Pubblichiamo la relazione tenuta l’8 agosto 2022 al Passo del Tonale da Raniero La Valle all’Incontro internazionale di Tonalestate, “Veni, vidi…gratis” dedicato a una discussione sul tema della gratuità. Tonalestate è una Università Internazionale estiva nata negli anni Novanta da una rete di centri culturali di vari Paesi del mondo.
C’è un momento nella vita di ciascuno, ma anche nella vita dei popoli o nello svolgersi della storia, in cui c’è qualcosa da lasciare e qualcosa da portare con sé per cominciare una vita nuova. È un passaggio. Gli Ebrei la chiamano Pesach, noi la chiamiamo Pasqua. A me capitò quando eravamo prossimi al 2000 ed ero assessore al Comune di Roma, e facemmo un Convegno internazionale per discutere che cosa nel nuovo Millennio dovevamo portare del Novecento e che cosa dovevamo lasciare e non riprendere mai più. Decidemmo di portare con noi la Costituzione, il diritto, la pace, il progetto di una Terra fraterna e unita, e che dovevamo lasciare la guerra, i genocidi, il razzismo, le diseguaglianze, l’ideologia del sacrificio e molte altre cose che erano il cattivo retaggio del Novecento e di tutta la storia passata.
Così in questo Incontro internazionale che evoca i celebri tre verbi di Cesare, “veni, vidi, vici”, la scelta che viene proposta è quella di tenere i primi due e abbandonare il terzo, in luogo del quale si mette un “gratis”, cioè si fa appello alla gratuità, alla grazia. Perciò è della vittoria che dobbiamo parlare a conclusione di questo incontro per chiarire la natura di questo scambio, per vedere qual è la vittoria che dobbiamo lasciare ed essere più consapevoli di ciò con cui la dobbiamo sostituire.
In questo momento la vittoria è l’idolo più insanguinato di cui ci dobbiamo liberare. Se infatti non si riesce a porre fine a questa guerra nefasta che oggi si combatte in Europa ma che con le sue tossine ha già distrutto l’anima del mondo, è perché non è stato esorcizzato lo spettro della vittoria.
È un luogo comune, ma del tutto falso, che la vittoria sia la conclusione migliore di una guerra. Si tratta di un mito antico: la vittoria è il premio della guerra; la vittoria alata si libra sul trionfo del condottiero, schiaccia l’elmo del vinto, è cantata dai poeti; essa è una schiava invece per noi che dell’elmo di Scipio abbiamo cinta la testa come cantiamo con la mano sul petto perfino nelle partite di calcio, anzi rimproveravamo i calciatori che non la sapevano o dimenticavano di cantare. Nella cultura che abbiamo ricevuto non è concepibile se non la vittoria come uscita dalla guerra; e la guerra è padre e principio di tutte le cose, come è stata teorizzata nei secoli, almeno a partire dal detto di Eraclito.
Perfino Gesù, che amava i nemici, ammetteva che la guerra si fa per vincerla: “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano gli manda dei messaggeri per chiedergli pace”.
Ma in realtà non è affatto vero che una volta precipitati nella guerra, la cosa migliore sia vincerla. Se oggi celebriamo la festa del 25 aprile, è perché avevamo perso la guerra, ed era stata una fortuna, con i tedeschi in casa! Chi oggi rimpiange di non aver vinto quella guerra? Nemmeno i fascisti. Altri orrori si sarebbero aggiunti agli orrori. E non avremmo avuto la Costituzione, la libertà, l’industria, il denaro, tutte le cose di cui oggi ci gloriamo. Anche a Simone Weil piaceva la vittoria. Come ha scritto in una lettera a Bernanos: «Avevo dieci anni al tempo del trattato di Versailles. Fino ad allora ero stata patriota con tutta l’esaltazione dei bambini in periodo di guerra. La volontà di umiliare il nemico vinto, che invase tutto in quel momento (e negli anni successivi) in maniera così repellente, mi guarì una volta per tutte da questo patriottismo ingenuo. Le umiliazioni inflitte dal mio Paese mi sono più dolorose di quelle che può subire».
