La NATO sta già in Ucraina

Usa la base di Yavoriv.  Ci vuole una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa

Scenari. Il conflitto ucraino assume ora la veste di un scontro diretto Russia-NATO per interposta Ucraina come dimostra l’attacco contro la base militare di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco.

Siamo arrivati al ventesimo giorno di guerra d’aggressione all’Ucraina e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che sappiamo è che ogni giorno, ogni ora di guerra semina fiumi di sangue e di lacrime, provoca morte, distruzioni e miseria. Col passare del tempo il conflitto diventa più feroce e rischia di espandersi.

L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della NATO ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di «addestratori», fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelenski di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i Paesi europei e gli USA. Dal suo punto di vista è comprensibile perché è l’unica chance che potrebbe consentire all’Ucraina di sconfiggere un esercito invasore molto più potente.

Eppure gli stessi USA e i Paesi membri della NATO sono riluttanti a farsi coinvolgere direttamente nel conflitto armato poiché si rendono conto che in questo modo si innescherebbe la terza guerra mondiale. «Altro che vincere facile, in Iraq in Bosnia e Libia le superpotenze la adottarono contro Paesi di bassa capacità militare, lasciando poi solo miseria e instabilità. Proporla contro la Russia sarebbe una catastrofe», scrive il generale Fabio Mini. Così la via verso il disastro di una nuova guerra mondiale è aperta e ogni giorno che passa cresce il pericolo.

Basti pensare alla questione delle armi chimiche, come possiamo escludere che qualcuna delle parti non vi faccia ricorso per poi attribuirne la responsabilità alla controparte allo scopo di provocare un’ulteriore escalation del conflitto?

Un conflitto che sempre più assume la veste di un scontro diretto fra la Russia e la NATO per interposta Ucraina. In medicina si ritiene che fare la diagnosi giusta è il primo passo per la guarigione. Questo vale anche per la politica. Se non si guarda ai processi di logoramento delle relazioni internazionali e alla sfide che hanno preceduto, anche in senso causale, l’aggressione della Russia, non si hanno gli strumenti per fermare il massacro ed avviare un processo di ristabilimento della pace. Dobbiamo renderci conto che sia gli Stati Uniti, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere fino all’ultimo uomo (ucraino). Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Questo è quello che ha inteso fare Putin che, accecato da un delirio di potenza, ha cercato di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Così facendo ha infilato il collo dentro il cappio, consentendo a USA e Gran Bretagna di avviare una dura campagna contro la Russia, di isolarla dall’economia mondiale e logorarla militarmente, col proposito di trasformare l’Ucraina nel suo Vietnam. In realtà l’assioma di von Clausewitz si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi.

Purtroppo dobbiamo riconoscere che la politica condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna di espansione ad est della NATO, fatta di continue sfide politiche e militari rientra in una competizione fra potenze in fondo alla quale c’è la capitolazione dell’avversario o la guerra. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra.

Ci vuole una visione del futuro. Come la ebbero Churchill e Roosevelt che nel 1941 con la Carta Atlantica delinearono lo scenario di un nuovo ordine mondiale pacifico, ripreso nel 1945 dalla Carta delle Nazioni unite, che annunciava l’ambizione di liberare l’umanità dal flagello della guerra. È preoccupante, invece lo scenario che ci fanno intravedere i principali attori internazionali all’uscita da questa guerra: si prefigura un’Europa armata fino ai denti e divisa da una perenne ostilità. È impressionante il silenzio dell’Unione europea e dei principali Paesi europei su come risolvere le questioni politiche che hanno originato il conflitto ed è assurdo che non abbiano detto una parola sul tema della neutralità dell’Ucraina.

Si irrogano sanzioni sempre più dure e si rilancia la corsa agli armamenti con il riarmo della Germania, ma quale soluzione viene proposta per ricucire questa frattura dolorosa che si è aperta fra una potente nazione europea (la Russia) e le altre nazioni? Come si può favorire una trattativa che ponga fine alla guerra, se non si fa intravedere un futuro accogliente per tutte le nazioni europee, dall’Atlantico agli Urali, in cui la cooperazione prevalga sull’intimidazione e la sicurezza sia collettiva?

Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro? Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.

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