Venerdì 6 novembre il prof. Luigi Ferrajoli è stato ascoltato alla Camera per un giudizio sulle modifiche introdotte dal governo ai cosiddetti decreti sicurezza dell’ex ministro Salvini. Il giudizio è severo come risulta dal testo dell’audizione che qui pubblichimo
1. Un aspetto deludente del decreto 130/2020: il rischio di una persistente penalizzazione dei soccorsi in mare – Dico subito che ho trovato alquanto deludente questo decreto n. 130 del 2020. Dopo più di un anno ci aspettavamo una svolta radicale, con la soppressione pura e semplice dei due decreti voluti dall’ex ministro Salvini. Abbiamo invece avuto un decreto che per quanto riguarda una questione di fondo – la legittimità o l’illegittimità dei soccorsi in mare – lascia di fatto sostanzialmente immutata la situazione creata da quei decreti.
Certamente nell’art.1 del decreto n.130 ci sono molte innovazioni positive, prima tra tutte l’espansione dei presupposti della concessione dei permessi di soggiorno. C’è però una grave caduta che voglio qui segnalare: in base ad esso i soccorsi in mare rischiano di fatto di essere ancora penalizzati. Non solo. L’aspetto più penoso di questa persistente penalizzazione consiste nel fatto che essa è occultata da un capzioso giro di parole. Si prevede infatti, nel comma 2 dell’art.1 del decreto, l’ipotesi che il Ministro dell’interno possa, in astratto, limitare o vietare il transito o la sosta di navi nel mare italiano. Ma si afferma, subito dopo, che simili limitazioni o divieti non sono ammessi “nell’ipotesi di operazioni di soccorso”. Sembrerebbero quindi soppresse le norme del secondo decreto Salvini sul possibile divieto di accesso nelle acque italiane delle navi di chi salva in mare vite umane, sulla loro confisca e sulle pesanti sanzioni a carico di chi trasgredisce tale divieto.
Ma non è affatto così. Dopo le parole “nell’ipotesi di operazioni di soccorso” vengono indicate varie condizioni il cui accertamento viene di fatto affidato all’arbitrio burocratico. Vi invito a leggere questo capolavoro di ipocrisia legislativa e di doppiezza linguistica che è il secondo comma dell’art. 1 del decreto. Le norme sul divieto di accesso al mare italiano, dice questo comma, “non trovano applicazione… nell’ipotesi di operazioni di soccorso” che però, si aggiunge, siano non solo “immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo”, cosa che comunemente avviene, ma anche “comunicate allo Stato di bandiera” e, soprattutto, “effettuate nel rispetto delle indicazioni dell’autorità competente per la ricerca e il soccorso in mare”. Accadrà così che a causa di queste mediazioni burocratiche la deroga al divieto di accesso formulata in questo secondo comma potrà di fatto risultare neutralizzata. Di fronte a un naufragio, infatti, i soccorritori devono agire immediatamente. E sarà ben possibile che la “competente autorità” da essi interpellata li inviti a rivolgersi al centro di coordinamento maltese o peggio a quello libico, ed essi si vedano quindi costretti – per il rifiuto ad accoglierli delle autorità maltesi, oppure per non far ritorno in Libia dove i migranti sarebbero sottoposti alle ben note violazioni dei diritti umani – a entrare nelle acque italiane, in violazione, a questo punto, del relativo divieto, divenuto operativo a causa del mancato “rispetto delle indicazioni dell’autorità”, e a subire le relative sanzioni.
Ecco, io credo che questo linguaggio normativo, così volutamente equivoco e capzioso, sia l’aspetto più intollerabile di questa norma. E’ infatti intollerabile che il salvataggio delle vite in mare – dietro lo schermo dell’apparente soppressione del divieto di accesso alle acque italiane delle navi dei soccorritori – continui di fatto ad essere penalizzato, in contrasto oltre tutto con l’omaggio di facciata contenuto, nell’incipit di questo stesso decreto, agli “obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano”. Le sanzioni, è vero, vengono ridotte: non più fino a 1 milione di euro, come stabiliva la legge di conversione del decreto del 2019 ma da 10.000 a 50.000 euro. Ma è davvero una contraddizione perversa il fatto che un comportamento doveroso quale è il salvataggio di vite umane in mare, la cui omissione integra quanto meno il delitto di omissione di soccorso, sia esso stesso sanzionato come un comportamento illecito.
Per questo il solo rimedio a una simile contraddizione è quello già propostovi dall’audizione del prof. Paolo Bonetti a nome dell’ASGI: la soppressione dell’intero comma 2 dell’art.1 del decreto o quanto meno un suo emendamento consistente nella cancellazione delle otto righe che seguono alle parole che escludono il possibile divieto dell’ingresso di navi nel mare territoriale italiano “nell’ipotesi di operazioni di soccorso”. Occorre insomma stabilire che i soccorsi in mare non possono essere né impediti né sanzionati. Si tratta di una questione di coerenza normativa e di pulizia linguistica, oltre che di rispetto degli “obblighi costituzionali e internazionali” dello Stato italiano richiamati in questo stesso decreto.