La vittoria è lo spettro che si aggira oggi per l’Europa e di essa dobbiamo anzitutto liberare la sua prima e più immediata vittima, che è l’Ucraina. La vittoria è la più grande minaccia che grava oggi sull’Ucraina, è il demone che dilania le sue città, che uccide la sua popolazione, che mette in gioco la sua sovranità e la sua sopravvivenza. Ma questa vittoria così temibile e perversa non è quella della Russia che ha commesso il crimine di gettarla nella guerra (perché la guerra stessa è un crimine) e l’ha invasa senza ragione, ma è la vittoria dell’Ucraina stessa che i suoi falsi amici e i suoi cinici Alleati le hanno promesso di darle, è la vittoria che l’Ucraina è stata persuasa di poter conseguire contro la Russia, è la grande illusione a cui è stata immolata. In realtà è la vittoria che Biden, la NATO e perfino Draghi vogliono ottenere a spese dell’Ucraina contro la Russia; e ciò per togliere di mezzo la Russia dalla competizione finale per il dominio del mondo; un mondo che è concepito come l’ultimo unico grande Impero, in cui il nemico finale da soggiogare è la Cina: il finale di partita, come la chiama la rivista “Limes”. E qualche giorno fa una dura telefonata tra Biden e il presidente cinese Jinping ha effettivamente evocato l’incubo di una guerra tra gli Stati Uniti e la Cina. E Nancy Pelosi è andata lì, a Formosa, a stuzzicarla.
È per ottenere questa vittoria che si sta rimpinzando di armi l’Ucraina. Tutti mandano armi all’Ucraina, e Biden si vanta di farlo più di tutti, così tutti sono cobelligeranti in questa guerra civile mondiale. La virtù di queste armi è che sono gratuite, sono un regalo, magari sono obsolete, vengono dall’usato, servono per svuotare gli arsenali, ma non per questo sono meno letali, e non è nemmeno vero che sono gratuite, che mettono insieme gratuità e vittoria; invece hanno un prezzo, e sempre più elevato, e questo prezzo non è solo il sangue dei russi, ma è il sangue degli stessi ucraini, dei soldati ucraini e dei civili maschi ucraini, che vengono fermati alla frontiera quando ne vogliono uscire e sono rimandati indietro a combattere; anzi sono ricercati anche all’estero nei Paesi in cui si siano rifugiati, compresa l’Italia, e sono rimpatriati e messi a combattere.
Non sempre la gratuità è un dono. C’è una gratuità che si paga a caro prezzo. Noi siamo salvati gratuitamente. Nella rivelazione di Dio come misericordia, che incessantemente ci fa papa Francesco, è Dio che paga ogni prezzo “scambiandosi” con noi, come dice Paolo nelle sue lettere, e lo fa prendendo su di sé il dolore e il peccato del mondo, senza chiedere compenso alcuno.
Alto invece è il prezzo di questa guerra. È questa una guerra mondiale, ma con sangue locale. E una delle ragioni per cui questa guerra è già durata così a lungo e non se ne intravede la fine, né c’è alcun proposito di mettervi fine, è che i veri signori della guerra la stanno combattendo col sangue degli altri, il sangue delle vittime.
Questa è la ragione per la quale noi deprechiamo la Russia e prendiamo il lutto per il dolore dell’Ucraina, soffriamo con essa, piangiamo sulla sua sorte, siamo straziati nel vederla non solo in preda ai suoi nemici, ma anche ostaggio dei suoi amici e suddita di governanti invasati e spietati che danno spettacolo e che invece di vegliare indefessamente per la salvezza e il bene del loro popolo lo gettano nella fornace e lo portano alla rovina. Questa è la materia della nostra pietà per l’Ucraina. La sua tragedia è che i suoi nemici, i russi, sono anche i suoi fratelli, figli dello stesso cristianesimo, eredi della stessa nazione, mentre i suoi cattivi governanti sono carne della sua stessa carne mentre gli amici, americani, europei, inglesi, italiani, sono agenti di interessi stranieri e strumenti dei grandi poteri economici che si stanno giocando sulla sua pelle i mondiali della finanza globale.
