LE POLITICHE CONTRO I MIGRANTI SONO “CRIMINI DI SISTEMA”

Una denuncia del Tribunale Permanente dei popoli dopo una lunga istruttoria svoltasi in 5 sessioni distinte. L’accusa all’Unione Europea e ai suoi singoli Stati è di aver messo in atto politiche leggi e accordi internazionali che negando i diritti fondamentali del popolo dei migranti costituiscono crimini contro l’umanità. È il momento di cambiare strada

Pubblichiamo il documento presentato il 9 aprile 2019 dal Tribunale Permanente dei Popoli al Parlamento europeo sulla violazione dei diritti umani delle persone migranti e rifugiate, documento che riassume le conclusioni raggiunte dal Tribunale in una serie di sessioni tenutesi a Barcellona nel luglio 2017, a Palermo nel dicembre 2017 a Parigi nel gennaio 2018 a Barcellona e a Londra nel novembre 2018

1. Quadro di riferimento

Il nucleo centrale dell’atto di accusa presentato al Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) da una estesissima rete di organizzazioni e movimenti europei, da tempo attivi nei diversi contesti della migrazione, con la richiesta di promuovere sessioni di giudizio nei termini previsti dallo statuto del Tribunale Permanente dei Popoli, può essere così sintetizzato:
a) il popolo dei rifugiati e dei migranti è oggetto e vittima di violazioni gravissime e sistematiche dei diritti fondamentali (alla vita, alla dignità, al lavoro, alla salute, alla ricerca di futuro…) da parte dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, in un contesto di totale impunità dei responsabili e segnato invece da politiche di repressione degli attori sociali che esprimono, individualmente e collettivamente, pratiche di solidarietà;

b) il diritto alla migrazione, riconosciuto da sempre come costitutivo della storia dei popoli, viene negato e diventa espressione tragica di una politica neo- coloniale che nega l’esistenza stessa e l’identità del popolo dei migranti, trasversale per provenienze e per cause, che è il prodotto di una globalizzazione fondata su un modello di sviluppo basato su strategie economiche, ambientali, di sicurezza e di guerre diffuse, che fanno della migrazione un fenomeno di lunga durata che non può essere fermato con interventi di respingimento o contenzione.

Il Tribunale Permanente dei Popoli – che da più di 40 anni opera avendo come fondamento il diritto internazionale vigente e la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli – ha riconosciuto negli scenari drammatici, che migranti e rifugiati vivono alle frontiere e nei paesi europei, una situazione già oggetto di indagine e giudizio in molte delle sue precedenti sessioni e ha accettato di tradurre la richiesta in una procedura formale di ricerca, accertamento di crimini e di responsabilità e proposte di intervento.

Coerentemente con il mandato del Tribunale Permanente dei Popoli, che non è principalmente penale, ma di promozione di categorie e pratiche innovative di diritto, il percorso adottato è stato quello di procedere attraverso sessioni mirate a rendere evidenti le diverse componenti di una realtà molto complessa e diversificata nelle sue espressioni, ma tragicamente simile nella sostanza. I luoghi e i temi delle sessioni (Barcellona, luglio 2017; Palermo, dicembre 2017; Parigi, gennaio 2018; Barcellona, luglio 2018 e Londra, novembre 2018) forniscono una mappa orientativa dell’approccio adottato, dell’estensione e specificità delle indagini, della complementarietà dei risultati, sia per quanto riguarda la documentazione dei fatti e le acquisizioni testimoniali, sia per la qualificazione dei fatti e delle responsabilità.

A conclusione di ognuna di queste sessioni, le giurie del Tribunale Permanente dei Popoli, diverse per provenienza, professionalità e cultura, hanno emesso decisioni dettagliate, sia in ordine agli aspetti fattuali sia per le motivazioni e le conclusioni adottate.
Gli elementi essenziali di questo percorso sono ripresi, in modo esteso e rappresentativo della logica e delle pratiche radicate nelle diverse realtà sottoposte all’attenzione del Tribunale Permanente dei Popoli, nei documenti preparatori per questo evento conclusivo dai movimenti che hanno promosso e accompagnato il lavoro del Tribunale Permanente dei Popoli, con particolare attenzione, aggiornata agli ultimi mesi, ai processi di criminalizzazione della società civile e agli spazi di assenza di diritto nei quali si esercita la violenza di genere e quella contro i minori.