Ma io voglio aggiungere altre ragioni a sostegno di questi emendamenti: tre ragioni, precisamente, che hanno a che fare con la tenuta e con l’identità della nostra democrazia.
2. Contro il pericolo di un abbassamento del senso morale a livello di massa – La prima ragione consiste nell’abbassamento del senso morale a livello di massa provocato da simili norme. Con la penalizzazione di fatto dei soccorsi in mare viene operata una sorta di capovolgimento perverso della logica stessa del populismo securitario, espressa apertamente dai decreti che si dichiara di voler modificare ma in forma criptica anche da questo decreto. Il vecchio populismo penale faceva leva sulla paura per la criminalità di strada e di sussistenza, cioè per fenomeni enfatizzati ma pur sempre illegali, onde produrre paura e ottenere consenso a misure inutili e demagogiche ma pur sempre giuridicamente legittime, come gli inasprimenti delle pene decisi con i vari pacchetti-sicurezza. Il nuovo populismo securitario, esattamente al contrario, fa leva sulla penalizzazione di condotte non solo lecite ma virtuose e addirittura eroiche, oltre che doverose, come il salvataggio di vite umane in mare, al fine di alimentare paure e razzismi e ottenere consenso con l’esibizione di misure esse stesse illegali, come la chiusura dei porti, la preordinata omissione di soccorso di quanti rischiano di affogare e le lesioni dei diritti umani di questi poveri naufraghi.
Ebbene, io penso che dobbiamo essere consapevoli del danno gravissimo ai presupposti morali e culturali della democrazia prodotto da questo nuovo populismo, basato sulla mistificazione e sul ribaltamento del senso delle parole. Il danno consiste nel crollo del senso morale nella società provocato da queste norme, dal veleno razzista diffuso dalla propaganda che le accompagna e dall’accettazione o quanto meno dall’indifferenza da esse indotte per le possibili stragi di migranti abbandonati in mare. Quando infatti, come avviene con simili norme, la disumanità e l’immoralità vengono esibite e ostentate a livello istituzionale, esse contagiano la società e si trasformano in senso comune. Non sono solo legittimate, ma anche assecondate e alimentate. Queste politiche crudeli hanno avvelenato la società, in Italia e in Europa, ed hanno abbassato lo spirito pubblico e il senso morale nella cultura di massa. Hanno svalutato i normali sentimenti di umanità e solidarietà che si manifestano nel soccorso di chi è in pericolo di vita. Hanno alimentato e legittimato il razzismo, che consiste, essenzialmente, nell’idea che l’umanità è divisa tra chi ha il diritto di vivere e chi non è degno di sopravvivere a causa della sua diversa identità. Hanno infine svalutato il diritto e i diritti in nome del consenso prestato alle loro violazioni. Dobbiamo essere consapevoli che perseguire il consenso tramite l’esibizione istituzionale dell’immoralità e dell’illegalità equivale a deprimere la moralità corrente e ad alterare, nel senso comune, le basi del nostro Stato di diritto: non più la soggezione alla legge e alla Costituzione, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque misura arbitraria, poco importa se immorale o illegale.
3. In difesa dell’identità democratica dei nostri ordinamenti – La seconda ragione a sostegno di una svolta effettiva nella nostra politica in tema di immigrazione riguarda la salvaguardia dell’identità democratica dei nostri ordinamenti: l’identità dell’Italia, anzitutto, che solo qualche anno fa si era distinta, con l’operazione Mare Nostrum, per il salvataggio di decine di migliaia di naufraghi; ma anche dell’Unione Europea, che era nata contro i razzismi e i nazionalismi, contro i genocidi e i campi di concentramento, contro le oppressioni e le discriminazioni razziali. Queste identità rischiano oggi di venir meno, insieme alla memoria dei “mai più” proclamati 70 anni fa contro gli orrori del passato. L’Europa rischia di non essere più l’Europa civile della solidarietà, delle garanzie dell’uguaglianza, dei diritti umani e della dignità delle persone descritta dalle Carte costituzionali dei suoi paesi membri e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Si sta al contrario trasformando nell’Europa dei muri, dei fili spinati, delle disuguaglianze per nascita e, di nuovo, dei conflitti e dell’intolleranza razziale.