Io ricordo che poco prima di un’altra grande tragedia, quella delle Due Torri, un grande teologo, padre della teologia politica, Johann Baptist Metz, in un discorso a Padova disse che gli uomini, e le loro religioni, dovevano comunicare tra di loro nel dolore dell’umanità. “Certo – disse Metz – il dolore è un’autorità debole, non è un’autorità forte. Però la mia proposta è che tutti, a cominciare dai cristiani e dalle Chiese, ci si sottometta all’autorità di quelli che soffrono, si sappia vedere il dolore degli altri”. Ma la nostra pietà è oggi ancora più grande, perché questo dolore è oggi strumentalizzato, la guerra è ostentata in TV, e giunge perfino la notizia che l’Agenzia per il turismo del governo di Zelensky organizza dei tour turistici in Ucraina per far vedere la tragedia dal vivo, in diretta. Con 50 euro si possono acquistare pacchetti per tour di 3 ore “nelle invincibili Bucha e Irpin”, per 180 euro si comprano 3 giorni a Kiev; le foto promozionali ritraggono le città sfigurate: auto bruciate , palazzi sventrati, di Leopoli si magnifica la gastronomia, ma vi si farà visitare la zona dove sono morti i primi civili. Anche la guerra è diventata ormai un warshow, ci si fanno i soldi, e non solo per le armi. La pubblicità del regime trasmette a tutto il mondo un macabro messaggio di morte e tutti noi vi siamo coinvolti, tutti, non solo Zelensky, spectaculum facti sumus.
La cosa più atroce è che ciò per cui si combatte , che si vuole far trionfare, è quella che papa Francesco chiama la società dello scarto, la società dell’esclusione, fatta a misura dei ricchi; in realtà a repentaglio è il mondo dei profughi, dei migranti, degli oppressi, delle vittime di tutti i climi, di tutti i fuochi, e di pochi padroni. Per non dire del rischio finale: che per errore o per calcolo o per l’hibris di una estrema follia tutto finisca nel grande bagliore di uno scontro nucleare, per il quale ci sarà sempre un generale che possa premere l’ultimo bottone, come c’era durante la guerra fredda un generale americano che stava su un aereo in volo per 24 ore su 24 nel cielo degli Stati Uniti per essere pronto, in ogni evenienza, a scatenare l’olocausto atomico.
Perciò dobbiamo liberarci del mito della vittoria. Non possiamo far decidere all’Ucraina quando e come porre termine alla guerra, mettendoci in mano a Zelensky, in modo incondizionato, come voleva Draghi. Ma tanto meno questo vuol dire che a vincere debba essere la Russia; non deve vincere e non solo perché ha scatenato l’aggressione. Questa è una guerra che si deve concludere senza vincitori. “Per quanto giusta sia la causa del vincitore, per quanto giusta sia la causa del vinto, il male prodotto dalla vittoria come dalla sconfitta non è meno inevitabile» scrive Simone Weil.
A questo punto della storia, dopo tutti gli errori che da una parte e dall’altra sono stati commessi, la vittoria, di chiunque essa sia, è la peggiore sciagura che possa capitare. Come dice il papa: che vittoria c’è sulle macerie?
Una guerra finalmente senza vincitori, dunque. Perché che cosa sarebbe una vittoria per gli Stati Uniti, per la Nato e per l’Europa, se essa davvero dovesse consistere nell’accendere la miccia della terza guerra mondiale, mettendo fuori gioco la Russia, provocando la Cina e prospettando all’umanità intera un mondo fatto del solo Occidente?
E che cosa sarebbe una vittoria per la Russia, che andasse al di là della rivendicazione iniziale di un’interdizione della minaccia proveniente dall’Ovest, se ciò volesse dire diventare l’anatema delle nazioni, essere votata alla negazione genocida del suo esserci stesso, che si tratti del rublo, del popolo o dell’ostracismo al Lago dei Cigni o a Dostoewsky?
E che cosa sarebbe una vittoria per l’Ucraina, se anche recuperasse la Crimea, e il Donbass, quando pur sempre rimarrebbe lì, a fare da antemurale dell’Occidente contro la Russia che, Putin o non Putin, certamente non sparirebbe e sarebbe pur sempre una grande Potenza ansiosa di rivincita, mentre l’Ucraina sarebbe ancora lì, gloria sì del mondo libero, ma sua prima vittima sul Monte Moria? E l’Oscar all’attore non protagonista!