2. Accertamenti e decisioni delle singole sessioni

2.1. Durante le diverse sessioni del Tribunale sulle violazioni dei diritti dei migranti, sono emerse molte somiglianze nel trattamento dei migranti, nonostante le situazioni specifiche di ogni paese. In particolare, quella che è stata spesso definita la crisi dei migranti è in realtà una profonda crisi dell’Unione europea, che si è manifestata in tutti i paesi dell’Unione in varie forme.
Dalla sessione di Palermo è emersa la contraddizione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, che, da un lato, proclama l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti fondamentali e, dall’altro, adotta politiche che ignorano o violano questi diritti per i migranti.
Il diritto di migrare, ius migrandi, utilizzato per giustificare la conquista dell’America, è ora negato ai migranti del Sud che si spostano a Nord. Il diritto di muoversi liberamente, sancito dall’art. 12.2 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e il diritto al lavoro, previsto nell’art. 6 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, sono in realtà negati dalla chiusura delle frontiere europee.
Migrare è un atto esistenziale e politico. Lo ius migrandi dovrebbe essere accompagnato dal dovere di accoglienza, ma quest’ultimo si scontra con la sovranità degli Stati, esercitata nel loro territorio. Per affermare la propria sovranità lo Stato blocca i migranti alla frontiera, è cosi disposto a violare i diritti umani. L’unico obiettivo della politica europea è fermare l’immigrazione. Questa politica di chiusura delle frontiere d’Europa, la cui opulenza si è costruita grazie ad un sistema economico predatore delle risorse del Sud, non può essere considerata né legittima né eticamente giustificabile, finché l’Unione Europea non si impegnerà ad adottare un altro modello economico mondiale che permetta lo sviluppo dei paesi da cui fuggono i migranti per necessità, accettando scientemente il rischio di morire annegati nel Mediterraneo, di fronte alla certezza della morte per guerra o di fame nella loro terra.

In tale contesto, l’ospitalità è snaturata e si trasforma in ostilità. La prova che l’unico obiettivo della politica europea sia il blocco dell’immigrazione è l’assenza di disposizioni e di norme che prevedano vie di entrata legali e sicure, nonostante l’evidente consapevolezza del fatto che le migrazioni sono un fenomeno strutturale che non si può gestire con muri fisici o giuridici.
Le politiche dell’Unione Europea sull’immigrazione e l’asilo, a partire dagli accordi adottati dagli Stati Membri e i paesi Terzi, rappresentano una negazione dei diritti fondamentali delle persone e del popolo migrante, che, definendoli clandestini e illegali, colpisce la loro dignità e considerando illegali le attività di soccorso e di assistenza in mare
La decisione di ritirare le unità navali di Frontex e di Eunafor Med ha contribuito all’estensione degli interventi della guardia costiera libica nelle acque internazionali: essi bloccano i migranti in viaggio per l’Europa mettendo in pericolo la loro vita e la loro incolumità, li portano nei centri di detenzione libici dove sono soggetti a pratiche di estorsione economica, a tortura e a trattamenti disumani e degradanti.
Le attività delle forze di polizia e militari in territorio libico e nelle acque territoriali libiche e internazionali, così come quelle delle molte milizie tribali e della cd. «guardia costiera libica», a seguito del memorandum del 2 febbraio 2017 Italia-Libia, hanno avuto come conseguenza la morte, la deportazione, la sparizione di persone, l’imprigionamento arbitrario, la tortura, lo stupro, la schiavitù e, in generale, la persecuzione del popolo dei migranti, un crimine contro l’umanità.
La condotta dell’Italia e dei suoi rappresentanti, secondo quanto previsto dal suddetto memorandum, ammette la competenza totale delle azioni delle forze libiche contro i migranti, sia in mare che sul territorio libico.
In seguito agli accordi con la guardia costiera libica e durante le attività di coordinamento delle azioni, gli episodi di aggressione denunciati dalle ONG che fanno attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, rientrano anche sotto la responsabilità del governo italiano, possibilmente in connessione con le agenzie europee che operano nello stesso contesto
L’allontanamento forzato delle imbarcazioni delle ONG dal Mediterraneo, indotto anche dal «codice di comportamento» imposto dal governo italiano, ha considerevolmente indebolito le azioni di ricerca e soccorso dei migranti in mare e ha contribuito a innalzare il numero delle vittime.
2.2. La sessione di Parigi ha dimostrato che il principio di non respingimento, che mira ad assicurare la protezione di chi fugge dal proprio paese, per qualsiasi motivo, è stato spesso violato, nella metropoli francese, a Mayotte, in Italia verso la Libia, in Spagna verso Ceuta e Melilla, e coinvolge la responsabilità degli Stati.
L’accordo Turchia-Unione Europea del marzo 2016 ha permesso di rimandare verso la Turchia ogni migrante «irregolare» approdato sulle isole greche.
La Turchia ha con ciò beneficiato di 6 miliardi di euro, che sono serviti ad incrementare le forze dispiegate (guardia costiera e guardie di frontiera) e a trattenere più di 3 milioni di rifugiati.

