La scomparsa del futuro è il titolo di una indagine del CENSIS, pubblicata il 6 dicembre 2019 da cui emerge una patologia della società italiana descritta come ansiosa, macerata dalla sfiducia e dall’incertezza con cui gli italiani guardano al futuro. La riscoperta del futuro, al contrario, è la cifra che incarna la 26° conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici in corso a Glasgow. Può sembrare strano parlare di riscoperta del futuro in un consesso mondiale convocato proprio per la consapevolezza che il futuro della Terra si sta restringendo e che, per la prima volta, l’umanità si confronta con l’esigenza di salvare il pianeta che la ospita. In realtà è quando ci manca il respiro che scopriamo quanto sia essenziale l’aria che respiriamo. La crescente consapevolezza della catastrofe ecologica causata dal mutamento climatico è il detonatore che rompe la barriera dell’indifferenza e ci costringe a interessarci del futuro, a mettere il futuro al centro della politica e delle relazioni fra le nazioni.
Le aspettative dell’opinione pubblica mondiale sono state ben inquadrate nel messaggio che papa Francesco ha rivolto ai partecipanti:
«La COP26 può e deve contribuire attivamente a questa coscienziosa costruzione di un futuro dove i comportamenti quotidiani e gli investimenti economico-finanziari possano realmente salvaguardare le condizioni di una vita degna dell’umanità di oggi e di domani in un pianeta “sano”. Si tratta di un cambiamento d’epoca, di una sfida di civiltà per la quale vi è bisogno dell’impegno di tutti e in particolare dei Paesi con maggiori capacità, che devono assumere un ruolo guida nel campo della finanza climatica, della decarbonizzazione del sistema economico e della vita delle persone, della promozione di un’economia circolare, del sostegno ai Paesi più vulnerabili per le attività di adattamento agli impatti del cambiamento climatico e di risposta alle perdite e ai danni derivanti da tale fenomeno».
L’urgenza del pericolo è stata riconosciuta da tutti i leader mondiali convocati a Glasgow. Nel suo discorso per l’apertura dei lavori Boris Johnson ha citato James Bond, e ha attribuito alla Conferenza la missione di salvare la terra, avvertendo: «Questo non è un film, la minaccia è reale, le emissioni di carbonio continuano ad aumentare. Dobbiamo agire prima che sia tardi». In effetti tutti i principali leader mondiali, tra i quali Joe Biden, Ursula von der Leyen, Angela Merkel, e Mario Draghi, hanno concordato sull’esistenza di un pericolo reale ed imminente per la salute del pianeta e sull’esigenza della cooperazione internazionale per realizzare obiettivi concreti e non più rinviabili, com’è avvenuto per la maggior parte degli impegni assunti a Parigi nel 2015 dalla COP21.
Mentre scriviamo il lavori sono ancora in corso e c’è delusione per i risultati concreti che si stanno delineando. È stato annunziato un importante accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 e redatta un’intesa a cui hanno aderito 105 paesi (ma non ci sono Cina, Russia e Australia) per ridurre del 30% le emissioni di metano entro la fine del decennio. C’è un diffuso scetticismo sulla reale capacità e volontà degli Stati di far funzionare tali accordi. Il premio nobel per la fisica Giorgio Parisi in un’intervista al Corriere della Sera (3 novembre) avverte che, senza un piano dettagliato, ridurre le emissioni è un’illusione. D’altronde, se suscitano perplessità le resistenze della Cina, è anche vero che le promesse di Biden sono appese a un filo sottile data la sua risicata maggioranza e la forte influenza dei negazionisti del clima nell’opinione pubblica americana. Alla luce di queste difficoltà a implementare dei piani concreti per contrastare il cambiamento climatico dobbiamo forse concludere che ci troviamo di fronte al solito bla bla bla dei politici e che nessuna svolta reale è maturata?
No, sarebbe un errore madornale! Le parole dei grandi della terra non vanno banalizzate perché quando sono concordi, nette e chiare (non importa se, per taluni, velate di ipocrisia) istituiscono una dimensione di senso che non può più essere ignorata. Il senso di queste parole è di riconoscere che la politica deve guardare al futuro e deve porsi con urgenza il fine della salvaguardia del pianeta. Si tratta di un fine che, per sua natura, è sovraordinato a tutti gli altri fini ed interessi perseguiti dalle comunità politiche. In un certo senso sono stati creati dei punti cardinali per orientare il cammino dell’umanità. È alla luce di questi punti cardinali che si legittimano o si delegittimano le scelte della politica. Nel 1945 la Carta delle Nazioni Unite mise la guerra fuori dal diritto. Questo non significa che la guerra sia scomparsa dalla Storia, tuttavia la Carta fornì all’umanità un criterio per giudicare e per orientare la condotta delle nazioni e dei loro leader.
Il criterio supremo della salvaguardia del pianeta come l’alfa e l’omega di ogni politica è stato posto a Glasgow. Da oggi in poi, sulla base di questo criterio sarà giudicata ogni scelta politica.
Ma almeno l’hanno detto
I risultati concreti della conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici di Glasgow sono modesti ma sarebbe un errore sottovalutare l’evento. Parole importanti sono state dette e sulla loro base sarà giudicata ogni scelta politica
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