In questa situazione è del tutto irresponsabile fare il tifo per la vittoria dell’uno o dell’altro, comunque questa vittoria la si voglia chiamare, difesa della Patria o dominio del mondo; ed è un’insensata complicità voler essere nel campo dei vincitori. Vera sapienza è la ricerca di un’alternativa alla vittoria per mettere fine alla guerra. Tale alternativa sta nel dialogo, nel negoziato, nel riconoscere ciascuno le ragioni dell’altro, nello “scambiarsi con l’altro”, nel sapere che la sicurezza dell’altro è la sicurezza anche propria, perché la sicurezza non consiste in uno “status”, ma in un rapporto, o è di tutti o non è di nessuno, come già aveva realizzato la saggezza dell’ONU.
Allora qual è il verbo che si può sostituire al “vici”, dopo il veni, vidi, di Cesare? Nella parabola del buon Samaritano c’è un’altra sequenza di verbi molto interessanti che ci possono suggerire una risposta. Il Samaritano è uno straniero che incontra l’aggredito, che non è nessuno per lui, è soltanto un suo prossimo, cioè, come lo definisce Isaia, è uno “della sua stessa carne”. Dunque si dice che egli venne, lo vide, n’ebbe compassione, si avvicinò, gli fasciò le ferite, vi versò olio e vino, lo caricò sopra il suo giumento, lo portò alla locanda, si prese cura di lui. Tommaso Campanella l’ha tradotto così:
Da Roma ad Ostia un pover uom andando
fu spogliato e ferito da ladroni:
lo vider certi monaci santoni,
e ’l cansar, sul breviario recitando.
Passò un vescovo e, quasi non mirando,
sol gli fe’ croci e benedizioni:
ma un cardinal, fingendo affetti buoni,
seguitò i ladri lor preda bramando
Alfin giunse un Tedesco luterano,
che nega l’opre ed afferma la fede:
l’accolse, lo vestìo, lo fece sano.
Chi più merita in questi? chi è più umano?
Ecco dunque che siamo arrivati alla fine della nostra ricerca. Che cosa si deve fare invece di vincere il nemico, di scacciare lo straniero, di respingere il profugo, di abbandonare il naufrago, di negare il reddito di cittadinanza al povero, di sacrificare l’aggredito? Lo si deve accogliere, vestire, farlo sano. Questo vuol dire accogliere l’umanità intera come un’unica famiglia, provvedere vesti, cibo e diritti fondamentali per tutti, risanare e custodire la Terra.
Permettetemi allora di finire con una proposta che intendiamo lanciare in questi giorni.
Tra le macerie di questa guerra c’è anche l’illusione, o la speranza, che avevamo coltivato nei mesi scorsi, che si potesse costruire un nuovo ordine mondiale, fondato non sulla potenza ma sul diritto, non sulla ragion di Stato, ma sulle ragioni dei popoli, non sulle guerre vinte, ma sulla guerra ripudiata. A questo scopo avevamo lanciato un movimento, una scuola, un sito che si chiama Costituente Terra, il cui obiettivo era di far nascere e crescere il pensiero dell’unità del popolo della Terra, di una comunità umana unita, per giungere fino alla elaborazione e promulgazione di una Costituzione della Terra.
La guerra è venuta a travolgere questo progetto. E ora ci sono le elezioni. Che fare? Da un lato bisogna fermare questa guerra, dall’altro bisogna espellere dalla storia la guerra come tale. Allora la proposta è quella di un
PROTOCOLLO SUL RIPUDIO SOVRANO DELLA GUERRA E LA DIFESA DELLA TERRA DA ALLEGARE AI TRATTATI EUROPEI E ALLO STATUTO DELLE NAZIONI UNITE
Secondo “Costituente Terra” potrebbe essere l’Italia a proporlo. Di qui l’appello ai candidati alle elezioni e perciò ai futuri parlamentari, perché se ne facciano carico nel prossimo Parlamento.