Il diritto d’asilo è stato costantemente ridotto o aggirato, con diverse misure, come l’obbligo generalizzato del visto, il posizionamento di hotspot alle frontiere europee (Grecia e Italia), il perpetuarsi di veri e propri centri di smistamento di esseri umani, il ripristino dei controlli alle frontiere con il pretesto della lotta anti-terrorismo. La richiesta d’asilo è sistematicamente considerata dilatoria o falsa e che rientra in una procedura prioritariamente protettrice. Il riferimento a termini pseudo-giuridici come «asilo interno» o i «paesi di prima accoglienza», i «paesi terzi sicuri», i «paesi d’origine sicuri» costituiscono ulteriori ostacoli al riconoscimento dello status.
2.3. Le sessioni di Barcellona e di Londra hanno acquisito documentazioni e prove di violazioni dei diritti fondamentali all’interno della realtà dei rispettivi paesi. Il rifiuto della libertà di circolazione priva i migranti di un altro diritto: quello di non essere detenuto arbitrariamente. Tutti i paesi europei hanno adottato dei testi che permettono di privare della libertà gli stranieri per un periodo che va da qualche giorno fino a « durata indefinita » che può essere di diversi mesi, e a volte senza alcuna base giuridica. È stata accertata l’esistenza di atti disumani – privazione della libertà, assassinio, riduzione in schiavitù, sparizioni forzate – commessi secondo il quadro di un attacco sistematico e generalizzato, miranti specificatamente e deliberatamente alla popolazione civile dei migranti. Un elemento rilevante emerso nella sessione di Londra è stato l’accertamento della deliberata decisione dei responsabili di governo e di maggioranza di creare nel Regno Unito un “ambiente ostile” verso i migranti. Tale situazione corrisponde alla realtà delle politiche e delle prassi comuni a tutti i paesi europei, dove si stanno diffondendo manifestazioni di xenofobia, di razzismo e di disumanità.
I dirigenti della Unione Europea e gli Stati con i loro agenti contribuiscono a commettere questi crimini contro l’umanità, fornendo, con cognizione di causa, un aiuto sostanziale agli autori di questi atti, statali o non statali. Ciò li investe della loro responsabilità penale, a norma dell’articolo 25c dello Statuto di Roma.
I procedimenti messi in atto contro le persone che esprimono la loro solidarietà verso i migranti o i rifugiati, violano i diritti dei difensori dei diritti, proclamati dalle Nazioni Unite.
Le lotte dei migranti devono essere inserite nelle lotte dei cittadini marginalizzati, e le donne giocano un ruolo importante. Ciò che è male per voi è male per me. Il razzismo contro i migranti si traduce in razzismo contro i cittadini, in misoginia contro i cittadini e i migranti. Più che di strumenti legali, ora abbiamo bisogno di unità, uguaglianza, solidarietà e diritti dei lavoratori.