Più in generale, dobbiamo essere consapevoli che su questo terreno rischia oggi di crollare l’identità civile e democratica di tutto l’Occidente. Giacché la questione migranti ci pone di fronte alla più stridente, vistosa e insostenibile contraddizione con tutta la nostra tradizione giuridica e politica. Non dimentichiamo, infatti, che il diritto di emigrare è stabilito dalla nostra Costituzione, che lo enuncia nell’articolo 35, 4° comma, dagli articoli 13, 2° comma della Dichiarazione universale dei diritti umani e dall’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Non solo. Esso è il più antico dei diritti fondamentali formulati dalla nostra tradizione giuridica, essendo stato teorizzato nel Cinquecento da Francisco De Vitoria a sostegno della conquista del “nuovo mondo”, quando erano gli europei a “emigrare” per colonizzare e depredare il resto del pianeta, e poi rivendicato da John Locke, che lo pose alla base del diritto alla sopravvivenza: giacché tale diritto, egli scrisse, è assicurato dal lavoro, che è sempre accessibile a tutti, purché lo si voglia, se necessario emigrando “negli incolti deserti dell’America” perché c’è “terra sufficiente nel mondo a bastare al doppio dei suoi abitanti”.
Ebbene, la consapevolezza che il diritto di emigrare è diritto vigente e la memoria di queste sue formulazioni classiche, cinicamente strumentali, dovrebbero quanto meno generare – nel dibattito pubblico e nell’attività legislativa – una cattiva coscienza in ordine all’illegittimità morale, prima ancora che giuridica, delle nostre politiche, e agire da freno sulle odierne pulsioni xenofobe e razziste. Dopo cinque secoli di colonizzazioni e rapine, non sono più gli occidentali a far uso del diritto di emigrare nei Paesi poveri del mondo, ma sono al contrario le masse di affamati di quei medesimi Paesi che premono alle nostre frontiere. E con il rovesciamento dell’asimmetria si è prodotto anche un rovesciamento del diritto. Oggi che l’esercizio del diritto di emigrare è dive¬ntato possi¬bile per tutti ed è per di più la sola alternativa di vita per milioni di esseri umani, non solo se ne è dimenticato l’origine storica e il fondamento giuridico nella nostra stessa tradizione, ma lo si reprime con la stes¬sa feroce durez¬za con cui lo si brandì alle origini della ci¬viltà moderna a scopo di con¬quista e colonizzazione.
Per questo una svolta nella nostra legislazione in tema di migrazioni sarebbe non solo a garanzia dei diritti dei migranti, ma anche a difesa dell’identità civile e democratica dei nostri ordinamenti. Per questo difendere i diritti dei migranti significa anche difendere noi stessi: perché affermare la loro dignità come persone equivale ad affermare anche la nostra dignità e la dignità della nostra Repubblica. La questione migranti sta insomma diventando il banco di prova della credibilità dei principi di uguaglianza e dignità delle persone sui quali si fondano le nostre democrazie.
4. Perché non ci si debba in futuro vergognare delle nostre leggi contro i migranti – Infine c’è una terza ragione perché si prendano sul serio i diritti umani dei migranti e la loro dignità di persone. Negli ultimi sei anni, dal 2014 al 2020, sono morte nel Mediterraneo, a causa delle nostre omissioni di soccorso, più di 20.000 persone, di cui quasi 15.000 nella rotta dal Nord Africa all’Italia.
Ebbene, queste stragi saranno ricordate come una colpa imperdonabile. Perché potevano e potrebbero essere evitate. Non potremo dire: non sapevamo. Nell’età dell’informazione sappiamo tutto. Siamo a conoscenza delle migliaia di morti provocati dalle nostre politiche. Sappiamo perfettamente che nell’inferno delle carceri libiche i migranti vengono torturati, stuprati, schiavizzati, uccisi. Conosciamo esattamente le forme di sfruttamento selvaggio cui sono sottoposti molti migranti una volta raggiunta l’Italia.
Non solo. Sappiamo anche che le migrazioni sono il prodotto di tutte le grandi emergenze e catastrofi che minacciano il futuro del nostro pianeta e che sono in gran parte provocate dalle nostre politiche: dal riscaldamento climatico, dei cui effetti – le alluvioni, le desertificazioni, le siccità, gli inquinamenti dell’acqua e dell’aria – soffrono soprattutto le popolazioni povere del mondo; dalle guerre e dalla diffusione incontrollata delle armi; dalla povertà estrema, dalla fame e dalla mancanza di acqua potabile, di alimentazione di base e di farmaci salva-vita che affliggono più di un miliardo di esseri umani. Dobbiamo perciò essere consapevoli che ogni migrante che fugge dal suo mondo ha alle spalle una o più d’una di queste grandi emergenze e catastrofi e segnala problemi globali non solo irrisolti, ma anche solubili se solo prevalessero, realisticamente e nell’interesse di tutti, il buon senso e la ragione: se ponessimo fine al nostro sviluppo industriale ecologicamente insostenibile, al commercio delle armi e all’omissione di idonee garanzie e funzioni di garanzia dei diritti umani pur stabiliti in tante nostre Carte costituzionali e internazionali.
Anche per questo, a me pare, è oggi necessaria una svolta. Nell’interesse di tutti. In difesa della nostra civiltà e della nostra dignità. Per non doverci un giorno vergognare degli orrori e dei pericoli prodotti dalle nostre politiche immorali e dalla nostra miopia e imprevidenza.
Luigi Ferrajoli
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