Dicono i promotori di questa iniziativa di farlo perché “spinti dall’urgenza di uscire da una guerra incontrollata e fatta spettacolo, memori delle tragedie passate, comunicando nel dolore delle vittime, dei naufraghi, dei profughi, delle donne umiliate e offese”, e così motivano il loro gesto: “La guerra, maturata nella sfida e nei sospetti reciproci, cominciata sciaguratamente come guerra tra la Russia e l’Ucraina, divenuta inopinatamente guerra tra la NATO e la Russia, pronosticata come guerra tra l’Occidente e la Cina e incombente come guerra mondiale, non si fermerà da sola e senza una straordinaria iniziativa politica che la intercetti precipiterà verso un esito infausto per l’umanità tutta. Questa Iniziativa politica resiliente però sarebbe vana se limitata a sospendere la guerra in atto e non invece a estromettere la guerra dal diritto e da ogni eventualità futura.
“Chiunque può prendere questa iniziativa. Sappiamo dalla storia che la salvezza può venire dal forte come dal debole, da più Stati insieme ma anche da un solo Paese, dal concorso di molti ma anche dal personale operato di una sola o di un solo”. Come dice Walter Benjamin, nelle sue tesi di filosofia della storia anche il più piccolo evento, “ogni secondo del tempo è la piccola porta da cui può entrare il messia”. Perciò, continua l’appello, “noi pensiamo che possa essere l’Italia a prendere questa iniziativa e che la grande opportunità offerta da queste elezioni possa far sì che a condurla siano il prossimo governo e il prossimo Parlamento”.
E questo è il testo del Protocollo proposto:
“Le Alte Parti Contraenti hanno convenuto le Disposizioni seguenti, che vengono allegate al Trattato che istituisce l’Unione Europea e allo Statuto delle Nazioni Unite
“La guerra è ripudiata in tutte le sue forme, comprese le sanzioni indiscriminate e ogni altra modalità di genocidio, a cominciare dalla definitiva abolizione e interdizione delle armi nucleari e delle altre armi di distruzione di massa, biologiche, batteriologiche, chimiche, così come delle mine antiuomo.
“Un nuovo sistema di sicurezza collettivo, garantito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adempierà alle funzioni di mutuo aiuto e di difesa già esercitate dalle alleanze militari di parte e comporterà una riduzione graduale e condivisa delle spese militari nonché della fabbricazione e del commercio di tutti gli armamenti.
“Dovere di tutti i popoli e Stati è la difesa della Terra, patria e madre di tutti. Compito e obiettivo comune è arginare un uso delle risorse lesivo dell’ambiente naturale, ripristinare l’equilibrio ecologico e salvaguardare le specie viventi.
“La coesistenza fraterna degli Stati in ogni circostanza, favorevole o avversa, la rinunzia a modificarne con la forza i confini, la liberazione e il riconoscimento del diritto e dell’autodeterminazione dei popoli sono norma comune e bene fondamentale dell’intera Comunità della Terra.
“A partire dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, dalle culture e valori dei popoli e dalle esperienze di convivenza pacifica già in atto nella famiglia umana assumiamo l’impegno di predisporre con un’ampia consultazione e promulgare una Costituzione della Terra che garantisca giusti ordinamenti, la dignità del lavoro e il godimento universale dei diritti e dei beni fondamentali a tutti gli uomini e le donne del Pianeta nessuno escluso”.
E questo è il commento finale della proposta:
“Nel chiedere questo impegno legislativo e politico ai nostri futuri rappresentanti in Parlamento noi sappiamo che il ripudio della guerra nella sua piena effettività comporta il rovesciamento di una cultura millenaria e il passaggio a un nuovo corso storico. Ciò potrebbe realizzarsi in cinque anni, un secolo o mille anni, ma altrettanto imprevedibili, lunghi e tuttavia certi sono i tempi dell’evoluzione. Compito della politica, ai fini del bene comune umano, è anticipane e governarne i processi. Se a breve termine non sarà possibile raggiungere tutti i risultati auspicati, l’importante è offrire una credibile prospettiva di una loro progressiva realizzazione”.
Chi intende aderire a questo documento può aggiungere la sua firma scrivendo all’indirizzo mail:
ripudiosovrano@gmail.com
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