3. L’Europa e il popolo dei rifugiati e dei migranti

3.1. Le articolate motivazioni delle sentenze emesse dal Tribunale Permanente dei Popoli implicano due considerazioni di fondo che, pur diffusamente condivise in apparenza, non sembrano essere tenute presenti nell’adozione di politiche e di prassi nei confronti delle persone che arrivano in Europa: a) la storia umana, nel bene e nel male, è sempre stata segnata dalle migrazioni, che in passato sono state occasioni e cause di guerre e di conflitti atroci; b) l’Unione Europea è sorta per contrastare e superare le cause e i fattori delle tante guerre che hanno insanguinato il continente, per combattere nazionalismi e razzismi, per affermare solennemente il “mai più” a genocidi, campi di concentramento, oppressioni e discriminazioni razziali.
L’Europa delle Costituzioni e delle Carte, l’Europa della civiltà, della pari dignità delle persone e dei diritti umani, l’Europa dell’accoglienza e delle protezione non può, pertanto, chiudersi in una fortezza, alzando muri materiali o giuridici, senza tradire se stessa e perdere la sua identità e la sua stessa “anima”; tanto più che, come ha recentemente documentato la competente Agenzia delle Nazioni Unite, – a fronte di spostamenti mondiali di popolazione che attualmente coinvolgono oltre 70 milioni di persone, di cui 25 milioni rifugiate, che sono accolti anche da piccoli e poveri Paesi – soltanto una minima parte si dirige verso l’Europa, che rappresenta il contenente più ricco e strutturato del pianeta.
Nessun Paese, all’infuori degli USA dell’amministrazione Trump, sta adottando una politica di contrasto all’immigrazione così rigida come i Paesi dell’ Unione Europea, che giungono perfino a negare di fatto il diritto di asilo, rendendo difficile, e talora impossibile, la presentazione della richiesta d’asilo e, comunque, ostacolando il controllo giurisdizione sui provvedimenti negativi delle autorità amministrative.
L’assenza di canali di ingresso legali e sicuri per raggiungere il territorio europeo induce rifugiati e migranti a utilizzare imbarcazioni di trafficanti legati alle milizie libiche, che strumentalizzano a fine di lucro necessità di persone bisognose. Si è così operata la trasformazione del Mare Mediterraneo da crocevia di civiltà in un immenso cimitero, in cui sono morti o scomparsi decine di migliaia di persone che speravano di raggiungere un luogo che ai loro occhi appariva di accoglienza e di solidarietà.
Si tratta di effetti prodotti da un insieme di cause, tra cui decisive le politiche di “esternalizzazione” dei confini meridionali dell’Europa, accompagnati dai finanziamenti miliardari al regime dittatoriale turco per la chiusura della rotta balcanica e alle milizie libiche per il blocco dei migranti, realizzato con inaudite violenze, sottratte ad ogni controllo come risulta dagli allarmi continui dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che non si stanca di denunciare al mondo le atrocità di ogni tipo cui sono sottoposti nei campi di detenzione migranti e richiedenti asilo, tra cui numerosissimi bambini e donne.
Le decine di migliaia di morti e di vittime, anche quando non sono personalmente addebitabili a specifici autori secondo le necessarie categorie garantistiche del diritto penale, sono l’esito prevedibile e previsto di “crimini di sistema”, secondo la definizione adottata dal Tribunale Permanente dei Popoli per qualificare gli effetti tragici di politiche e di scelte economiche che sacrificano diritti fondamentali. Tragedie che – secondo le valutazioni rese dall’Alto commissario dell’UNHCR il 22 marzo scorso – costituiscono una “vergogna insanabile per il nostro continente”, ricordando come “nel 2018 siano morte nel Mediterraneo sei persone al giorno”, con un tasso percentuale cresciuto parallelamente alla restrizioni adottate per le operazioni di soccorso, operate con la criminalizzazione delle attività delle ONG, ad opera soprattutto del Governo italiano, il quale si ostina a ritenere affidabile le autorità libiche che, secondo recenti dichiarazioni del suo Ministro dell’Interno, “grazie alla presenza dell’OIM, garantiscono il rispetto dei diritti umani degli immigrati”. Dichiarazioni gravi e inaccettabili, che falsificano la realtà ben conosciuta dalle più responsabili autorità europee e dalla stessa Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e che ignorano deliberatamente le allarmate recenti affermazioni dell’Alto Commissario dell’UNHCR, secondo cui in Libia “una popolazione di rifugiati e migranti vive in condizioni terribili, molti dei quali in centri di detenzione che sono tra i luoghi più spaventosi” da lui visitati nella sua lunga esperienza umanitaria.
3.2. La costruzione della “fortezza Europa” con la chiusura di porti e confini e il rifiuto di soccorsi e aiuti a chi ne ha bisogno, è illecita perché in contrasto con normative internazionali cogenti e illegittima perché adottata con provvedimenti sottratti alla discussione e all’approvazione dei Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.
È una scelta iniqua e ingiusta innanzitutto verso i diritti e le esigenze di persone che intraprendono un doloroso viaggio non per capriccio o diletto, ma per necessità, per fuggire da guerre, da devastazioni, da carestie, da disastri ambientali, spesso causati o aggravati anche da politiche e da scelte economiche del sistema economico e modello di vita occidentale ed europeo.
