più, omogeneo al prevalente carattere della nazione o dell’etnia, come oggi si dice. In realtà Berlusconi da questa Italia dei più è stato difforme, nessuno si è sentito paragonabile a lui per le ricchezze, nessuno per le ville e i palazzi che abitava, e se nessuno ha pagato tante tasse quanto lui, come dicono di lui i suoi paladini, più ancora ne hanno pagate, fatte le debite proporzioni tra i redditi, gli italiani comuni che non le hanno né evase né eluse.
E nemmeno i maschi italiani hanno coltivato una concezione della donna come la sua, né hanno pensato le donne come godimento e come gioco, né ne hanno preservato e rilanciato lo stereotipo come lui.
La maggioranza poi della classe politica, dei parlamentari, dei pubblici ufficiali, non ha fatto ricorso, come lui, allo strumento della concussione, riconoscibile o meno che fosse come reato. E nessuno si è gloriato di dover fronteggiare tanti processi e infamanti accuse, e nel contempo scatenare lòa guerra contro i magistrati.
È vero invece che nella percezione della situazione internazionale egli è stato molto più perspicace, intelligente e anche patriottico dei suoi amici ed avversari; non è stato né un simil-americano, né un atlantista cieco anche se alla NATO è rimasto obbediente; ha tentato di mettere insieme Putin e l’America, Erdogan e l’Europa, ha capito l’errore della gestione di Zelensky in Ucraina e, se pure in telefonate private, ha espresso fino alla fine la sua contrarietà alla politiche che attizzano la guerra in corso.
È stato detto che su tutto questo il giudizio va lasciato alla storia. Ma della politica che la storia dovrà giudicare siamo responsabili noi. E se, come ha detto l’arcivescovo Delpini “nei nostri tempi” l’uomo politico “cerca di vincere , ha sostenitori e oppositori , c’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo” e “ l’uomo politico è sempre un uomo di parte”, è il caso di preparare altri tempi, in cui la politica sia presa in mano da chi non vuole vincere ma servire, da chi non divide il mondo tra amici e nemici, da chi persegue il bene comune e non il più alto gradimento nei sondaggi, da chi si preoccupa della dignità e della vita di tutti, da chi non è in ogni decisione che prenda un uomo di parte e di partito, ma prenda partito per la pace di tutti, per la salvezza della Terra, e per la dignità di ogni persona.
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