C’è la guerra e nessuno in Occidente ha mai fatto un’autocritica. Noi, che tre anni fa abbiamo dato vita all’iniziativa di “Costituente Terra”, amiamo tanto l’unità del mondo e la sua pace da aver compiuto l’azzardo ermeneutico di pensare che la Terra potesse darsi un’unica Costituzione e conformarsi a un unico diritto, quando per contro va riconosciuta e accolta la mirabile varietà delle culture e delle storie, fatti salvi i diritti e le garanzie universali umane. È stato questo invece il peccato dell’Occidente di pensare il mondo a sua misura. E ci troviamo ora invece con un mondo dilaniato tra Leviatani in lotta tra loro, questi “Dii mortali”che inseguono pensieri di distruzione e di vittoria.
Oggi, dopo un anno di guerra, a 9 anni dal tranello degli accordi di Minsk (secondo la Merkel), a 5 mesi dal sabotaggio americano del gasdotto russo-europeo del Baltico (secondo il Premio Pulitzer Seymour Hersh e una previsione dello stesso Biden), “Costituente Terra” prende e mantiene il lutto per la “fine della pace”, come subito la chiamò “Limes”, anche se le pace dagli albori della civiltà fino ad ora non c’è mai stata e ha sempre ceduto il posto alla guerra, mentre la guerra torna ora in gran forma a farsi accreditare in nome della ragione e del diritto, da cui dopo la “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII era stata espulsa per sempre.
Prendiamo il lutto per una guerra tornata ad essere mondiale, ma anche per un’informazione che la mistifica, dopo che l’ultima guerra era finita con decine di milioni di morti, a cominciare dai sovietici, centinaia di migliaia di giapponesi arsi vivi dalle atomiche, e una fanciulla ebrea, Liliana Segre, rimasta in vita per poterci ancora dire che dopo la guerra resta l’amore.
Prendiamo il lutto per l’umanità dismessa, l’informazione omologata, e la pietà perduta, fino al punto che al terremoto in Siria non si può dare soccorso per le sanzioni atlantiche ed europee che le sono inflitte.
Occorre peraltro ricordare che pur nella varietà dei giudizi è stata unanime la condanna della sciagurata risposta aggressiva di Putin a una minaccia sia pure percepita come mortale e finale; ma inaccettabile è stata altresì l’intenzione, fin dall’inizio dichiarata da Biden, di bandire la Russia dalla comunità delle nazioni, infliggendole una sconfitta senza precedenti e sanzioni genocide, convogliando da tutto il mondo dollari e armi contro di essa, per ridurla a “paria”, che nel sistema indiano delle caste significa gettare un popolo fuori della condizione umana e della storia.
E ora ci viene annunciata in documenti ufficiali del 12 e del 27 ottobre scorsi di Biden e del capo del Pentagono Lloyd Austin sulle strategie di “sicurezza” e “difesa” degli Stati Uniti, una “sfida culminante” con la Cina per decidere nel prossimo decennio il futuro del mondo; e ciò attraverso una “competizione strategica” con o senza conflitti armati in cui l’America peraltro è sicura di “prevalere”, la cui posta in gioco è lo stabilimento di un unico imperio e di una stessa società per tutto il mondo. Ma noi pensiamo che nemmeno la Cina si possa gettare fuori della storia, e che anzi le Nazioni della Terra dovrebbero accorrere al suo capezzale dopo che essa è stata stremata da un’epidemia devastante che si è abbattuta su di lei dopo essere uscita da una povertà che nel 1978 ancora gravava su 770 milioni di contadini, con un tasso di povertà del 97.5 per cento sulla popolazione totale (notizie ufficiali date in un libro di Zhang Yonge, “La Cina e lo sforzo propositivo per un XXI secolo dei diritti”, fatto distribuire dall’ambasciatore cinese in Italia). La Cina era tuttavia giunta oggi ad assicurare cibo e sussistenza a una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone, e non merita ora che il mondo invece di contribuire a soccorrerla, ne aspetti l’annichilimento allo scopo di non averla più come concorrente nel mercato mondiale.
Dunque tuttt’altro che una guerra e un Impero ci sono da fare, Né questa è una guerra dell’Italia; essa non ha più guerre né nemici da vincere. E nemmeno se ne può uscire dicendo “negoziato, negoziato”, quando l’Ucraina, che ne ha bisogno più della vita, è l’unico Paese al mondo che ha proibito il negoziato per legge. Non è la nostra guerra, e nemmeno dovrebbe essere la guerra personale di Giorgia Meloni e dei suoi alleati riluttanti. Proprio perché sovrani non si ha licenza di uccidere, non di aggredire grandi e piccini, non di espellere dal mondo la Russia e di sgominare la Cina. Il bene di esistere è per tutti, se Giorgia Meloni fosse russa oggi starebbe sotto il castello di Varsavia a manifestare contro Biden per la sua patria e contro l’idea di ridurre il mondo a un’unica misura.
In una guerra come ci sono due nemici, ci sono sempre due verità. Chi è sicuro della sua? E si possono tacciare da “azzeccagarbugli” le opinioni dissenzienti? Abbiamo giudici che giudicano dei diritti, non abbiamo quaggiù giudici della verità. O vogliamo dire, come Hobbes, come fece Bush per legittimare dopo la guerra fredda il ripristino della guerra nel Golfo: “auctoritas, non veritas facit legem”? E allora, la democrazia? In che cosa differirebbe dalle “autocrazie”?
Il pensiero d’ordinanza non mi persuade. Io insisto a metterci il naso.
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