È una scelta che causa dolori terribili, ma anche inutili, come la storia e la demografia insegnano. Mai nel corso dei millenni, infatti, le migrazioni strutturali dei popoli sono mai state effettivamente impedite da ostacoli materiali o giuridici. Le politiche di chiusura, oltre a causare morti e sofferenze a rifugiati e migranti, alimentano nella popolazione europea irrigidimenti identitari, tendenze xenofobe e pulsioni razzistiche; esse possono apparire, nel tempo breve, sostenute dall’opinione pubblica, ma si tratta di illusioni destinate ad essere travolte, perché quelle politiche non sono idonee ad affrontare fenomeni strutturali e risultano, anzi, controproducenti giacché ostacolano e allontanano ogni possibile regolazione ragionevole dei problemi che l’incontro tra diversi inevitabilmente fa emergere.
È una scelta incivile e anche contraria all’interesse dell’Europa, per motivi economici e demografici. Il governo dei flussi migratori, che realisticamente è il massimo degli obiettivi possibili, non può essere raggiunto con metodi violenti e repressivi, la cui insensata prosecuzione può soltanto degenerare e determinare ulteriori conflitti, ancor più difficili da governarsi.
3.3. Il Tribunale Permanente dei Popoli ha riconosciuto l’illegittimità della prassi della stipula di accordi internazionali in forma semplificata tra gli Stati membri dell’Unione e i Paesi terzi (Turchia, Libia, Sudan. Niger), in quanto essa sottrae decisioni rilevanti alla discussione pubblica, alla competenza del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, nonché al controllo giurisdizionale, sicché deve considerarsi come radicalmente contraria al diritto dell’Unione, tanto più che spesso tali accordi, sotto la denominazione di “accordi di cooperazione allo sviluppo”, nascondono il loro effettivo contenuto giuridico, ossia l’inaccettabile scambio tra denaro e persone, realizzato con il blocco delle frontiere esterne dell’Unione, delegato a Paesi terzi che non offrono, come l’esperienza quotidiana dimostra, alcuna garanzia di rispetti dei più elementari diritti umani.
Tali prassi determinano uno stravolgimento strisciante dello stato costituzionale di diritto, pericoloso sempre, ma tanto più se applicato alle migrazioni, un fenomeno non reversibile in un mondo dove capitali, merci e informazioni circolano sempre più celermente e nel quale è impensabile che solo gli esseri umani non possano farlo. Si tratta di un processo destinato a mutare nel profondo le nostre società sempre più multietniche, che sono obbligate dai processi storici in atto a rivedere lo stesso concetto di cittadinanza, nato in Europa come istituto inclusivo di diritti e libertà e oggi utilizzato come istituto di demarcazione per negare non soltanto i diritti “dei cittadini”, ma anche i diritti umani che spettano ad ogni persona indipendentemente dall’appartenenza giuridica.
Da tutta la migliore cultura giuridica, sociologica e politica, presa in esame dai diversi collegi del Tribunale Permanente dei Popoli, è risultato evidente la necessità di politiche e interventi strutturali idonei a prevenire i motivi di migrazione, al fine di evitare che le persone siano costrette a fuggire dal proprio Paese a causa persecuzioni, guerre, povertà, effetti del cambiamento climatico. Soltanto provvedimenti di tal genere, unitamente a politiche di accoglienza e di integrazione, appaiono effettivamente coerenti con gli intenti e gli obiettivi scritti nelle Carte dei diritti fondamentali adottate in Europa.
La natura strutturale delle migrazioni e le sofferenze inaudite che oggi vengono inferte al popolo dei migranti costituiscono specifici, concreti e simbolici indicatori di quanto sia urgente, in un mondo globale ancora dominato da concezioni statalistiche, restituire – fuori da logiche e prospettive populiste – soggettiva priorità ai popoli e alle persone, assumendo per intero la dimensione dei valori e delle indicazioni contenute nella Dichiarazione universale per i diritti dei popoli (Carta di Algeri, 4 luglio 1976).
I diritti alla vita, alla dignità personale e collettiva, alla libertà della persona, alla salute e al lavoro dignitoso non possono in nessun caso essere sacrificati a pretese di sicurezza, peraltro sovente strumentalizzate a fini di consenso elettorale.
Il Tribunale Permanente dei Popoli ha piena consapevolezza che per governare fenomeni complessi non basta invocare il diritto, ma è necessaria la politica a cui compete la cura e la responsabilità degli interessi delle popolazioni. Chi ha il compito di adottare scelte politiche deve certamente tenere conto delle dimensioni dei movimenti migratori e non può ignorare i diffusi timori che percorrono le società europee né la complessità dei processi di integrazione dei migranti e dei rifugiati.
La politica, tuttavia, per essere all’altezza delle promesse di pace e di rispetto per la dignità delle persone e dei popoli formulate solennemente dal diritto internazionale (dallo Statuto dell’ONU alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) deve individuare soluzioni che trovino un solido fondamento di diritto sia per garantire i diritti dei rifugiati e dei migranti sia per delineare la sostanza e l’immagine della società democratica europea.
La politica deve essere in ogni caso rispettosa dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, giacché la tutela dei diritti fondamentali costituisce un limite invalicabile per tutti, anche per i legislatori e i governi, che devono farsi carico di queste necessità, indicare prospettive e fornire soluzioni che, nel rispetto della dignità e dell’uguaglianza e delle persone, rendano effettivi i diritti umani e l’aspirazione alla pacifica convivenza tra diversi.

