Virus, dal Latino veleno. Il veleno che uccide ma che può essere utilizzato per guarire, quando opportunamente trattato diventa vaccino; oppure, secondo il principio dinamico della cura omeopatica, può far reagire l’intero organismo, creando resistenza e risposte adeguate a respingere la malattia. Virus, portatore di malattia e di morte, qualcosa che non può vivere al di fuori delle cellule di un organismo a cui si avvinghia, per poi distruggerle.
Nella società, anzi, nelle società del mondo globalizzato il coronavirus-covid19 si è diffuso e si va diffondendo, causando quel distanziamento sociale necessario a tagliargli strada, a tagliare tutti i ponti che gli consentono di aggredire le persone, costringendo all’utilizzo di barriere che lo tengano al di fuori dei corpi permeabili alla sua minaccia.
Eppure queste azioni hanno costruito ponti diversi tra le persone, spogliando la comunicazione degli orpelli del dover apparire senza mostrare paura. Gli studenti si sono raccolti intorno ai loro dispositivi con maggior attenzione di quanto abbiano fatto, in molti casi, in tempi di scuola ‘normale’, per ascoltare i docenti, per continuare il percorso formativo insieme ai compagni, così lontani, ognuno nel proprio ambiente, eppure così uniti nel sentirsi parte di una comunità e così sorpresi dall’intuire il senso profondo di questo essere insieme di quei momenti.
Il virus si è diffuso, e ha svelato fatti, situazioni, meccanismi profondamente ingiusti perché generatori di diseguaglianze e di sofferenze. Quante potevano essere evitate? Cosa c’è all’origine della generazione di questi drammi e di tante angosce?
Amministratori, politici, esperti ragionano sul Sistema sanitario nazionale, che non è stato più tutelato e implementato da troppo tempo; perché un sistema gestito dallo Stato darebbe la possibilità di distribuire con equità risorse umane e scientifiche e di avere la disponibilità per ognuno di coloro che ne abbiano bisogno, di quanto è giusto avere, senza differenze tra regioni del nord e quelle del sud. Ma questo non basta.
Qual è il ruolo di uno Stato, perché è nato il sistema dello Stato nazionale, con le sue istituzioni, se non per garantire a tutte le persone l’opportunità di vivere una vita dignitosa nel rispetto dell’umanità di ognuno? L’idea di oggettivazione dello spirito, nella forma di Stato etico di cui ha scritto Hegel può sembrare idealismo senza radici, ma forse varrebbe la pena tornarci su per comprendere il senso di certe ‘forme’ che possono sembrare prive di significato.
Hobbes ha sostenuto che ciò che convince gli uomini a organizzarsi in società è fondamentalmente la paura, ma preferisco pensare con Rousseau, padre del percorso dell’idea e della pratica della democrazia, che esiste la possibilità di raggiungere una volontà generale, quella che, oltrepassando ogni volontà individuale, è in grado di scegliere il Bene comune, sopra ogni interesse.
Quel Bene che non può essere raggiunto con l’esercizio della forza, che di per sé implica l’idea di sopraffazione e di prevaricazione di qualcuno.
Perché la ricerca del Bene comune, in questo senso, è una ricerca di Verità che approda al risultato di un Bene che vale a livello universale, non potendo prescindere dal criterio di giustizia e dal criterio di eguaglianza sociale.
“Solo ciò che è giusto è legittimo. Il crimine e la menzogna non lo sono in nessun caso…” ha scritto Simone Weil nel “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”. In questo Paese si tende a consentire che la menzogna abbia spazio e si diffonda in nome della ‘fedeltà’ a un partito.
Questo mi sembra un luogo oscuro della nostra democrazia, un luogo in cui regna la nebbia dell’offuscamento del pensiero critico, del pensiero libero di navigare seguendo la rotta della verità.
Una meta verso la quale è necessario tendere, seppure resta irraggiungibile, nella riflessione e nell’elaborazione che si fanno azione politica.
La Ragione, la stessa in tutti gli uomini, come l’Illuminismo ha insegnato, può giungere a soluzioni condivise e comuni su un problema generale, quando si lascino da parte il proprio tornaconto personale e quello nazionale. Nell’Europa dei popoli questo principio dovrebbe contare.
Mi è sembrato, aggiungo, ciò che il primo ministro Conte ha cercato di far valere quando ha affermato in conferenza stampa che “la storia mi darà ragione”.
La Verità è una e la Giustizia è una. Mentre i desideri, le passioni, gli errori, le ingiustizie sono diverse e variabili. Simone Weil ci dice anche di distinguere la Volontà generale dalla ‘passione collettiva’ che può prendere un intero popolo e può condurlo verso il crimine. Una delle macchine che producono ‘passioni collettive’ viene identificata da Simone Weil nei partiti, questi sono in grado di esercitare pressioni sui propri componenti col fine ultimo della propria crescita.
Mi sento di condividere molte delle sue riflessioni, quando analizzo la mia esperienza di militanza politica in un partito, in passato, nonostante mi senta anche di dire che è stata un’esperienza formativa.
Ancor più mi sento di condividere queste idee di Simone Weil osservando lo schema di azione nell’ambito del quadro politico nazionale di Maggioranza e Opposizione, di fronte al quale mi chiedo: a cosa dovrebbero opporsi dei parlamentari se la meta è per tutti rappresentata dal Bene dello Stato, la Res Publica e dalla Giustizia? Dovrebbero avere il compito di fare in modo di richiamare a questi principi chi se ne distacchi.
Qual è il fine di un partito? Se il fine, a quanto pare, è se stesso, come può avere a cuore il Bene comune?
Ascolto spesso affermazioni sul bisogno dell’allargamento della ‘base di consenso’ per poter agire; sul bisogno di un sistema maggioritario, messo a punto da riforme legislative in parte caotiche, per ‘poter governare’ senza intralci… ma come? Con la soppressione di qualcuno? Difficile status quello della democrazia, che non si deve mai dare per scontato e mai si deve pensare di aver conquistato per sempre. Quando è invece una condizione in fermento che non può essere lasciata a se stessa, come se possa risolversi da sola nel divenire. No, richiede cura e attenzione continue, affrontando volta per volta i cambiamenti e le novità che l’evoluzione sociale e lo sviluppo delle produzioni umane portano.
So che può sembrare utopistico un pensiero che voglia comprendere, che voglia essere comprensivo dell’umanità, senza lo steccato delle “enclosures”…ma, sinceramente, non vedo altre possibilità di cammini verso una società globale-mondiale, quella che l’O.N.U. nella sua Agenda 2030 ha posto come obiettivo comune.
In conclusione, quali relazioni?
Trasformare il proprio sguardo sul mondo, io e l’Universo.
Esercitare la giustizia nell’agire, io e gli altri.
Vigilare che sia il pensiero critico, munito di logica, a guidare la ragione, io e la mia coscienza.
Ecco i tre piani relazionali che non dobbiamo disgiungere. È quanto Epitteto ci ha indicato come strada per diventare consapevoli esseri umani e raggiungere la pace e l’equilibrio.
La natura ci mostra un accordo in se stessa, in grado di rigenerarsi anche a seguito di grandi sconvolgimenti. E noi siamo parte della natura.
“Deus sive Natura” affermò Spinoza, pensatore libero da accademismi. “Dio ovvero la Natura”. Lo tengo stabile nella mente e nel cuore come principio dell’Amore generatore.
E termino citando Marco Aurelio:
“Chi non sa che cosa sia il mondo non sa dove sia egli stesso.”
“Tutto ciò che è in accordo con te è in accordo con me, o Natura!”
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