I protagonisti del conflitto

Il grande sconfitto è l’Occidente che ha voluto porsi come modello e dominatore del mondo, e ha tradito messianismi e profezie smarrendo la sua vocazione all’universalità

Pubblichiamo l’intervento di Raniero La Valle al Convegno romano tenutosi il 30 novembre alla Biblioteca del Senato sull’alternativa di guerra e pace

Posta l’alternativa “Guerra o pace?” è molto importante cercare di capire qual è la vera natura di questa guerra. Sempre più appare che essa non è un accadimento circoscritto, ma un capitolo di una guerra costituente  che investe tutto l’ordine internazionale e lo struttura come un sistema di dominio e di guerra, i cui effetti sono imprevedibili e  possono essere devastanti per tutti i soggetti della comunità mondiale.

Presa in se stessa,  questa d’Ucraina è una guerra assurda.  La guerra infatti non solo può essere dulce inexpertis, non solo può essere aliena a ratione, non solo è contro il diritto, non solo è efferata, ma può essere più che insensata, assurda. E questa lo è. Non ci voleva niente a evitarla, e poteva ben presto finire, 15 giorni dopo, con gli accordi di Antalya subito ricusati dalla NATO.

Dato che questo non è successo, vediamo quali sono i ruoli che nella guerra hanno giocato i diversi protagonisti: lo sfidante, il nemico, la vittima, i vincitori, gli sconfitti.

1. Gli sfidanti sono gli Stati Uniti che dopo la rimozione del muro di Berlino, si sono prefissi di instaurare un ordine mondiale fatto a loro immagine e misura e conformato a un unico dominio. Secondo i documenti strategici dell’amministrazione americana -Casa Bianca e Pentagono – (gli ultimi dell’ottobre scorso) dovrebbe trattarsi di un ordine fondato sui tre pilastri della democrazia, della libertà e della libera impresa e dovrebbe realizzarsi entro questo decennio con l’eliminazione della Russia e la sfida finale con la Cina. Pertanto la guerra d’Ucraina si è presentata come una buona occasione per cominciare col liquidare la Russia, senza nemmeno dover combattere. Secondo  Biden bisognava ridurre la Russia alla condizione di paria, ed eliminarla dalla competizione strategica per il dominio globale. Questo dice qual è l’alternativa reale per cui si combatte in questa guerra:  o un mondo unipolare e monocratico uniformato a un solo modello culturale e politico, o un mondo pluralistico ma in pace con tutte le sue diversità e le sue dialettiche.  E questa è anche la vera scelta che è posta davanti a noi.

2. Il Nemico è naturalmente  la Russia. In lei l’Occidente ha ritrovato Il nemico che aveva perduto grazie alla rimozione gorbaciovana del muro di Berlino. L’Occidente ne aveva bisogno perché senza nemico non si può recuperare lo strumento della guerra, come invece, finita la deterrenza,  si è affrettato a fare con la guerra del Golfo; ne aveva bisogno perché senza nemico ad Est non può stare in piedi la NATO ad Ovest, e perché senza la coppia amico-nemico  secondo la nostra cultura viene meno anche la politica, il “criterio” del politico. La Russia ci ha messo del suo a farsi prendere per nemico, si è offerta alla recriminazione universale, perché mentre aveva ragione nell’opporsi alla NATO in Ucraina e alla repressione nel Donbass, muovendo guerra è precipitata nel torto e ha dato un alibi alla frenesia antirussa imperante in Occidente. Tuttavia la Russia di Putin ha tenuto sotto controllo la sua forza, scegliendo di condurre una guerra circoscritta e a bassa intensità, invece di invadere tutta l’Ucraina e occupare Kiev, come avrebbe potuto fare data la disparità delle forze in campo. Non lo ha fatto non perché non ci è riuscita a causa della sua impreparazione militare, ma perché la posta in gioco non è l’Ucraina, ma l’ordine del mondo.

E un uso controllato della forza ha fatto Putin anche nei confronti della rivolta della Wagner; avrebbe potuto sparare e fermare così la marcia verso Mosca, e non l’ha fatto, scegliendo una soluzione politica (con i terroristi dunque si tratta, al contrario dell’ortodossia corrente in Italia!) e scongiurando una guerra civile.