4. Conclusioni e raccomandazioni

A conclusione dei suoi accertamenti e valutazioni, il Tribunale Permanente dei Popoli afferma che le politiche e le prassi dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri sull’asilo e sull’immigrazione costituiscono nel loro insieme una totale negazione dei diritti fondamentali delle persone e dei migranti e integrano dei veri e proprio crimini contro l’umanità, che, anche quando non sono personalmente addebitabili a specifici autori secondo le condivise regole garantistiche penali, devono definirsi come “crimini di sistema”.
Tale qualificazione – che implica la necessità che l’Unione europea si assuma la responsabilità di cambiare, contestualmente e in stretta interazione, le politiche economiche e la normativa in materia di asilo e di migrazione, con adozione di procedure pubbliche e trasparenti per la stipulazione di trattati e convenzioni, con il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo – non esime dal riconoscere specifiche responsabilità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri per non aver rispettato gli obblighi di soccorso, per essere stati complici di condotte di omicidi, tortura e trattamenti inumani e degradanti, per le indicate altre gravi violazioni dei diritti umani provocati dai respingimenti.
Il Tribunale Permanente dei Popoli sottolinea che, per essere efficace, ogni necessario e razionale intervento di regolazione del fenomeno migratorio e di distribuzione dei migranti deve essere assunto dall’Unione Europea in quanto tale, giacché i Paesi membri tendono ad assecondare tendenze sovraniste e ad alimentare timori e umori indotti o aggravati dalla mancanza di efficaci politiche di accoglienza, mentre soltanto l’Unione può adottare e sostenere un insieme di politiche che si faccia carico della cause di fondo delle migrazioni e che sia capaci di rendere compatibili i diritti di chi già vive nei Paesi europei con quelli dei migranti, con particolare riferimento al diritto d’asilo, all’apertura delle comunità agli stranieri residenti, alla valorizzazione delle diversità culturali, alla presa in cura delle persone vulnerabili, all’umanizzazione delle relazioni sociali.
Nel frattempo, imprescindibile e urgente appare la moratoria di tutti quegli accordi che, come quelli tra Unione Europea – Turchia e Italia – Libia, sono stati caratterizzati da assenza di controllo pubblico e dalla corresponsabilità nelle violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti. Tali accordi vanno profondamente ridiscussi e modificati.
In coerenza con le posizioni delle competenti agenzie delle Nazioni Unite, il Tribunale Permanente dei Popoli ritiene essenziale che sia posto fine ad ogni ostilità e criminalizzazione delle ONG che intervengono in soccorso dei naufraghi e dei migranti in difficoltà. In adempimento del dovere di obbedienza ai prioritari diritti umani, vanno altresì sospesi quei provvedimenti che, in qualsiasi forma, mirano a rendere impraticabili attività individuali e collettive di solidarietà della società civile. Allo stesso tempo devono essere contrastate con decisione tutte le pratiche che alimentano la xenofobia e l’odio e determinano una situazione di ambiente ostile.
***

