Newsletter n. 120 del 7 giugno 2023 – L’ALGORITMO

Newsletter n. 120 del 7 giugno 2023 L’ALGORITMO Cari amici, è saltata la diga sul Dnepr. La rovina che ne è derivata da un lato potrebbe ostacolare la controffensiva ucraina […]

Newsletter n. 120 del 7 giugno 2023

L’ALGORITMO

Cari amici,

è saltata la diga sul Dnepr. La rovina che ne è derivata da un lato potrebbe ostacolare la controffensiva ucraina nella zona di Kherson, dall’altro potrà togliere l’acqua potabile alla Crimea russa, assetandola. Non si può dire perciò a chi giovi questa catastrofe, mentre essa colpisce tutti e due, come nel giudizio di Salomone fare a pezzi il bambino voleva dire toglierlo a tutte e due le madri. In ogni caso siamo all’avvelenamento dei pozzi, al “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ai pozzi di petrolio incendiati dagli iracheni sconfitti nell’abbandonare il Kuwait nel 1991. Chi è stato? Zelensky, la Nato, quasi tutto l’Occidente dicono che sono stati i russi, i cui soldati peraltro sono stati i primi ad essere travolti sulla riva orientale del fiume; la Russia dice che sono stati gli ucraini; il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e il segretario generale dell’ONU, Gutierrez, dicono che non si sa, che bisogna indagare.

Tutti concordano però nel dire che è stato un atto di terrorismo. Pertanto, se mancano le notizie, per capire che cosa è successo bisogna interrogare la storia e la ragione. Esse dicono che il terrorismo è l’arma dei deboli e degli sconfitti, non dei vincitori e dei potenti  che non ne hanno bisogno, essi dispongono del terrore istituzionalizzato, hanno le armi e fanno la guerra. A Hiroshima e Nagasaki fu terrore, non terrorismo, nella guerra fredda le grandi Potenze giocarono terrore contro terrore, ma sconfessarono il terrorismo.  Non è nemmeno detto che tutti i terroristi siano dei criminali e dei folli, vi ricorrono anche uomini illustri;  alla fine del mandato britannico in Palestina Menachem Begin, che diverrà poi primo ministro d’Israele, si mise a capo dell’organizzazione terroristica dell’Irgum, e fece saltare in aria l’ambasciata inglese a Roma  e l’albergo King David a Gerusalemme. Poi furono i palestinesi, per disperazione, a ricorrere al terrorismo dirottando gli aerei e le navi da turismo, poi con quattro temperini sugli aerei di linea gli arabi per sfidare gli Stati Uniti distrussero le Due Torri di New York; e in questa guerra c’è già stato il sabotaggio agli oleodotti del Mar Baltico, che secondo il “Washington Post”, avvalsosi di fonti dell’ “Intelligence”, è stato organizzato dagli ucraini per bloccare l’esportazione del petrolio russo in Europa, già insidiata dalle sanzioni, mentre già dentro il territorio della Russia, a conferma del pericolo di avere la NATO ai confini, si esercita un terrorismo antirusso con armi della NATO a beneficio dell’Ucraina. In questo finale della guerra russo-ucraina è l’Ucraina la parte più debole, nonostante la retorica della vittoria che le sarebbe stata procurata dalle armi inviatele da mezzo mondo, ed è l’Ucraina che sente l’imminenza della sconfitta, a meno che non si passi alla guerra generale.

Ma è appunto la guerra, in ogni caso, la vera matrice di questo atto di terrorismo. Sicché la colpa è di chi la guerra l’ha iniziata, ed è stato Putin, e di chi non ha voluto che finisse, e sono stati molti, a cominciare dalla NATO, quando già nei primi giorni si era avviato un promettente negoziato ad Ankara. Ed è responsabilità  di chi ancora non vuole che finisca. Al G7 di Hiroshima il Giappone aveva invitato il Brasile, l’India e l’Indonesia che si erano illusi di poter discutere piani di pace per l’Ucraina, e invece i Grandi non fecero che rilanciare sanzioni e guerra; poi alla conferenza sulla sicurezza dell’Indo Pacifico a Singapore, il ministro indonesiano della Difesa ha proposto un piano assai ragionevole di ritiro dei due eserciti di 15 chilometri per parte, di un cessate il fuoco, di un intervento delle forze di pace dell’ONU nella zona così smilitarizzata, e poi  di un referendum indetto dalle stesse Nazioni Unite per far decidere alle popolazioni dei territori contesi con chi vogliono restare. L’ autodeterminazione dei popoli! Ma subito gli hanno detto di no, a cominciare dall’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, secondo il quale non è questa “la pace che l’Europa vuole”. Ma che pace vuole l’Europa, e con quale diritto lo ha detto, senza un mandato della Commissione, del Parlamento europeo, dei governi di tutta l’Europa? E dunque chi rappresenta il Rappresentante?

Poi Zelensky ha detto che non è il momento di trattare, ma è quello della controffensiva, grazie a cui saranno liberati i territori perduti, anche se ciò vorrà dire che molti soldati ucraini saranno uccisi. Territori invece della vita. Poi è arrivato il cardinale Zuppi; glielo ha mandato papa Francesco prima di andare all’ospedale per una rischiosa operazione, nonostante il rifiuto già ricevuto a Roma, per tentare l’impossibile, e mostrare che un cristiano non chiede la pace solo a parole, ma ci mette tutto se stesso, fino al dono della vita. E Zelensky ha risposto di nuovo di non aver bisogno di mediatori, e che l’Ucraina decide della sua guerra, e che “può essere solo ucraino l’algoritmo per farla finire”. Il problema è che l’algoritmo dà la sua risposta scegliendo tra una infinita quantità di varianti, mentre Zelensky ne considera una sola, la vittoria. Solo che da questo algoritmo non dipende solo la sorte di un governante, ma di tutto un popolo, il suo, di molti altri popoli, e forse del mondo intero.

Nel sito troverete un testo che viene dall’America su “Il mondo che chiede la pace”, un articolo di Léo Matarasso sul diritto dei popoli e il racconto di un incontro tra Agnese Moro e il terrorista Bonisoli  “Quale giustizia?

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