3. La vittima, come sempre dice il Papa, è la martoriata Ucraina (oltre alle popolazioni povere di mezzo mondo colpite dalla crisi alimentare e energetica). Ma questa vittima ucraina è stata immolata non da uno solo, ma da molti officianti del sacrificio. Putin per primo l’ha individuata come il fulcro della contraddizione e causa della violenza e l’ha gettata nella guerra, ma gli amici e alleati dell’Ucraina l’hanno subito assunta come vittima da innalzare per una soluzione salvifica della crisi, e hanno fatto di Zelensky l’eroe sacrificato ai valori e all’identità dell’Occidente; Europa America e NATO hanno d’incanto raggiunto la loro unità, stabilendo la loro comunione nelle armi inviate alla vittima e nell’affidare alla sua morte sacrificale, spacciata come vittoria, i propri sogni di gloria; si è così stabilita intorno all’Ucraina un’unanimità violenta, che ha accomunato amici e nemici. A sua volta l’Ucraina ingannata dagli Alleati che le hanno promesso la vittoria sulla Russia, si è offerta essa stessa come vittima espiatoria con la decisione di bandire il negoziato, e di non ammettere altro esito che il recupero delle terre perdute, fino alla Crimea; ci sono pagine inquietanti di René Girard, il grande rivelatore dell’ideologia sacrificale, che hanno mostrato come molto spesso la vittima stessa si faccia complice della propria immolazione; e in Zelensky il sacrificatore si è fatto sacrilego perché sacra è la carne del suo popolo gettato nella fornace: anche a costo di restare in guerra per anni, come ha detto, intervistato a “Otto e mezzo”, il ministro degli esteri ucraino Kuleba. Nella logica del potere, come ha mostrato lo stesso Girard,  le istituzioni dissimulano la loro propria  violenza proiettandola su sempre nuove vittime.

4. I vincitori di questa guerra sono senza dubbio quei fabbricanti americani di armi che tra il 1996 e il 1998 investirono 51 milioni di dollari (94 milioni di oggi) in attività di lobbying per convincere congressisti e Casa Bianca a estendere verso Est la NATO, per espandere il mercato delle armi; come ha detto l’arcivescovo Delpini nel duomo di Milano in morte di Silvio Berlusconi, quando si fanno affari si guarda ai numeri e si dimenticano i criteri. Dimenticati i criteri, la guerra in Ucraina è venuta ed ha ripagato ad usura quell’investimento, dato che già 100 miliardi di dollari dagli Stati Uniti sono andati in armi e profitti per sostenerla.

E chi è lo sconfitto? Sconfitto è il progetto di un mondo tutto assorbito nel nuovo secolo americano, perché il mondo non ci sta ad essere ridotto a un unico Impero. Il mondo non è un’entità amorfa, primitiva, disponibile al dominio.  È stata questa l’hybris dell’Occidente, la sua scalata al cielo. Mentre fiorivano altre civiltà, a lungo abbiamo creduto che il mondo fosse tutto compreso nella koiné greco-romana, poi lo abbiamo costituito in cristianità, e ora lo chiamiamo Occidente. Ma questa guerra segna la fine dell’Occidente, la sconfitta  della sua pretesa di intestarsi la storia del mondo, di ricapitolarne tutti i valori.

Qual è stato il peccato capitale dell’Occidente? L’Occidente non ha riconosciuto l’altro, lo straniero, non lo ha considerato pari a sé. Nonostante il rovesciamento del cristianesimo e di san Paolo, l’Occidente si è portato dietro un’antropologia della diseguaglianza che da Aristotele, dalla società di signori e servi, di cittadini e meteci, di schiavi e liberi, è arrivata fino ad Hegel ed a Croce, passando attraverso la scoperta dell’America; solo questa è costata la scomparsa di 100 milioni di Indiani, di cui anche teologi dell’Occidente dubitavano che avessero l’anima.  L’attuale paura della sostituzione etnica, la lotta ai migranti che vengono dal Sud, non a quelli che vengono dall’Ucraina, i porti chiusi, Cutro, sono figli di questa cultura della selezione e dell’esclusione. Non passa lo straniero! Ma, come dice Carl Schmitt, nel senso più estremo lo straniero non è solo l’altro, l’estraneo, ma è il nemico. E il nemico non è necessariamente il malvagio,  il nemico è semplicemente l’altro da me; e in fin dei conti,   come dirà poi lo stesso Schmitt alla fine della sua vita, grazie alla “sapienza della cella” in cui era rinchiuso per i suoi trascorsi col nazismo, il nemico è “colui che mette in questione me stesso”; in un certo senso dunque il nemico è qualcosa che sta dentro di noi, perché noi stessi siamo continuamente questione a noi stessi; ma ciò vuol dire che se l’Occidente non riconosce l’altro, non lo accoglie come un altro uguale a sé, lo rifiuta come prossimo, non conosce neanche se stesso, è diviso anche in se stesso, è nemico a se stesso.

Qualche giorno fa il Corriere della Sera, pubblicando un editoriale di Angelo Panebianco sullo stato del mondo, titolava  così: “L’Occidente e il resto del mondo”. No, non c’è un Occidente che è il mondo, e un resto che è ciò che avanza del mondo, il residuo, lo scarto.  Il mondo è uno, ma non per dominarlo come un Impero solo, e nemmeno per dargli un unico diritto, un unico Nomos.  Non è questa l’universalità.  L’Occidente ha avuto la vocazione alla vera universalità, ha generato messianismi  e profezie, ha concepito una koiné che nell’armonia di ricchezze diverse si estendesse fino ai confini della Terra. È questa universalità che l’Occidente  ha tradito. Ma  non è mai troppo tardi per riafferrare il kairòs mentre fugge, e riaprire il futuro.

Sarebbe tempo che l’Occidente recuperasse la sua vocazione, scongiurasse la fine e che insieme a tutti gli altri si mettesse in gioco per un’altra concezione del mondo, per salvare la Terra.

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