Le sessioni del Tribunale Permanente dei Popoli hanno costituito un luogo di ascolto del popolo dei migranti e rifugiati, con presa in carico anche delle ferite aperte dei familiari degli innumerevoli morti e scomparsi senza identità. L’istituzione e l’organizzazione di un organismo internazionale, indipendente e aperto alla più ampia partecipazione dei familiari, che si occupi della ricerca, ove possibile, dei corpi delle vittime e, comunque, della ricostruzione dell’identità delle persone scomparse, è la risposta minima al diritto alla memoria, alla verità e al lutto, componenti essenziali della civiltà umana.
Questo documento, come è tradizione del Tribunale Permanente dei Popoli, ha voluto innanzitutto dare voce alle vittime e ai loro familiari, ma parla anche a nome delle centinaia di organizzazioni che, unitamente ai tantissimi testimoni ascoltati, sono stati i veri protagonisti del percorso iniziato a Barcellona nel luglio 2017, i quali non hanno soltanto espresso partecipazione per le sofferenze patite da tante decine di migliaia di persone, ma hanno palesato l’impegno di continuare nell’azione di solidarietà verso chi sceglie l’Europa come luogo di realizzazione del proprio legittimo progetto di vita.
Il Tribunale Permanente dei Popoli ha presentato oggi i risultati del proprio lavoro alla massima istituzione della rappresentanza democratica dell’Europa dei diritti, nell’auspicio che essi possano costituire utili contributi all’attività che sarà svolta dal Parlamento a seguito delle prossime elezioni.
Dare identità, visibilità e riconoscimento al popolo dei rifugiati e dei migranti è divenuto drammaticamente urgente anche per far emergere e rafforzare nella coscienza collettiva la stretta connessione tra i diritti fondamentali dei migranti e dei rifugiati e il futuro della società democratica europea.

Bruxelles – Parlamento europeo – 9 aprile 2019
TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI
Giuria:
Bridget Anderson (Inghilterra), Perfecto Andrés Ibáñez (Spagna), Luciana Castellina (Italia), Mireille Fanon Mendes France (Francia), Franco Ippolito (Italia), Claire-Marie Lievens (Belgio), Luis Moita (Portogallo), Patricia Orejudo (Spagna), Philippe Texier (Francia)
TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI
Fondatore: LELIO BASSO (ITALIA)
Presidente:
PHILIPPE TEXIER (FRANCIA)
Vicepresidenti:
LUIZA ERUNDINA DE SOUSA (BRASILE)
JAVIER GIRALDO MORENO (COLOMBIA)
HELEN JARVIS (AUSTRALIA)
NELLO ROSSI (ITALIA)
Segretario Generale:
GIANNI TOGNONI (ITALIA)

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